I PROCESSI DI MOSCA, DETERMINANTI NELLA VITTORIA CONTRO IL NAZISMO.

Socialismo, scienza e progresso: per un incontro tra paradigmi
luglio 2, 2021
Cuba: le strade sono dei Rivoluzionari!
luglio 21, 2021

I PROCESSI DI MOSCA, DETERMINANTI NELLA VITTORIA CONTRO IL NAZISMO.

Pubblichiamo questo contributo di Gery Bavetta sui famigerati “Processi di Mosca”

Successivamente pubblicheremo un contributo a proposito della confusione che si fa tra i “processi” e le “purghe” che invece riguardarono la rettificazione degli elenchi degli iscritti al Partito, eliminando da tali elenchi coloro che non avevano diritto all’iscrizione e che avevano abusato del caos amministrativo che si era diffuso nel Partito, soprattutto a livello locale.

 

**********************************

I PROCESSI DI MOSCA, DETERMINANTI NELLA VITTORIA CONTRO IL NAZISMO.

IN DIFESA DI STALIN E DEL SOCIALISMO

Il Principale imputato a quei processi fu proprio la Germania nazista

di Gery Bavetta

 

Altro che Purghe, così l’Urss vinse la seconda guerra mondiale e liberò l’Europa dal nazifascismo.

I processi di Mosca furono determinanti nella vittoria contro il nazismo, è stato così scovato il nemico interno che apriva le porte all’invasore.

Con questa estrema sintesi possiamo iniziare ciò che andremo ora a leggere.

Ma prima di parlare di un tema così delicato e dibattuto è necessario mettere assieme i frammenti per comporre il mosaico, occorre perciò una premessa storica per capire meglio il contesto che ha aperto ai famosi “Processi di Mosca”, non a caso chiamati e criminalizzati dalla borghesia con il nome di “Grandi Purghe” o “Purghe Staliniane”, e raccontate come il processo politico che vide il Stalin eliminare la sua opposizione. Tutto questo è falso, in realtà le cose andarono in maniera ben diversa, e qui di seguito possiamo leggere sia la deposizione di alcuni imputati al processo che la testimonianza diretta di chi era presente in prima persona a quei processi che, ricordiamolo, erano pubblici, e perciò aperti a tutti.

I processi di Mosca durarono dal 1936 al 1938, e si divisero in 4 fasi, 3 dei quali erano dei processi pubblici, che si svolsero sia con la presenza degli operai di Mosca che di giornalisti locali e internazionali, nonché di molti rappresentati del corpo diplomatico straniero, qui sotto avremo un importante testimonianza dell’ambasciatore statunitense “Joseph Davies” che quei processi li ha vissuti in prima persona e tutto questo lo racconterà nel suo libro “Missione a Mosca”. Mentre invece fu fatto a porte chiuse, per ovvi motivi di sicurezza interna, il cosiddetto “processo degli ufficiali”, cioè ai generali dell’armata rossa.

Per capire meglio di cosa stiamo parlando ci soffermeremo maggiormente sul secondo processo pubblico di Mosca, quello che venne chiamato il “processo dei diciassette”, che vide come protagonisti alcuni dei più importanti esponenti del partito comunista sovietico, tra cui Karl Radek e Georgij Pjatakov.

Da lì partirà la nostra analisi per capire una volta per tutte la verità su quegli eventi, e per capire cosa effettivamente sia accaduto in quegli anni.

Chiunque avrà seguito questa vicenda sui libri di scuola, sui documentari o su wikipedia, avrà ben notato che da nessuna parte è citata, né la Germania nazista e né la “collaborazione tattica” che questi ebbero con i trotzkisti all’interno del paese, avvicinando alcuni uomini chiave del partito Comunista e dell’esercito con lo scopo ultimo di invadere e annientare l’Unione Sovietica e la direzione di Stalin.

Ma perché parliamo di una “collaborazione tattica”? forse è bene spiegarlo. Si usa questo termine in quanto gli uni usavano gli altri apparentemente per scopi ben diversi, i primi, cioè i nazi-fascisti volevano distruggere il movimento comunista che si era consolidato in Unione Sovietica perché quella presenza esercitava una forte influenza per le idee politiche della classe operaia in occidente mettendo a rischio la stabilità del capitalismo europeo e mondiale. In Italia, per esempio, nel famoso “biennio rosso” (1919-1920) gli operai, armi in pugno, si spinsero ben oltre le rivendicazioni sindacali e salariali lottando per l’autogestione delle fabbriche (controllo operaio) e il controllo dello Stato, il motto pressoché ovunque era lo stesso, “fare come la Russia”. Mentre i secondi, cioè i trotzkisti, avevano una visione ben diversa sul “processo rivoluzionario”, e non credevano affatto che si potesse realizzare l’industrializzazione e il “socialismo in un solo paese”, perciò volevano eliminare la direzione di Stalin, che come vedremo più avanti, fondato su solide basi poteva solo essere abbattuto da una guerra.

Questi sono appunto i tasselli fondamentali che servono per aiutarci a capire del perché della durezza, della preoccupazione e dell’efficacia con cui la direzione staliniana dovette rispondere a quella che era la convergenza che in quel determinato momento ebbero i nemici interni con quelli esterni, cioè, trotzkisti e nazisti.

Un altro elemento fondamentale per capire e studiare questi fatti è ovviamente quello di inserirli in un determinato “contesto storico”, senza il quale, ogni storico questo lo sa, non è possibile raccontare e spiegare la Storia.

 

Premessa storica

Questa è una breve premessa storica, necessaria per chi vuol mettere assieme alcuni pezzi, per spiegare come la rivoluzione bolscevica, non fu solo la rivoluzione russa, ma era la rivoluzione che, aprendosi la sua strada in Russia, aveva l’obbiettivo di coinvolgere il mondo intero e di guidare il proletariato verso una nuova società, quella socialista e infine quella comunista.

Nel 1917 le classi dominanti iniziarono a tremare per mano di chi metteva in discussione il vecchio mondo borghese e capitalista, questa mano era quella dei bolscevichi guidati da Lenin.

Il potere del capitale, ovvero della ricca borghesia, sia economica che finanziaria, ha iniziato a vedere nella rivoluzione socialista e proletaria che si veniva affermando in Russia, una minaccia per la loro egemonia politica, economica e culturale, si stavano così mettendo in discussione le regole di un sistema che, fino ad allora, nessuno aveva osato contestare in maniera così concreta ed efficace, la parola d’ordine era chiara, ed era una sola, il nemico era il capitale, queste furono le parole di Lenin e della Rivoluzione d’ottobre che apriva la strada per la lotta su scala mondiale alle classi dominanti, cioè quella dei padroni capitalisti che a guida delle varie nazioni, schiacciavano il proletariato e le masse popolari sotto il loro dominio.

Dopo pochi mesi, nel 1918, fu l’inizio della “Guerra Civile”, tutte le forze reazionarie della vecchia borghesia spodestata e dell’ex impero zarista formarono un esercito controrivoluzionario, che prese il nome di “Armata Bianca”, queste forze vennero supportate dall’invasione di altri 15 eserciti stranieri. I capitalisti di tutti i paesi si erano perciò coalizzati contro il nemico comune, il bolscevismo, preoccupati appunto che quelle idee avrebbero raggiunto e poi incoraggiato le lotte operaie in Europa. Era quindi giunto il tempo di soffocare quelle idee e di scoraggiare quelle lotte con la guerra.

