Quarto giorno dell’udienza di estradizione: Il processo a Julian Assange rinviato al 18 maggio
di Enzo Pellegrin (*)
Nel momento in cui scrivo, l’ultima udienza del processo per l’estradizione di Julian Assange, la quarta sessione di udienza, si è svolta il 27 febbraio 2020.
Nell’ultima udienza la difesa di Assange ha richiesto che il proprio assistito potesse essere fatto uscire dalla gabbia di vetro per poter sedere vicino ai propri avvocati durante la celebrazione del dibattimento.
Si tratta di un diritto ordinariamente concesso nel nostro processo penale, negato in soli casi di massima sicurezza (maxiprocessi per imputati di associazione di stampo mafioso).
La richiesta era stata motivata dallo stesso Assange, il quale aveva protestato di non potere efficacemente comunicare con i propri difensori.
La richiesta, come molte altre, non ha trovato orecchie ragionevoli nel giudice Vanessa Baraitser, la quale ha avversato la richiesta, affermando che permettere ad Assange di uscire dalla gabbia per sedersi accanto ai propri difensori “costituiva di fatto un allontanamento dalla custodia del tribunale”. Una sorprendente assurdità di dimensioni dickensiane, come l’ha definita il dr. Binoy Kampmark, lettore dell’Università di Melbourne, in trasferta a Cambridge, il quale redige sin dall’inizio una puntuale cronaca delle udienze (1). Nemmeno l’accusa lo ha ritenuto irragionevole, suggerendo che non si debba essere così “tecnici” nella valutazione circa la concessione di tali domande.
Gli scambi di informazioni tra imputato e difensori avvengono attualmente attraverso una serie di foglietti di volta in volta passati da Assange ai propri avvocati attraverso le sbarre.
Si ha sempre più l’impressione che il processo di estradizione abbia una valenza politica e sia svolto in condizioni di particolare compressione dei basilari diritti di difesa dell’imputato. Come è possibile che un così complesso e importante processo, davanti ad un’autorità straniera, venga condotto costringendo l’imputato a comunicare solo in modo differito e non puntuale con i suoi legali?
Come si può pensare esistano così eccezionali ragioni di sicurezza da non poter permettere che egli sieda accanto ai suoi difensori, pur attorniato da guardie di sicurezza?
Si ha l’impressione che la cornice processuale condotta dal giudice Baraitser voglia dipingere l’imputato come un soggetto pericoloso, al di là della concretezza.
L’argomento della quarta udienza verteva sulle accuse di spionaggio e la loro relazione con l’attività politica. Lewis, procuratore per l’accusa statunitense che chiede l’estradizione di Assange, ha dichiarato che le condotte di spionaggio di Assange non hanno avuto una motivazione politica. Non era in corso una lotta tra diverse fazioni politiche opposte, né le azioni di Assange erano motivate dal fine di sollecitare cambiamenti nella politica del Governo Statunitense, non era giornalismo, né opposizione politica, erano semplicemente attività di trasmissione di elementi riservati al nemico, e non si può parlare di “reato politico”, né potrebbe affermarsi che Assange verrebbe sottoposto a un processo politico qualora venisse estradato, questione che frapporrebbe ostacoli alla estradizione.
Tale punto è proprio ciò che la difesa di Assange ha contestato: le principali attività editoriali di Assange erano volte a promuovere il mutamento della politica statunitense, nei teatri chiave di Iraq e Afghanistan. «Perché stava cercando di pubblicare le regole di ingaggio?», ha chiesto la difesa. «Sono state pubblicate per dimostrare che erano stati commessi crimini di guerra, per dimostrare che le regole di ingaggio erano state violate».
