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PRODUTTIVITÀ E LOTTA DI CLASSE

Nella sua Relazione Finale il Governatore della Banca d’Italia, Vincenzo Visco, ha posto l’accento su un nodo storico del mercato del lavoro italiano: la produttività. È una lamentela che viene sempre ripetuta, che ha basi reali, ma che quasi sempre non va a colpire le vere cause e le vere conseguenze connesse.

“Bassa produttività perché i lavoratori producono poco”, sembra quasi scontato. Vediamo che in realtà è proprio il contrario.

La prima osservazione di carattere ideologico è la seguente. Sebbene la produttività si possa misurare in diversi modi, il metodo più appropriato è quello che fa riferimento al valore aggiunto per lavoratore o per ora lavorata. Quindi i fattori trasformati – il capitale costante, diceva Marx – entrano ed escono senza fare gioco. Siccome i lavoratori eseguono quello che i padroni impongono loro di fare nelle ore di servizio, non c’è dubbio che lagnarsi della produttività significa bocciare chi dirige e governa il lavoro e non chi lo esegue. Ossia i padroni. Più efficiente è una determinata gestione, maggiore è l’indice di produttività. Del resto questi non possono più nascondersi dietro false scuse accampate negli anni passati legate alla “rigidità” del lavoro, in quanto oggi – dopo le infauste riforme perseguite con uguale animosità antioperaia da governi di destra e sinistra – i lavoratori sono tutti egualmente schiacciati nella precarietà e si trovano “con la pistola puntata alla testa”, come amava dire un elegante imprenditore a proposito dei propri dipendenti.

Ma se questo discorso ideologico, ossia logico e storico, non è sufficiente a dimostrare il nostro ragionamento, guardiamo i dati statistici, pubblicati da organizzazioni che di tutto possono essere accusate tranne che di essere pregiudizialmente avverse agli imprenditori.

La produttività del lavoro non si riferisce solo alle prestazioni dei dipendenti, ma anche all’utilizzo e ai tempi di risposta di attrezzature e macchinari e persino all’implementazione di metodologie e processi di lavoro.

In un confronto tra l’Italia e altri paesi, aggiornato ai dati del 2021, il rapporto tra il PIL e il numero di lavoratori e di ore complessivamente lavorate è il seguente

PIL ora lavorata e lavoratore 2021

 

L’Italia si posiziona dopo tutte le principali economie europee ad eccezione della Spagna. Il valore del PIL per ora lavorata è di 42,4 euro e per lavoratore di 70.664 euro.

Rispetto alla Germania (il più produttivo tra i grandi paesi europei) la distanza dell’Italia in termini di produttività per lavoratore sia inferiore rispetto alla distanza in termini di ora lavorata: la differenza è rispettivamente del -11,1% e del -28,1%. Situazione analoga anche rispetto alle altre principali economie dell’UE più produttive dell’Italia.

Cosa significa? Che nel nostro paese una persona occupata lavora in media più ore rispetto ai colleghi dei paesi citati in precedenza. Ad esempio le ore lavorate per occupato nel 2021 in Italia sono state 1.668 contro le 1.349 della Germania o le 1.490 della Francia. Però, pur lavorando più ore, non riesce a produrre quanto fanno gli altri. È colpa dei lavoratori o di chi organizza il loro lavoro? È colpa di chi si sbatte alla catena di montaggio, al call center, al banco, per strada, o di chi non riesce, non vuole, non sa rendere quel lavoro un lavoro più “produttivo”?

Si dirà: “ma allora i lavoratori italiani, che lavorano più ore, guadagnano di più dei loro colleghi!” ed è questa la causa del malfunzionamento dell’economia italiana. Ebbene, ogni lavoratore sa bene che non è così.

L’Italia – ha fatto scandalo – è l’unico paese in Europa dove negli ultimi trent’anni i salari sono diminuiti!

Quindi, sintetizzando, se la concorrenza con le altre nazioni si persegue esclusivamente comprimendo i salari e non aumentando la qualità del lavoro – e quindi del prodotto, e quindi del lavoratore – il risultato è quello di spingere l’economia della nazione verso il sottosviluppo. È la strada più semplice per un’imprenditoria imbelle, capace solo di puntare al profitto a breve e a tutti i costi, affamando i propri lavoratori che vengono visti come limoni da spremere e buttare il più presto possibile. Quindi tutta la retorica sul “capitale umano” da coltivare, sul “sistema paese” da far crescere tutti insieme, sulla necessità di “innovare”, sulla “cultura di impresa” lor signori se la potrebbero pure risparmiare e dovrebbero confessare che i loro riferimenti culturali sono i campi di cotone dell’America schiavistica.