Lo spettro del comunismo, che in Russia, con i bolscevichi aveva trovato l’anello debole per indebolire il capitalismo su scala mondiale, andava stroncato, senza se e senza ma.

Il comunismo diveniva il nemico principale proprio perché in Russia aveva spezzato quella catena, che, come disse Lenin: “Quando ed entro che termine i proletari condurranno a termine questa lotta poco conta, è essenziale il fatto che il ghiaccio è stato rotto, la via è aperta, la strada è segnata”.

La difficilissima ed eroica vittoria dell’Armata Rossa sulle forze controrivoluzionarie fu portata a termine solo nel 1922, molti dicono grazie anche al contributo di Trotskij che fu a capo dell’armata rossa e che seppe riorganizzare l’esercito rosso. A questa affermazione risponderà direttamente Stalin su uno dei suoi testi in cui affronta l’argomento “Trotzkismo o Leninismo?” scrivendo testuali parole:

«Sono ben lontano dal negare la parte senza dubbio l’importanza avuta da Trotskij nell’insurrezione. Ma devo dire che Trotskij non ha avuto e non poteva avere nessuna funzione particolare nell’insurrezione d’Ottobre, e che, essendo presidente del Soviet di Pietrogrado, egli non ha fatto che eseguire la volontà delle istanze competenti del suo partito, che guidavano ogni suo passo.

Trotskij, persona relativamente nuova per il nostro partito nel periodo dell’Ottobre, non ha avuto e non poteva avere nessuna funzione particolare né nel partito né nell’insurrezione d’Ottobre. Egli come tutti i dirigenti responsabili, non era che un esecutore della volontà del CC (comitato centrale) e dei suoi organi. Chi conosce il meccanismo di direzione del partito bolscevico, capirà senza grandi difficoltà che la cosa non avrebbe neppure potuto essere diversa: sarebbe bastato che Trotskij trasgredisse la volontà del CC perché egli perdesse ogni influenza sul corso degli avvenimenti. Le chiacchiere sulla funzione particolare di Trotskij sono una leggenda, propalata dalle servizievoli comari del partito.

Questo non significa, naturalmente, che l’insurrezione d’Ottobre non abbia avuto un suo animatore. No, ha avuto il suo animatore e capo. Ma questo fu Lenin, e nessun altro. Ci dicono però che non si può negare che Trotskij si sia battuto bene nel periodo dell’Ottobre. Sì, questo è vero, Trotskij si è veramente battuto bene nell’Ottobre. Ma nel periodo dell’Ottobre si è battuto bene non solo Trotskij, non si sono battuti male neanche uomini come i socialisti-rivoluzionari di sinistra, che si trovavano allora a fianco dei bolscevichi. In generale, debbo dire che nel periodo dell’insurrezione vittoriosa, quando il nemico è isolato e l’insurrezione è in pieno sviluppo, non è difficile battersi bene. In momenti simili persino coloro che stanno sempre a rimorchio diventano eroi».

 

A oggi qualcuno sostiene ancora che la Rivoluzione bolscevica in Russia fu in realtà un colpo di stato organizzato da pochi uomini che hanno preso il potere per uso personale. Questa versione, purtroppo per costoro, ha da scontrarsi con la realtà dei fatti, perché se tutto fosse effettivamente stato così non si spiegherebbe come fecero allora i bolscevichi a resistere a quell’attacco controrivoluzionario durante la “guerra civile”, che comprendeva, solo per l’Armata Bianca un complessivo di 2 milioni e mezzo di uomini, a questi vanno anche aggiunti il restante degli eserciti stranieri che intervennero in aiuto alle Armate Bianche, una piccola e ristretta cricca, così come dicono, non avrebbe mai potuto vincere quello scontro senza un popolo che lo sosteneva, perciò anche questa diceria è costretta a cadere nel vuoto.

 

Fermata e stroncata la controrivoluzione in Russia ci furono in seguito molte discussioni politiche in Unione Sovietica su come gestire il potere del neonato Stato Proletario.

Più tardi, nel 1927, Stalin avvertirà al XV congresso del Partito che:

«l’Unione Sovietica è economicamente indietro di parecchi anni rispetto ai paesi capitalisti più progrediti (Stati Uniti, Germania, Francia, Regno Unito), e che se a breve non si colmerà questo divario, nel giro di 10 anni saranno schiacciati sia economicamente che militarmente».

A oggi possiamo definire le parole di Stalin come una corretta analisi, in previsione a quella che fu la successiva guerra mondiale che portò l’attacco della Germania all’Unione Sovietica il 22 giugno 1941, ma ricordiamoci che allora tutto questo non si poteva né sapere e né prevedere, la situazione quindi era ben diversa e quindi dibattuta.

A breve si abbandonò la NEP (Nuova Politica Economica), giacché servì solo come processo economico iniziale, ovvero come volano per avviarsi successivamente all’industrializzazione a tappe forzate e poi gradualmente alla pianificazione economica. Ci si avviò così nel 1929 al primo piano quinquennale. Gli sviluppi stratosferici di questo piano economico ebbero inizio però nel 1936, ovvero nel secondo piano quinquennale.

Ricordiamo che si stava portando avanti un modello economico e sociale mai sperimentato in tutta la storia umana e perciò gli errori e le incertezze non erano poche e le difficoltà tante, soprattutto perché si veniva a trasformare un paese arretrato e contadino, che ancora faceva i conti con i rimasugli del feudalesimo, e non un paese nel pieno della sua fase industriale e capitalistica, da qui appunto nascevano le prime difficoltà. Da una parte non si poteva edificare il socialismo in un paese dove la ricchezza non c’era, e quindi non c’era nulla da redistribuire per lavorare tutti e per vivere meglio, e dall’altra, non si era ancora formata una robusta e numerosa classe operaia che doveva prendere in mano le redini facendosi classe dominante dentro al Partito Bolscevico e nello Stato, questo perché ancora non c’era una industrializzazione forte. C’era invece quella classe di contadini che, come diceva Lenin, “sono in genere sia sfruttati che sfruttatori”, e perciò era duro far capire a questa classe sociale che il prodotto del loro lavoro doveva essere socializzato anziché privatizzato, quindi la trasformazione sociale proseguiva per gradi e attraverso riforme.

I dibattiti però, su questi e altri temi furono innumerevoli, ma andiamo avanti.

 

I NEMICI SI INFILTRANO NEL PARTITO BOLSCEVICO.

Nel suo rapporto del 3 marzo 1937, Stalin affermò che certi dirigenti del partito si erano dimostrati incuranti, bonari e ingenui, e avevano mancato di vigilanza verso i nemici e gli anticomunisti infiltrati nel Partito. Stalin si riferiva all’assassinio di Kirov, all’epoca il numero due del Partito Bolscevico.

Un aspetto fondamentale da ricordare è che molti dissidenti anticomunisti ed elementi della borghesia reazionaria entrarono nelle fila del Partito Bolscevico, ma non perché si erano convertiti alla rivoluzione proletaria, ma bensì per combattere i comunisti dall’interno, per preparare le condizioni di un colpo di Stato che riportasse la situazione allo stato precedente. Di tutto ciò abbiamo varie testimonianze, tra cui quella di:

Boris Bojanov, che scrisse a questo proposito un libro molto istruttivo intitolato “Avec Staline dans le Kremlin”. Aveva tra i 17 e i 19 anni durante la rivoluzione in Ucraina, la sua terra natale. Nel suo libro Bojanov era fiero di pubblicare la fotocopia di un documento, datato 9 agosto 1923, che lo nominava assistente di Stalin. Con evidente giubilo egli commenta nel suo libro: «da soldato dell’armata antibolscevica, mi ero imposto il compito difficile e pericoloso di penetrare all’interno dello stato maggiore nemico. Avevo raggiunto il mio scopo».