A prescindere dalla pubblicazione dei fascicoli di Guantanamo, è stato un atto compiuto per rivelare la portata della tortura perpetrata nel corso della “guerra al terrorismo”. Tutto questo, ha sostenuto Edward Fitzgerald, avvocato della difesa, ha cambiato la politica del governo. «WikiLeaks non ha solo cercato di indurre il cambiamento, lo ha fatto.» (2)
D’altronde, la difesa sta provando in modo documentale, citando le dichiarazioni di componenti dello stesso Governo Statunitense, che Assange era visto dal Governo come un attore politico con un’agenda politica. Queste sono state ad esempio le parole dell’ex portavoce del Dipartimento di Stato P.J. Crowley nel 2010.
Non è un caso che Crowley sia stato rimosso proprio dopo questa sua interazione con Wikileaks. Nel marzo del 2011, in un discorso ad un seminario del Massachussets Institute of Technology, Crowley commentò nel modo che segue, a proposito del trattamento riservato a Chelsea-Bradley Manning alla base dei Marine a Quantico, Virginia: «Quello che si sta facendo a Bradley Manning è ridicolo, controproducente e stupido da parte del Dipartimento della Difesa» (3). Dopo questo discorso egli fu costretto a dimettersi.
È la prima volta nella storia degli USA che un giornalista è stato incriminato con l’Espionage Act, del 1917, volto alla punizione delle spie che passano informazioni segrete al nemico. Eppure l’attività di Wikileaks non è mai consistita nel passare informazioni al nemico; sono semplicemente stati pubblicati documenti segreti che rivelano crimini di guerra e torture: 91mila file segreti sulla guerra in Afghanistan, 391mila su quella in Iraq, 251.287 cablo della diplomazia Usa, 779 schede dei detenuti di Guantanamo. Si tratta di documenti che il New York Times, il Guardian, lo Spiegel e decine di altri grandi media nel mondo hanno rivelato in collaborazione con WikiLeaks.
L’accusa ha sostenuto che la pubblicazione di tali informazioni poteva mettere in pericolo l’attività militare degli USA. Questa è un’accusa che è stata più volte lanciata, anche nel processo contro Chelsea Manning, senza mai fornire la prova di un concreto danno derivato dalla pubblicazione di tali informazioni, le quali non hanno mai riguardato operazioni belliche riservate, ma semplicemente la commissione di crimini di guerra all’interno dei luoghi di detenzione dei prigionieri di guerra.
Più l’accusa tenta di sostenere che non si tratta di un processo al giornalismo, più appare netto che l’attività di Assange è consistita nel puro giornalismo, inidoneo a passare informazioni al nemico dannose per gli USA, ma idoneo semplicemente a documentare una criminale attività del Governo nel trattamento dei prigionieri di guerra.
Anche in tale udienza, dunque, la difesa ha energicamente ed efficacemente controdedotto e confutato le argomentazioni dell’accusa, dimostrando che il processo che si vuole celebrare negli Stati Uniti, nei confronti di Julian Assange, ha natura squisitamente politica, perché politico era il suo operare, all’interno del diritto di manifestazione del pensiero e di fare informazione garantito dalla Carta Fondamentale Americana. Assange e Wikileaks avevano svolto il ruolo di oppositori politici, realizzando appieno quel controllo democratico che le Costituzioni degli Stati – compresa quella degli USA – nonché le Convenzioni internazionali per i diritti umani, ritengono funzione indispensabile per poter garantire la democrazia. Ogni persecuzione di questo ruolo e di queste azioni diviene una persecuzione politica.
L’udienza è stata rinviata al prossimo 18 maggio, a causa dell’emergenza dovuta alla Pandemia di Covid 19.
L’atmosfera del processo rimane però sempre la stessa: potrà una Corte diretta da un Presidente che si ostina nei formalismi, per negare diritti così basilari come quelli di sedersi vicino al proprio difensore, ascoltare in modo adeguato le argomentazioni logiche della difesa?
Ci saranno orecchie ragionevoli nel processo di estradizione a Julian Assange?
Enzo Pellegrin, avvocato penalista a Torino
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