L’Italia è il paese in Europa che ha il minor numero di laureati per abitante e il maggior numero di laureati disoccupati. Ossia, un paese da “Via col vento”.

Ma quando è cominciato questo disastro culturale, prima ancora che economico?

Vediamo ora l’andamento nel tempo della produttività oraria in Italia e in alcuni altri paesi. In Italia dal 1995 la produttività è cresciuta di poco più del 10%, quasi il 40% dall’Eurozona.

Prodotto interno lordo reale per ora lavorata in Italia e altri paesi (1970-2021)

Mentre la produttività di Germania e Francia ha avuto nel tempo un andamento abbastanza simile, l’Italia ha inseguito fino alla fine degli anni ’70, ha subito un rallentamento dai primi anni ’90, fino alla stagnazione a partire dai primi anni 2000.

Cos’è successo di politicamente rilevante in quegli anni? Alla fine degli anni ’70 si è avuta l’involuzione politica in seguito alla grande sconfitta della classe operaia di Torino e la “marcia dei quarantamila” del 14 ottobre 1980. Il modello della concertazione, specie dopo gli accordi interconfederali del 1993, la cosiddetta politica dei redditi di cui sono stati grandi sostenitori Carlo Azeglio Ciampi e Romano Prodi e, tra i giuslavoristi, Gino Giugni. Per culminare nell’ingresso nella moneta unica a inizio 2002.

In conclusione.

Primo. Non è vero che un mercato più flessibile rende più competitiva la nazione. In verità la rende in prospettiva meno competitiva, perché la concorrenza si farà solo al ribasso non aumentando la produttività, ma solo lo sfruttamento. Invece un mercato del lavoro maturo e forte costringe all’innovazione e allo sviluppo.

Secondo. Non è vero che il sottosviluppo dell’Italia dipende dagli alti salari, ma in verità è esattamente l’opposto. Solo con salari alti si può garantire quel tasso di sviluppo necessario. Inoltre si coltiva anche un mercato interno elevato e si diminuisce la necessità di cercare sbocchi commerciali necessariamente fuori dalla nazione.

Queste considerazioni dimostrano che quello che viviamo in Italia è il capitalismo più puro e incontrastato, che non ci possa essere un percorso capitalistico che lasciato a se stesso porti al benessere collettivo. Se andiamo a vedere in profondità anche il malessere in Germania, in Francia, in Spagna – per non parlare degli Stati Uniti – la classe lavoratrice si trova ad affrontare problemi analoghi a quella italiana, anche se qui e là in forme a volte meno gravi.

La soluzione intanto è far recuperare ai lavoratori italiani la consapevolezza ideologica che la causa del disastro che viviamo non sta in loro, ma è colpa dei loro padroni. Inoltre, i lavoratori devono essere consapevoli che lottare per salari più alti, posti di lavoro più sicuri e dignitosi è nel bene di tutta la nazione e non solo loro e delle loro famiglie, mentre invece abbandonare le lotte è un male per loro e per tutto il Paese. Inoltre che la soluzione non si trova dentro le “compatibilità” farlocche inventati dai reggicoda dei padroni, ma in una nuova società in cui chi produce decide come quando quanto perché e per chi produrre. Il socialismo.

 

vedi https://grafici.altervista.org/prodotto-interno-lordo-reale-ora-lavorata-lavoratore-italia-altri-paesi
I dati sulla produttività per lavoratore e per ora lavorata sono stati calcolati a partire dai dati del PIL nominale espresso in euro tratti dal sito AMECO sezione “Domestic product; Gross domestic product; At current prices (UVGD)”.
Dal PIL nominale è stato calcolato quello reale utilizzando l’indice deflatore “Price deflator (PVGD)” tratto dalla stessa sezione precedente. L’anno di riferimento è stato portato dal 2015 al 2021.
I dati sul totale ore lavorate sono tratti sempre dal sito AMECO sezione “Domestic product; Gross domestic product; Gross domestic product per hour worked; Total hours worked (NLHT)”.
I dati sul numero dei lavoratori sono stati ottenuti dividendo il dato precedente per il numero di ore lavorate per persona occupata, “Average annual hours worked per person employed (NLHA)”, tratti dalla stessa sezione precedente.

1 Comment

  1. Luigi ha detto:

    Il nostro organo di informazione si rivela come sempre una guida insostituibile per ogni compagno, ogni sincero democratico ed anche semplicemente estraneo alla politica ma che mal sopportano i riduzionismi comodi alle classi dominanti.

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