Lo stesso afferma nel suo libro che,

«i bolscevichi entrarono nel suo paese nel 1919, gridar loro in faccia il mio disprezzo mi sarebbe costato dieci pallottole in corpo. Presi un’altra decisione. Per salvare lecite della mia città, mi nascosi sotto la maschera dell’ideologia comunista. Combatterli dall’esterno non era più possibile, bisognava minarli dall’interno. Occorreva introdurre il cavallo di Troia nella roccaforte comunista. Tutti i fili della dittatura facevano sempre più capo all’unico nodo dell’Ufficio Politico. Il colpo di Stato non poteva ormai che partire da lì».

Tra il 1923 e il 1924 Bojanov assistette a tutte le riunioni dell’Ufficio Politico. Fu capace di conservare vari incarichi fino alla sua fuga, nel 1928.

Questo e molte altre furono le iniziative della borghesia contro lo Stato Sovietico e il giovane partito bolscevico.

da “Stalin un altro punto di vista” di Ludo Martens capitolo 7 pag. 200

 

È appunto dentro questa dinamica che dobbiamo cogliere tutti gli aspetti fondamentali e le contraddizioni che portarono ai “Processi di Mosca” e alla dissidenza interna di alcuni membri del partito che in realtà facevano il doppio gioco.

 Dalla Rivoluzione del 1917 sono trascorsi ben 19 anni per giungere fino al 1936, anno in cui si è avuto il successo economico della politica di Stalin e del Partito.

Immaginiamo che dei politici oggi al governo ci facciano delle promesse di sviluppo verso un futuro più prospero, e ci accorgessimo che in realtà non accade nulla o molto poco per ben 18 anni o forse più, cosa accadrebbe nel frattempo? Si formerebbe o no una spaccatura interna al partito e nella società? forse anche i più sinceri ammiratori di un simile governo si porrebbero il dubbio sulla legittimità e sulla giustezza delle sue politiche economiche.

Ecco, questo fu esattamente il dubbio che si posero alcuni dei vecchi rivoluzionari bolscevichi di allora, pensando che forse non tutto ciò che era la teoria economica di Marx avrebbe trovato la sua realizzazione in un paese così arretrato come lo era l’Unione Sovietica di quegli anni e forse era tempo di ripensare alcuni aspetti di questa Pianificazione Economica, dei rapporti con le classi sociali al suo interno, all’esterno e così via.

Ma non fu una questione solo di tempi, c’era chi all’interno del partito non era dal principio d’accordo alla centralizzazione statale dell’economia pianificata, nonché ai successivi piani di industrializzazione a tappe forzate che, come sappiamo, doveva aprire le porte al “Socialismo in un solo paese”.

 

IL SOCIALISMO IN UN SOLO PAESE. L’UNICA VIA POSSIBILE.

La questione del “Socialismo in un solo paese” è anch’essa legata alla dissidenza interna al partito, che porterà alla conseguente opposizione e quindi ai processi di Mosca, perciò occorre qui fare alcune precisazioni.

Iniziamo col ricordare una cosa che spesso si dimentica, il cosiddetto “Socialismo in un solo paese” non fu in un solo paese come la Russia sovietica, ma esso ha compreso nel suo corso storico un totale massimo di 15 nazioni, e quindi non si può assolutamente parlare di una deriva nazionalistica del partito bolscevico, in quanto quella costruzione fondava in Unione Sovietica le basi dell’internazionalismo proletario.

Il Socialismo in un solo paese fu una ritirata forzata ma necessaria per far fronte alle fallite rivoluzioni in Europa, cioè Germania e Italia in primis. Il punto fondamentale non era quindi che la rivoluzione non si volesse espandere. La questione era semplice, quelle rivoluzioni in Europa erano fallite e non si avevano in quel momento forze materiali e né morali per spingersi oltre, perciò si decise, non di fossilizzarsi e burocratizzarsi, come invece viene raccontato dalla propaganda trotzkista-anticomunista e borghese, ma si decise saggiamente di fermarsi là dove invece al contrario si sarebbe rischiato di perdere tutto. La vittoria del socialismo in Unione Sovietica era e fu il pilastro portante dell’Internazionale Comunista, la stabilità perciò del processo socialista in Unione Sovietica era l’apripista per il comunismo su scala mondiale.

Il Socialismo in un solo paese, fu una definizione e una strategia politica e militare che intendeva semplicemente rafforzare quanto fino ad allora conquistato per riprendere ossigeno e ripartire con le dovute forze più avanti, come avvenne con le lotte di liberazione coloniale, dove appunto il consolidamento dell’Unione Sovietica servì a garantire una spinta rivoluzionaria e un appoggio concreto ai popoli oppressi di tutto il mondo. Ricordiamoci che l’URSS di Stalin appoggiò le lotte di liberazione coloniale aiutando paesi come la Cina di Mao, la Corea di Kim il Sung, il Vietnam di Ho Chi-Min e tanti altri anche in Europa, Africa e in Sud America.

In un discorso tenutosi all’Università Sverdlov il 9 giugno 1925 Stalin risponderà così per iscritto:

«Come possiamo noi, paese arretrato, edificare una società Socialista integrale? dicono alcuni di questi comunisti contaminati. Noi abbiamo già compiuto la nostra rivoluzione facendo la Rivoluzione d’Ottobre, dicono altri. Ora tutto dipenderà dalla rivoluzione internazionale, perché noi non possiamo edificare il socialismo senza che prima vinca il proletariato dell’Occidente, e, a rigore, il rivoluzionario in Russia non ha più niente da fare. Infatti, ammettiamo che un rivoluzionario non abbia niente da fare in Russia; ammettiamo che è inconcepibile, impossibile edificare il socialismo nel nostro paese prima della vittoria del socialismo negli altri paesi; ammettiamo che la vittoria del socialismo nei paesi progrediti ritardi ancora di dieci anni: si può forse supporre, date queste condizioni, che gli elementi capitalistici della nostra economia, i quali agiscono nelle condizioni dell’accerchiamento capitalistico del nostro paese, consentano a cessare la lotta mortale contro gli elementi socialisti di questa economia e attendano con le mani in mano la vittoria della rivoluzione mondiale? Basta porre questa domanda per capire tutta l’assurdità di questa ipotesi.

La vittoria del socialismo in un solo paese non è fine a se stessa, ma è un mezzo per sviluppare e sostenere la rivoluzione negli altri paesi».

da Stalin Opere Complete vol.7 “Domande e Risposte” estratto di pag.190-191-192

 

TROTZKY CONTRO LENIN E STALIN

Nel 1922 si contrappongono l’una all’altra la dichiarazione di Lenin alla sessione plenaria del Soviet di Mosca, secondo la quale “dalla Russia della NEP nascerà la Russia socialista”, e la dichiarazione di Trotskij contenuta nel poscritto al Programma di pace, secondo la quale «un’effettiva ascesa dell’economia socialista in Russia sarà possibile soltanto dopo la vittoria del proletariato nei principali paesi d’Europa».

