Riceviamo e volentieri pubblichiamo
I precari, grazie ai quali il sistema scolastico va avanti da anni, subiscono continuamente attacchi da forze politiche che, invece di comprendere la questione e affrontarla in modo democratico e dialogante, assumono un atteggiamento di chiusura.
È di poche ore fa, in seguito all’incontro di ieri tra la VII Commissione Cultura del Senato e i rappresentanti di alcune associazioni di precari della scuola, la dichiarazione in un post di Facebook della Senatrice Granato che ha parlato di “alcuni soggetti politicizzati” che avrebbero approfittato di cinque minuti di audizione per manipolare le sue parole e rivolgerle attacchi strumentali.
Questi “soggetti politicizzati”, da lei così definiti, altro non sono che persone che cercano di far comprendere a chi ha in mano il futuro del paese, che forse c’è qualcosa che non funziona nelle scelte che il Ministero sta portando avanti. I precari non sono politicizzati proprio da nessuno. I sindacati storici della scuola, infatti, hanno perso da anni la loro combattività e la loro efficacia, tanto che i docenti di terza fascia o forse per meglio dire con le parole di Granato “quelli che non sanno, ma insegnano” si sono organizzati in maniera autonoma.
Dietro questa etichetta ci sono persone con teste ben fatte che vivono quotidianamente sulla loro pelle le decisioni di una politica cieca e, viste le ultime vicende, antidemocratica.
Sono storie di persone che lavorano con impegno e passione da anni, che si spostano da un lato all’altro dell’Italia pur di avere una cattedra, lasciando i propri affetti e rinunciando al proprio equilibrio, persone che nel tempo continuano a formarsi a loro spese. Tuttavia, come sostenuto da parte dell’attuale maggioranza, senza un concorso selettivo non ci si può definire insegnanti. Peccato, però, che l’attuale Ministra con un passato da fervente sindacalista sostenesse fino a due anni fa che un precario con trentasei mesi di servizio doveva essere assunto a tempo indeterminato, in quanto rappresentava un investimento per la scuola, per poi cambiare improvvisamente idea una volta entrata in Parlamento.
A questo va aggiunto come negli ultimi cinque anni non ci sia stata l’ombra di un percorso abilitante, né tantomeno di una procedura concorsuale. Ricordiamo, infatti, che le prove del 2016 e del 2018 erano rivolte ai docenti in possesso di abilitazione e il paradosso è che in questo lungo arco di tempo quelli che “insegnano, ma non sanno” hanno provveduto alla formazione delle nuove generazioni. Qui nasce spontanea una domanda: se individui considerati non idonei per fare questo lavoro lo hanno svolto da cinque anni a questa parte con gli stessi doveri dei colleghi di ruolo, ma facciamo bene attenzione, non con gli stessi diritti, come mai adesso sono considerati così negativamente?
Forse perché i precari vanno bene fino a quando stanno in silenzio e continuano ad essere una grande fonte di sfruttamento per la macchina statale. Infatti non pagare i mesi di luglio, agosto e settembre e non destinare la carta docenti a migliaia di persone è un grosso risparmio per la politica che, però, mostra nuovamente la sua incapacità di azione.
Riguardo la famosa selezione si potrebbe scrivere un libro. Gli aspiranti docenti affrontano selezioni già dall’università, tanto che qualcuno decide di abbandonare gli studi. Svolgono decine e decine di esami e con la formula della laurea triennale più quella magistrale, scrivono ben due tesi. Inoltre, come se non bastasse, qualcuno decide di laurearsi nuovamente, conseguire master di perfezionamento, certificazioni informatiche e linguistiche, ovviamente tutto a proprie spese.
Ecco, se si riconoscesse il valore di questo lungo percorso fatto di qualunque tipo sacrifici, si potrebbe dire che la selezione ha un senso, invece sembra che oggi sia tutto scontato compreso un titolo accademico che di scontato non ha un bel niente. Se poi si volesse davvero selezionare con criterio non si procederebbe con concorsi a crocetta (come previsto dalla prova straordinaria) per i quali non è detto che vada avanti il migliore, ma solo quello più fortunato, si verificherebbero invece le reali competenze di un futuro insegnante attraverso prove di simulazione didattica. È evidente che il paradigma del mero nozionismo, purtroppo, la fa ancora da padrone.
A questo va aggiunto che i concorsi non dovrebbero avere la durata di mesi e mesi, e neanche un così grande numero di prove ad ostacoli come quelle previste nel bando del concorso ordinario, infatti uno scritto e un orale sarebbero più che sufficienti per capire se un candidato ha un’adeguata preparazione oppure no.
A chi sostiene poi che l’unico modo per accedere alla scuola è un concorso selettivo, sarebbe il caso di ricordare che molti docenti della vecchia guarda sono entrati nel mondo della scuola attraverso varie modalità e che nessuno li ha accusati di non essere insegnanti.
In Italia però non si sa come mai, si amano tanto le complicazioni ed ogni governo si inventa un percorso nuovo, in questo modo sono per esempio diventati obbligatori i 24 crediti in materie antropo-psico-pedagogiche per accedere alla terza fascia delle graduatorie di istituto, che questo anno rischiano di rimanere chiuse, e chissà quali fantastiche novità ci attendono in futuro.
Siamo tutti coscienti delle grandi problematiche economiche del Bel Paese, ma continuare a chiedere tanto a certe categorie di lavoratori senza restituire certezze in cambio, senza riconoscere i gli sforzi e senza dare valore ai loro anni di servizio è una modalità che con il tempo porterà ad un’ inevitabile rottura con le istituzioni.
La corda si sta spezzando irrimediabilmente.