Infine l’anno successivo, poco prima della sua morte, Lenin trattò nuovamente questo problema nell’articolo Sulla cooperazione (maggio 1923), dichiarando che, «da noi, nell’Unione Sovietica, esiste tutto ciò che è necessario per costruire una società socialista integrale». (da Stalin Opere Complete vol.7 “Domande e Risposte” pag. 232)

D’altronde ricordiamo che anche lo stesso Lenin fece una ritirata strategica simile il 3 marzo 1918 con la pace Brest-Litovsk che impose gravi perdite territoriali alla Russia Sovietica. Anche qui Lenin vorrà questa pace strategica a tutti i costi e a qualsiasi condizioni imposte, mentre Trotskij e altri bolscevichi portano avanti posizioni nettamente contrastanti.

Chi portò avanti le più dure battaglie politiche all’interno del partito bolscevico contro Lenin e Stalin, ma anche contro la maggioranza del Partito, fu proprio Lev Trotskij, che credeva che la direzione di quel partito e quindi del paese sotto Stalin fosse la rovina del processo rivoluzionario, pensando che il processo rivoluzionario si sarebbe imbalsamato in Unione Sovietica, perdendo così la sua carica internazionalista e rivoluzionaria, fino a sopperire attorniato dal mondo capitalista che lo circondava e che lo avrebbe strangolato economicamente e militarmente.

Il 27 dicembre 1927, il Comitato Centrale dichiarò che l’opposizione aveva fatto causa comune con le forze antisovietiche e coloro che avessero mantenuto queste posizioni sarebbero stati esclusi dal partito. In conseguenza di ciò tutti i dirigenti trotskysti e zinovievisti furono radiati dal partito.

 

L’INIZIO DEI -PROCESSI PUBBLICI- DI MOSCA

I Processi di Mosca o “Grandi Purghe”, come vennero allora definiti dall’occidente capitalista e dalla stampa borghese, hanno avuto pubblicamente inizio con l’assassinio di Serghej Kirov il 1 dicembre 1934, dirigente del partito a Leningrado, numero 2 del Partito Bolscevico, nonché stretto amico e collaboratore di Stalin.

L’assassinio di Kirov fu il primo serio avvertimento che dimostrava che i nemici del popolo stavano facendo il doppio gioco e che, così facendo, si camuffavano da bolscevichi, da membri del Partito.

Dai successivi vari processi emerse molto chiaramente che fu attiva in quegli anni una cellula terroristica in Unione Sovietica che faceva capo all’opposizione guidata da Trotskij, acerrimo nemico di Stalin nella lotta per la direzione del partito. Lotta che in tutti quegli anni si è sempre basata sullo scontro del terreno democratico e del duro e acceso dibattito pubblico. Ovviamente in quel momento la maggioranza del partito votò per la linea di Stalin, che era quella più saggia e razionale rispetto alle posizioni più rischiose ed estremiste di Trotskij, che in quel determinato contesto spinse per la “Rivoluzione Permanente”, e che il più delle volte mostrava invece di avere una visione del processo rivoluzionario più teorica che reale.

Questa premessa storica, lunga ma necessaria, è servita a capire come e perché si è venuta a creare un’opposizione così violenta da parte di elementi che si dichiaravano comunisti, a tal punto da usare il “terrorismo come arma di opposizione politica”, e ad usare la strategia del “doppio gioco” a vantaggio di paesi ostili come Germania e Giappone mentre lavoravano pubblicamente come fedeli operatori della causa comunista.

Se vogliamo analizzare realmente i fatti, dal punto di vista di chi li ha vissuti, l’attenzione non può non cadere sull’ambasciatore Statunitense “Joseph E. Davies”, che fu presente in prima persona ai “Processi di Mosca” e che scrive tutto questo nel suo libro Missione a Mosca.

 

Nella foto l’ambasciatore Davies stringe la mano a Stalin.

 

La pubblica accusa del processo era sostenuta da A.J. Vyšinskij; la difesa dell’imputato Knjazev era condotta dal membro del collegio di difesa Braude, quella dell’imputato Puscnin venne assunta da Kommodov e la tutela legale dell’imputato Arnold invece dall’avvocato Kasnasceev.

Gli altri imputati, e cioè Pjatakov, Radek, Sokolnikov, Serebrjakov, Livscits, Muralov, Drobnis, Bogulavskij, Rataishak, Norkin, Scestov, Turok e Hrasce avevano rinunciato invece a giovarsi di un avvocato, dichiarando che si sarebbero difesi da soli.

Il Volo di Pjatakov – la collaborazione tattica tra Trotzki e i Nazisti pag 25.

Secondo i due principali imputati, G.L. Pjatakov e K. Radek, sussisteva in Unione Sovietica, a partire dal 1928, un’organizzazione clandestina trotzkista via via infiltratasi anche nei livelli elevati della nomenklatura del paese e attiva, fino al 1936.

Tornati entrambi ad essere in segreto degli importanti dirigenti trotzkisti sovietici, Pjatakov e Radek nell’aprile del 1934 ricevettero una lettera di Trotskij, nella quale il loro capo in esilio spiegò, oltre alla necessità di rovesciare con la forza il regime stalinista usando a tal fine ogni mezzo possibile, ivi compreso il sabotaggio e il terrorismo, l’esigenza di una collaborazione con l’imperialismo tedesco il suo mandatario politico, il nazismo, anche in previsione dello scoppio della seconda guerra mondiale considerata come sicura e ormai imminente dallo stesso Trotskij.

 

IL PROCESSO

 

All’interrogatorio ognuno degli imputati si è alzato e si è dichiarato colpevole, vi erano numerosi microfoni intorno a loro. Il P.M. tenendo davanti a sé delle carte che dovevano essere le loro confessioni firmate, ha rivolto poche domande prima che ognuno facesse la narrazione delle proprie attività criminali. Il P.M. ha arringato con molta calma e in genere con ammirevole moderazione. Non v’era nulla di insolito nell’aspetto degli accusati; sembravano ben nutriti e in condizioni fisiche normali. Durante i primi giorni del processo guardavano con molta curiosità il pubblico e, pur essendo seri, sembravano molto preoccupati. Col passare del tempo, però, si sono notati nel loro atteggiamento segni di disperazione, tenevano il capo fra le mani o appoggiato alle sbarre. Sembravano ascoltare con molto interesse le deposizioni dei loro compagni. Si sarebbe detto che molti di essi non conoscessero una gran parte dei particolari delle deposizioni.

 

COMMENTI SULLE DEPOSIZIONI E SUI PRINCIPALI IMPUTATI

 

Pjatakov

Era vice Commissario del Popolo per l’industria pesante e uno dei fautori del Piano Quinquennale. Egli ha fatto una lunga spassionata esposizione delle sue attività criminali. Man mano che parlava è stato più volte interrotto dal P.M. che ha chiesto agli altri accusati di confermare i fatti che egli esponeva. In qualche caso gli altri hanno discusso e descritto diversamente qualche fatto, ma in complesso hanno affermato l’esistenza del delitto. Tutto questo con l’aria più indifferente di questo mondo.

 

Radek

Il secondo ad essere interrogato, era un tipo molto diverso, basso e tarchiato ma con una spiccata personalità, ed ha fatto molta impressione nell’aula. Dal suo atteggiamento sembrava rendersi conto di essere uno dei capi del complotto e d’essere quindi responsabile dei delitti sebbene non vi avesse partecipato. Ha insistito più volte però che questi erano “delitti” di carattere politico compiuti a favore di una causa a cui aveva fede in quel tempo.

Ha avuto più di un vivace battibecco con il P.M. e durante tutta la deposizione si è comportato dignitosamente, ma alla fine ha pregato di ricordare che era stato lui a svelare il complotto Trotskij, con l’evidente sottinteso che, se non fosse stato lui, il Governo non avrebbe avuto tutte le prove necessarie.

Come notò lo stesso Karl Radek nella sua arringa finale durante il processo di Mosca del 1937, dopo il dicembre del 1927 (quando Trotskij e molti suoi sostenitori vennero espulsi dal partito bolscevico) «in parte i miei coimputati tornarono sulla via della lotta, da convinti trotzkisti, sostenitori prima del Socialismo in un solo paese. Dopo aver perduto la fede in questa concezione di Trotskij, io mi ravvidi, di fronte alle difficolta del socialismo, negli anni dal 1931 al 1933 divenni vittima del timore».

 

Sokolnikov

Vice commissario per gli affari esteri, ha fatto un’esposizione così obiettiva della sua partecipazione al complotto che sembrava una conferenza, ed ha spiegato con molta chiarezza e logica quali sono state le ragioni per cui lui e i suoi complici si sono messi in rapporto con il Giappone e con la Germania.

Il succo era che, non avendo modo di migliorare le condizioni del popolo russo rovesciando la direzione di Stalin, aveva ritenuto che il miglior sistema era di arrivare al potere dopo una guerra, creando uno stato più piccolo, favoriti in ciò dai vincitori tedeschi e probabilmente anche dalle altre potenze occidentali.

 

Muralov

Si è comportato molto dignitosamente, con un’aria virile e franca. C’era una nota sincera nella sua voce quando ha parlato delle ragioni per le quali ha sostenuto Trotskij. Ha negato di aver subito delle imposizioni e ha detto che per otto mesi si era rifiutato di confessare perché riteneva ingiusto il suo arresto. Ha asserito che in un primo tempo credeva di preferire la morte da eroe e aiutare così la causa, ma che quando aveva poi capito tutto il complotto, si era reso conto che la direzione staliniana aveva fatto dei grandi progressi e stava aiutando il popolo russo; perciò ha capito che il suo dovere era di confessare.

 

(dal libro Missione a Mosca Parte Prima Pag. 52, 53, 54)

—————————————————————————————————————

 

Per meglio valutare l’importanza delle deposizioni fatte nei processi dagli imputati, bisogna tener presente l’importanza di costoro, tutti uomini di primo piano nella vita pubblica sovietica.

Ecco un altro stralcio delle deposizioni:

Krestinsky, Sottosegretario di Stato, ha detto:

«Avevamo formulato un accordo col generale Seeckt e Hess, secondo il quale avremmo dato il nostro aiuto alla “Reichswehr” (forze armate tedesche) nel creare dello spionaggio nel territorio dell’URSS. Da parte sua la Reichswehr si impegnava di corrisponderci un sussidio annuo di 250.000 marchi».

Grinko, Ministro del Tesoro, ha detto:

«Conoscevo ed avevo rapporti con membri tanto dell’organizzazione Ucraina quanto dell’esercito rosso che si preparavano a “spalancare le frontiere al nemico”».

Rosengoltz, Ministro del Commercio, ha dichiarato:

«Ho dato parecchie informazioni segrete al comandante in capo del Reichswehr. In seguito fornivo periodicamente le notizie all’Ambasciatore».

 

Il rappresentante della pubblica accusa A. J. Vyšinskij prese nettamente le distanze su tre punti specifici.

In primo luogo Vyšinskij negò con decisione che Pjatakov e Radek avessero effettivamente rivelato tutta la verità sulla loro attività clandestina, sottolineando nella sua arringa finale che «sono convinto che gli imputati non abbiano detto neppure la metà di tutta quella verità, che rappresenta la tremenda storia dei loro gravissimi delitti contro il nostro paese».

Vyšinskij sostenne che Pjatakov e Radek rappresentassero solo degli squallidi servi di Hitler.

 

CONSIDERAZIONI DELL’AMBASCIATORE STATUNITENSE A MOSCA JOSEPH E. DAVIES, DAL SUO LIBRO “MISSIONE A MOSCA”.

«Se le confessioni fossero state fatte in privato o fatte per iscritto dagli accusati non si sarebbe creduto alla loro autenticità. Fatte invece in un processo pubblico queste confessioni non erano discutibili.

Con l’interprete al mio fianco, ho seguito attentamente le deposizioni; debbo confessare che ero prevenuto contro l’attendibilità delle deposizioni di questi accusati. La lunga prigionia subita con la possibilità della coercizione usata verso di loro o verso le loro famiglie suscitavano in me dei gravi dubbi. Ma, giudicando con obiettività e basandomi sulla mia esperienza, sono dovuto arrivare, sia pure malvolentieri, alla conclusione che lo Stato era riuscito a dimostrare quanto desiderava o per lo meno a provare l’esistenza di una estesa cospirazione a danno del Governo Sovietico da parte di dirigenti politici, cospirazione che, secondo le leggi, costituisce un delitto.

Presumendo però che, in fondo, la natura umana è la stessa dappertutto, non posso negare l’impressione fatta dall’apparente attendibilità delle deposizioni. Presumere che tutto il processo fosse una montatura equivarrebbe ad ammettere l’esistenza di un genio creativo grande quanto Shakespeare e con la capacità di regia di un Belasco. Lo sfondo storico e le attuali circostanze danno inoltre una certa attendibilità alle deposizioni.

Considerate le prove prodotte, penso che qualunque Tribunale di qualsiasi giurisdizione non poteva far altro che giudicare colpevoli di violazione delle leggi gli accusati.

Ho parlato con quasi tutti i membri del Corpo Diplomatico di qui e, con una sola eccezione, tutti sono del parere che è stata chiaramente dimostrata l’esistenza di un complotto per rovesciare il Governo.

Nonostante fossero consci del pericolo costituito dall’ambizione personale, anche qui hanno lasciato che la natura umana prendesse il sopravvento come nella Rivoluzione Francese; però qui le cose si sono svolte più lentamente.

L’opinione prevalente del Corpo Diplomatico e fra i giornalisti americani è che il Governo Stalin è posto su solide basi e continuerà ad esserlo a lungo se non vi sarà una guerra».

Missione a Mosca, Parte Prima pag. 56

 

SCOPO DEL TROTZKISMO ERA SPINGERE L’UNIONE SOVIETICA IN UNA GUERRA CONTRO LA GERMANIA.

 In base alle deposizioni dei processi si è stabilito che Trotskij stava complottando con gli accusati per rovesciare il Governo Sovietico, servendosi del sabotaggio, del terrorismo e dell’assassinio, per diffondere il disfattismo fra la popolazione e per fomentare, per mezzo di spie straniere una guerra contro l’Unione Sovietica da parte del Giappone e soprattutto della Germania; dopo questa guerra i cospiratori speravano di impadronirsi del potere creando una repubblica sovietica più piccola, sorta dallo smembramento dell’Unione Sovietica con la cessione dell’Ucraina alla Germania e degli Stati Marittimi e dei campi petroliferi Segalien al Giappone.

L’accusa contiene numerose violazioni di leggi in vigore nell’Unione Sovietica e asserisce l’esistenza di un complotto terroristico controrivoluzionario.

Trotskij da parte sua, aveva l’intento innanzitutto di strappare l’egemonia che Stalin aveva conquistato sulle masse lavoratrici, sia sovietiche che mondiali, e intendeva fare tutto ciò con la complicità tattica di un accordo con i nazisti. Questa fu appunto una “collaborazione tattica”, che voleva dapprima strappare il potere a Stalin attraverso l’uso della forza militare nemica, e successivamente, si presume, rivolgere l’attenzione del popolo contro i tedeschi occupanti.

Con i nazisti alle porte del suo paese, Trotskij auspicava la distruzione del “regime staliniano” e la rivolta contro di esso degli operai, dei contadini e dell’esercito.

Possiamo anche ipotizzare che in accordo con i Nazisti, Trotskij avrebbe voluto dapprima togliere la bandiera che Stalin teneva alta di fronte al proletariato mondiale, poi tolto di mezzo Stalin sarebbe stato più facile rivolgere un azione di rivolta contro gli odiati tedeschi occupanti, d’altronde ricordiamo, Trotskij assieme al partito Bolscevico guidato da Lenin riuscì con l’Armata Rossa a fare un gesto simile durante la controrivoluzione Russa, e contro ben 15 divisioni di eserciti stranieri, quando perciò 4/5 del territorio russo fu occupato dalle armate bianche controrivoluzionarie, l’azione dell’Armata Rossa fu perciò capace sotto la guida del partito Bolscevico di riconquistare tutti i territori persi. Era facile perciò pensare che Trotskij avrebbe voluto replicare quel gesto e riprendere in mano la guida dell’URSS contro Stalin per portare avanti la sua teoria rivoluzionaria anche a costo di un infame accordo, se pur tattico con i nazisti.

Fu proprio Trotskij a lanciare l’idea della somiglianza tra fascismo e bolscevismo, cavallo di battaglia dell’imperialismo di allora e di oggi.

 

SCOPO DELLA GERMANIA NAZISTA E DELLE POTENZE FASCISTE.

LA “QUINTA COLONNA DI HITLER” IN UNIONE SOVIETICA.

 Lo scopo da ambedue le parti rimane uguale (trotzkismo e nazismo), ovvero far cadere il “Governo Stalin” attraverso l’uso della forza, del sabotaggio e del terrorismo, e poi in seguito dall’azione militare.

Un fatto importante accade tra il 1937 e il 1938 in Unione Sovietica, e che a oggi, di fronte a ciò che fu l’invasione dell’URSS nel giugno 1941, appare molto rilevante, si tratta della chiusura dei Consolati italiani e tedeschi imposta brutalmente e senza alcun riguardo. Il Governo sovietico aveva addotto come ragione il fatto che i Consolati compivano opera politica e sovversiva, ciò è stato provato appunto da quanto viene dichiarato dagli imputati ai “Processi di Mosca”, dove tra l’altro, fra le accuse fatte agli imputati dei processi, figurava quella di attività sovversiva per conto di una “potenza straniera” e tendente a rovesciare il governo.

La “Quinta Colonna” tedesca in Russia, operante nel quadro di un accordo con i Governi giapponese e tedesco, quale risulta dalle deposizioni fatte nel processo:

Gli imputati principali avevano formato una cospirazione ed agivano in base ad un accordo preso con la Germania e il Giappone per aiutare queste potenze nel loro attacco contro l’Unione Sovietica (attacco che ricordiamo avvenne nel 1941).

Avevano collaborato ai piani per l’assassinio di Stalin e di Molotov e per la ribellione militare contro il Cremlino, che doveva essere capeggiata da Tuchačevskij, vice capo supremo dell’Esercito Rosso. Essi hanno effettivamente organizzato il sabotaggio delle industrie e dei trasporti, la distruzione di stabilimenti chimici e di miniere di carbone, seguendo ordini impartiti dallo Stato Maggiore tedesco.

Hanno collaborato con il “servizio di informazioni militari” tedesco e nipponico dando notizie vitali per la difesa dell’Unione Sovietica; hanno cooperato con i rappresentanti consolari tedeschi nei riguardi del sabotaggio e dello spionaggio.

Erano d’accordo con i governi della Germania e del Giappone per collaborare con loro nella guerra contro il Governo sovietico, per formare in seguito uno Stato sovietico indipendente più piccolo.

Avevano accettato che, dopo la conquista germanica, le ditte tedesche sarebbero state favorite per quanto riguarda lo sfruttamento delle enormi risorse di ferro, manganese, petrolio, carbone, legname, ecc. ecc.

Le deposizioni di altri minori imputati hanno dato notizie di azioni particolari di spionaggio o di sabotaggio che molte volte ha costato la vita ha moltissime persone. Knyazev ha confermato d’aver sabotato dei treni carichi di truppe e di aver avuto l’incarico dai servizi d’informazione stranieri di provocare incendi negli arsenali e nei depositi d’armi, ricevendo istruzioni per l’uso di mezzi batteriologici, in tempo di guerra, allo scopo di infettare treni, mense e accampamenti.

Le deposizioni hanno compromesso Tuchačevskij e molti capi dell’esercito e della marina.

Poco dopo il processo Radek, questi uomini sono stati arrestati, sotto accusa di aver formulato un accordo con l’alto Comando germanico per un attacco contro lo Stato Sovietico. Si è saputo di varie attività sovversive nell’esercito. Vi erano collegamenti fra gli organi di cospirazione, il gruppo rivoluzionario politico, il gruppo militare e gli alti comandi tedesco e nipponico.

 

IL VOLO DI PJATAKOV.

DA BERLINO A OSLO PER INCONTRARE TROTZKI.

È stato a tal proposito dedicato proprio un libro, che indaga e fa luce su questa vicenda, che si intitola proprio Il volo di Pjatakov.

Un altro tassello importante da aggiungere ai tanti altri durante il processo di Mosca, riguarda la deposizione fatta dallo stesso Pjatakov, in cui confesserà quanto segue.

Durante il processo di Mosca del gennaio 1937, G.L. Pjatakov, viceministro dell’industria pesante sovietica, dal 1932 fino all’agosto 1936, testimoniò di essere partito in segreto con un aereo dalla Berlino nazista nel dicembre del 1935 anche grazie all’aiuto degli hitleriani al potere, per atterrare dopo poche ore in Norvegia e incontrarsi subito dopo in modo clandestino con Trotskij di cui sostenne di essere, a partire dalla seconda metà del 1931, un sostenitore nascosto e un abile “talpa”, ben inserita da tempo ai massimi livelli dell’apparato economico dell’Unione Sovietica stalinista.

Attorno al volo segreto di Pjatakov ci sono state due versioni, una tra il 1937 e il 1955, che sosteneva la veridicità dei processi in questione, e un’altra dal 1956 fino ai giorni nostri che sostiene la tesi trotzkista, o anticomunista, secondo cui quei processi furono una invenzione e che anche il volo di Pjatakov da Berlino (Germania) a Oslo (Norvegia) per incontrare Trotskij non sia mai avvenuto.

La seconda tesi, quella data nel 1956 è frutto del racconto kruscioviano al XX congresso del PCUS, che ricordiamo, agì in Unione Sovietica come un colpo di stato interno al partito, che utilizzo l’attacco a Stalin per attaccare il socialismo fino ad allora realizzato, riabilitando così la memoria sia di Trotskij che di tutti quegli elementi all’interno del partito con cui sia Lenin che Stalin erano andati in contrasto.

 

Questa è la storia rivelata dai processi.

Non c’è da meravigliarsi se le autorità del Cremlino si siano allarmate.

Quanto grande fosse il loro timore è dimostrato dalla rapidità e dalla energia con la quale hanno proceduto all’epurazione.

Voroscilov, comandante supremo dell’esercito rosso si è espresso così:

«È molto più facile per un ladro entrare in casa se ha un complice che gli apre la porta. Noi abbiamo liquidato i complici».

Si vede ora chiaramente che tutti questi processi, queste epurazioni e liquidazioni, che al momento in cui sono avvenuti hanno così sfavorevolmente impressionato il mondo, erano il risultato dello sforzo energico compiuto dal Governo sovietico per proteggersi, non solo da una rivoluzione nell’interno del paese, ma anche da un’aggressione straniera. Solo così il Paese ha potuto essere liberato da tutti i traditori, ed è per questo che il Russia nel 1941 non ci fu una “Quinta Colonna”, vinse la guerra e inseguì i nazisti fino a Berlino.

 

—————————————————————————————————————

 

Adesso seguiranno alcuni punti che metteranno in risalto alcune dicerie su quei processi.

 

  1. NON FURONO ELIMINATI UOMINI DELL’OPPOSIZIONE, MA DEL GOVERNO.

Partiamo con la prima accusa, secondo cui quei processi sono serviti a Stalin per eliminare fisicamente l’opposizione dal giogo politico. Questa accusa è falsa. Qui bisogna rammentare che gli imputati Pjatakov e Radek così come tutti gli altri imputati, durante e prima dei processi erano entrambi membri di spicco della politica sovietica, molti erano esponenti del Governo e dell’esercito Rosso, e non quindi elementi di una presunta opposizione da eliminare. Se Stalin era appunto il dittatore che decideva su tutto e su tutti non si capisce perché avrebbe messo nel suo stesso governo gli stessi uomini che poi lui stesso avrebbe fatto eliminare.

Un racconto simile non avrebbe effettivamente alcun senso, perché, se Pjatakov e Radek erano sin dal principio dei nemici che avrebbero dovuto essere eliminati, che motivo avrebbe avuto Stalin di metterli affianco a lui fino alla data dei processi?

Pjatakov per esempio fu agli inizi membro dell’opposizione di sinistra verso Stalin, successivamente venne poi reintegrato e divenne Commissario dell’industria sovietica, diventando così un uomo del Governo e non dell’opposizione.

Radek fu invece nel 1927 espulso dal Partito, dove fu reintegrato nel 1929 a seguito della sua autocritica, fu direttore dell’Ufficio informazioni del Comitato centrale, e partecipò con Bucharin all’elaborazione della Costituzione sovietica del 1936, divenne a poco a poco in uno dei principali commentatori sovietici di politica estera.

Tutte queste informazioni servono a rammentare che chi faceva opposizione su alcuni punti, anche fondamentali, non veniva eliminato fisicamente, come viene invece raccontato, ma anzi, molti elementi che prima erano in disaccordo con il partito venivano in seguito, non solo riammessi nel Comitato Centrale del partito, ma anche reintegrati nei punti chiave del Governo sovietico.

Perciò a tal proposito occorre ripetere che non furono processati elementi dell’opposizione, ma coloro che rappresentavano il Governo e le alte cariche, fu perciò questa una lotta sia contro gli elementi marci del Partito ma anche una dura lotta contro la burocrazia stessa. Quale più alta lotta alla burocrazia, se non quella che a partire dal 1936 ha processato e condannato tutti i più potenti elementi di spicco della politica sovietica, dell’esercito, e del governo?

 

  1. I PERICOLI DELL’ATTACCO TEDESCO SI SAPEVANO GIA NEL 1936 GRAZIE AI PROCESSI DI MOSCA.

Un altro punto riguarda la questione della collaborazione tattica dei trotzkisti con la Germania Nazista.

Si dice sempre che i racconti che furono portati al processo sono una totale invenzione del Governo sovietico e quindi di Stalin.

Riflettiamo ora su un punto, se tutto nei processi fosse realmente stato inventato e imparato a memoria dagli imputati, come faceva allora il governo sovietico a sapere e a prevedere dell’imminente attacco nazista all’URSS? Come faceva perciò Stalin a sapere e a mettere in bocca agli imputati ciò che si sarebbe concretizzato nel giugno 1941 con l’invasione tedesca dell’Unione Sovietica?

La risposta viene da sé, ovvero, se i processi di Mosca erano elaborati e montati sopra false accuse, se tutto ciò che dissero gli imputati è stato messo nella loro bocca da Stalin che voleva sbarazzarsi di loro, allora le cose sono due, o che Stalin avesse una sorta di sfera magica, inventando un’accusa che poi si è rivelata vera, ovvero l’attacco della Germania nazista verso l’Unione Sovietica, oppure che tutto era vero, quale delle due è più plausibile?

 

Questo è un altro dei punti chiave del processo, e che dimostra che la collaborazione tattica tra Trotskij e i Nazisti, era tutt’altro che la favola di Stalin e del Governo sovietico. Ecco anche perché il Governo sovietico fu costretto, per via dei gravi pericoli che questo comportava, ad eliminare l’uomo chiave di questo complotto interno, cioè Leon Trotskij.

È risaputo che Trotskij, che fu negli anni precedenti a capo dell’armata rossa, durante la sua permanenza in Messico stava rivelando informazioni chiave di carattere militare contro l’Unione Sovietica in collaborazione con le ambasciate tedesche all’estero.

 

  1. LA LETTERA DI TROTSKY A RADEK.

Trotskij ha sempre sostenuto che Radek e Pjatakov fossero da sempre i suoi più acerrimi nemici, proprio perché secondo sempre lo stesso Trotskij erano dei fedeli stalinisti. Eppure Trotskij dall’esilio in Francia spedì nel 1932 la famosa lettera a Radek, fatto ormai accertato, data la ricevuta della lettera ritrovata dagli archivi Trotskij di Londra. Come mai perciò se lo stesso Radek era un fedele stalinista non avrebbe denunciato alla GPU (i servizi di sicurezza sovietici) un fatto così grave? Anzi, ha invece tenuto nascosto l’accaduto. Evidentemente Trotskij ha sempre raccontato bugie sulla reale scelta di campo trotzkista compiuta da Radek dal 1932-36. Ciò di fatto non lasciava dubbi sulla scelta di campo antistalinista compiuta da Radek in quegli anni.

Come dichiarato dallo stesso Trotskij:

«Io ho dichiarato più di una volta, e lo dichiaro ancora, che Pjatakov, come Radek, per gli ultimi nove anni – quindi come minimo dal 1929 – non è stato mio amico ma uno dei miei nemici più feroci e infidi, e che non ci sarebbe potuta essere alcuna negoziazione o incontro tra noi, se fosse provato che Pjatakov veramente mi ha fatto visita, la mia posizione sarebbe compromessa senza speranza».

 

Chiunque capirebbe che, se tutto il processo sarebbe stato una farsa e, quindi, una montatura, si sarebbero perciò potuto anche esibire copie false della cosiddetta lettera o della sua ricevuta, eppure così non fu.

La ricevuta della lettera in questione fu ritrovata negli archivi Trotskij di Londra molto più avanti.

Gli archivi di Trotskij erano stati infatti consegnati nel 1940 dallo stesso leader della Quarta Internazionale all’università di Harward, con l’impegno che essi rimanessero chiusi ai visitatori fino al 1980, e nei quattro decenni compresi tra il 1940 e il dicembre del 1979 essi vennero visitati con regolarità solo da due fedeli militanti trotzkisti, ossia Isaac Deutscher e Jean Van Heijenoort.

Che motivo c’era perciò – data la presunta falsità dei processi dove, a sentire alcune accuse, tutto era finto e tutto era recitato – di non falsificare sotto minaccia anche la lettera o la ricevuta?

 

  1. IL POPOLO NON SI RIBELLÒ MAI SOTTO LA GUIDA DI STALIN, ANZI, LOTTÒ PER DIFENDERE CIO’ CHE SI STAVA REALIZZANDO.

In Occidente ormai la propaganda ha reso luogo comune pensare all’Unione Sovietica di Stalin come al regno del terrore, eppure basta porsi le giuste domande per darsi già delle semplici riposte.

Poniamoci questa semplice domanda: Perché se il popolo viveva in un periodo, per così dire, oscurantista, non si ribellò mai sotto quella che “dovrebbe” essere stata la burocrazia criminale di Stalin e dei Bolscevichi? anzi, non è occorso nessuno spargimento di sangue e nessun uso della forza pubblica per tenere in piedi il potere sovietico e il governo Stalin di fronte al popolo, c’è stato invece un gioco di spie e di sabotaggi. Ma quelle cose appartengono a un’altra polemica.

Proseguiamo nel dire che nel 1941, a seguito della terribile invasione nazista all’Unione Sovietica, perché il popolo non avrebbe combattuto affianco del nemico che poteva liberarlo da quella che, a sentire il solito disco rotto era una casta burocratica e criminale, e che descriveva il Socialismo come il regno della corruzione organizzata?

Come invece sappiamo il popolo ha portato a termine la Rivoluzione d’Ottobre e la costruzione del Socialismo fino a quell’unità organizzata di popolo che porto alla vittoria nella Seconda Guerra mondiale. Un popolo che, se non fosse stato compatto e unito non sarebbe mai riuscito in questa titanica ed eroica impresa che, certo fu sì merito del popolo, come affermò lo stesso Stalin, ma che fu soprattutto merito del Socialismo, cioè di quel sistema economico avanzato e organizzato che diede le condizioni economiche e materiali a quella vittoria.

 

  1. STALIN NON TOLLERAVA IL DISSENSO?

È completamente falso che Stalin proibisse agli altri dirigenti di esprimersi liberamente e che regnasse la “tirannia” all’interno del partito. I dibattiti e le lotte furono condotti in modo aperto e per lungo periodo. Opinioni sostanzialmente diverse si scontrarono con forza e da ciò sarebbe dipeso l’avvenire del socialismo. Sia in teoria che in pratica, la Direzione raccolta intorno a Stalin dimostrò di saper seguire una linea leninista e che le diverse fazioni opportuniste esprimevano gli interessi della borghesia vecchia e nuova. Stalin non fu solamente paziente e prudente nella lotta, ma permise anche che gli oppositori, dopo aver compreso i loro errori, rientrassero nella Direzione. Stalin credeva veramente nell’onestà delle autocritiche presentate dai vecchi oppositori.

Uno dei testi più esemplari dove si può constatare come Stalin dibattesse con i compagni del partito è proprio uno dei suoi ultimi scritti, Problemi economici del Socialismo in URSS, dove Stalin in maniera pacata e soprattutto “dialettica”, discute e corregge le opinioni dei vari compagni su temi, politici, economici e ideologici.

 

  1. “ERRORI ED ECCESSI” NELLA RICERCA DEI SABOTATORI

Naturalmente non possiamo nascondere che una lotta così titanica contro il nemico esterno ed interno non poteva non portare talvolta a errori processuali anche macroscopici, verificatisi soprattutto a causa del clima di assedio e incertezza creatosi in URSS dopo le rivelazioni dei Processi.

A questo proposito vogliamo citare due casi emblematici che possono gettare un’ulteriore luce sulla comprensione che possiamo cercare di ottenere di quel periodo tremendo.

K. Rokossovskij, ucraino di famiglia nobile, ma decaduta, sbarca il lunario come muratore, si distingue per eroismo nella cavalleria zarista durante la Prima Guerra mondiale, raggiungendo il grado di sergente. Nel 1917, allo scoppio della rivoluzione, aderisce al movimento rivoluzionario percorrendo la carriera nell’Armata Rossa e raggiungendo il grado di generale. Vittima delle epurazioni del 1937-39, di cui respinge coraggiosamente tutte le accuse, trascorre tre anni in carcere. Scagionato e richiamato nel 1940 viene reintegrato con il grado di maggior generale (generale di brigata). Durante la seconda guerra mondiale ebbe nel 1941 il comando di un Corpo d’armata ad ovest di Mosca e nel 1942 quello del settore del Don. Dotato di lucidissime visioni strategiche, comandò le armate del Fronte del Don che distrussero le truppe tedesche della 6. Armata accerchiate nella sacca di Stalingrado nel gennaio 1943. Promosso generale d’armata e poi maresciallo, tenne nel 1944 il comando del 1º Fronte Bielorusso: nel 1945 entrò nella Prussia orientale occupando Danzica e Stettino. Dal 1949 al 1956 fu ministro della Difesa della Polonia e comandante supremo di quell’esercito e il grado di maresciallo di Polonia. Non a caso, dopo il 1956 fu oscurato.

I. Ežov – Capo dell’NKVD dopo l’assassinio di Kirov, dietro sua richiesta, fu ufficialmente sollevato dall’incarico di Commissario del Popolo per gli Affari Interni il 25 novembre 1938, e gli succedette L. Berija che, contrariamente a quanto denunciato da Kruscev, fu colui che mise fine agli eccessi, ripristinando una corretta prassi. Gli arresti scesero bruscamente: negli anni 1939-1940, il loro numero era sceso a più del 90% rispetto agli anni 1937-1938. Il numero delle esecuzioni nel 1939-1940 era sceso al di sotto dell’1% al confronto degli anni 1937-1938. Il 9 aprile 1939 fu pubblicata una comunicazione sullo scioglimento del Commissariato del Popolo diretto da Ežov. Il 10 aprile Ežov fu arrestato e, confessando vari crimini contro lo Stato, ammise di aver fatto uccidere molti dei suoi compagni, dimostrando così che il complotto non solo era sopravvissuto, ma si era istallato ai vertici della macchina che lo doveva stroncare. Condannato a morte, fu fucilato il 4 febbraio 1940.

 

CONCLUSIONI

Siamo giunti alla fine di questo lungo ma interessante excursus su questa vicenda cruciale per la storia del socialismo in URSS. È impensabile, ma anche interessante vedere come una quantità tale di informazioni non riescano a facciano breccia nella storiografia ufficiale e dominante, una storiografia che, se imparziale, dovrebbe invece far luce sui fatti senza farne di questo un uso politico e di parte, cosa che purtroppo invece avviene.

Purtroppo gli anticomunisti e le classi dominanti sono riluttanti a descrivere la realtà, perché accettano solo “storie dell’orrore” che mettano in cattiva luce Stalin, i comunisti e l’esperienza del “Socialismo Reale”, questo perché, come sappiamo, più si avvicina la crisi del capitalismo e più devono a tutti i costi demonizzare l’unica vera alternativa che lo ha fatto e lo continua a far tremare.

 

APPROFONDIMENTI SUGGERITI

https://www.storiauniversale.it/612-BIOGRAFIA-POLITICA-DI-EZOV-E-STORIA-DEI-SUOI-ECCESSI-CRIMINALI.htm

Stalin, un altro punto di vista, Ludo Martens, Zambon Editore, 2005

Krusciov mentì. Grover Furr, La Città del Sole, 2011

Il volo di Pjatakov. La collaborazione tattica tra Trotskij e i nazisti, Burgio D., Leoni M., Sidoli R., Pgreco, 2017

Missione a Mosca, Joseph E. Davies, Donatello De Luigi

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *