Proteste popolari in Cile contro il governo: comunisti invocano Assemblea Costituente

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Proteste popolari in Cile contro il governo: comunisti invocano Assemblea Costituente

Da diversi giorni, il Cile, nella capitale Santiago e in molte altre città, è attraversato da forti proteste popolari e manifestazioni di massa contro la politica antipopolare del governo del presidente reazionario Sebastian Piñera, che aggrava le condizioni di vita delle masse operaie e popolari. La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stato il nuovo incremento delle tariffe del trasporto pubblico (già i più alti del continente latinoamericano) e dei beni di prima necessità che segue l’aumento delle tariffe dell’elettricità. Ma la protesta ha assunto da subito una dimensione più generale e rivendicazioni di carattere politico.

Militari affrontano con i blindati le proteste del popolo cileno

In risposta alla crescente rabbia popolare, il governo ha dichiarato lo Stato d’Emergenza, schierando l’esercito per le strade e proclamando il coprifuoco in varie regioni del paese, inclusa la regione metropolitana di Santiago, come non accadeva dai tempi della dittatura di Pinochet. Le dichiarazioni provocatorie di Piñera, imprenditore e fratello del ministro del lavoro all’epoca di Pinochet, sono emblematiche: «Siamo in guerra contro un nemico potente e implacabile che non rispetta nulla ed è pronto a usare la violenza e il crimine senza alcun limite», ha affermato senza vergogna rivolgendosi contro il suo stesso popolo in strada, provocando ancora più indignazione in un paese tra i più diseguali al mondo, in cui il tasso di povertà reale raggiunge il 27% della popolazione, con un abisso a separare il 10% più ricco e il 10% più povero, dove quasi un terzo dei lavoratori sono impiegati in lavori informali o non permanenti e uno su due ha una scarsa alfabetizzazione a causa di un sistema educativo dai costi proibitivi.

Decenni di politiche neoliberiste implementate da governi di destra e centrosinistra, in continuità con le direttrici dell’era Pinochet e dei Chicago Boys, hanno prodotto privatizzazioni e mercificazione dei servizi, un salario minimo di 400€ che non permette una vita dignitosa dato l’elevato costo della vita, il 70% della popolazione indebitata con banche e società finanziarie, un sistema pensionistico privato dove il 90% dei pensionati deve sopravvivere con 200€ al mese e un sistema sanitario disastrato dominato dal privato. Il tutto mentre le immense risorse e ricchezze del paese si concentrano nelle mani di poche oligarchie e delle multinazionali estere che possiedono, tra le altre, i due terzi del rame (primaria risorsa del paese) e il 75% dei profitti generati dalla produzione mineraria.

Manifestanti, studenti e lavoratori danno vita a mobilitazioni di massa, blocchi stradali, barricate e scontri fronteggiando la dura repressione statale dei Carabineros che ha causato ad oggi 15 morti, 1.500 feriti e più di due mila detenuti, condotta da uno di quei governi considerati come “campioni della democrazia” del famigerato gruppo di Lima che gode del sostegno degli USA e dell’OSA.

Militari pattugliano le strade della capitale del Cile

Allo stesso tempo, la Centrale Unitaria dei Lavoratori (CUT) e vari sindacati di settore sono scesi in campo alimentando la protesta sociale proclamando uno sciopero generale per mercoledì 23 ottobre, mentre la maggior parte delle scuole, dei trasporti pubblici, grandi magazzini, sono rimasti chiusi nella giornata di lunedì. Le proteste hanno al momento ottenuto il ritiro dell’aumento delle tariffe del trasporto pubblico, ma la rivolta continua chiedendo le dimissioni del governo di Piñera e la fine delle politiche capitaliste neoliberali e della repressione statale.

Anche il forte sindacato dei portuali (Unión Portuaria de Chile) è sceso in campo negli ultimi giorni iniziando il blocco nei porti in solidarietà alla lotta del popolo lavoratore cileno. In una sua dichiarazione afferma che «paralizziamo il paese non solo per richieste sindacali, ma perché pensiamo che la situazione apre uno scenario di rifondazione e che il Cile non sarà più lo stesso da adesso. Convochiamo uno sciopero generale dove tutto il popolo si esprime, con animo democratico e trasformatore. Noi lavoratori portuali siamo impegnati con i cambiamenti politici e sociali e per questo, proponiamo all’insieme del movimento sindacale di dichiararsi per una Assemblea Costituente dei lavoratori e del popolo. Solo un’Assemblea Costituente aprirà la possibilità di discutere un nuovo modello produttivo, industriale e di sviluppo, un nuovo quadro di relazioni lavorative, una rinazionalizzazione del rame e delle risorse naturali, tra le altre richieste sentite dal nostro popolo».

Dalla pagina FB dell’Unión Portuaria Del Centro

Alle mobilitazioni si uniscono anche i minatori, come annunciato dal Frente de Trabajadores Mineros, dal sindacato n. 1 della Escondida, la più grande miniera privata del paese controllata dalla multinazionale australiana BHP. In un comunicato afferma che «noi lavoratori e lavoratrici siamo parte integrante di questa società e ancor di più siamo l’asse centrale che conforma la classe lavoratrice, e di fronte ai gravi fatti accaduti non possiamo guardare in silenzio e non possiamo rimanere immobili mentre il nostro popolo sta lottando.[…] Esiste un solo potere che nessuno può toglierci, che nessuno può obbligarci e che nessuno è in grado di eguagliare, e questo è il potere di produrre. Non si genera alcun profitto, non si muove una sola macchina e non si semina o raccoglie alcun cibo se non è per le mani dei lavoratori e delle lavoratrici. Questo è il potere maggiore di tutti, è sicuro, pacifico, protettore, di classe e fratellanza per il nostro popolo». Insieme ad anche la Coordinadora de Trabajadores de la Mineria (CTMIN) chiamano tutti i minatori a mobilitarsi contro lo schieramento dei militari nelle strade, il coprifuoco e per il soddisfacimento delle rivendicazioni popolari.

Attivamente coinvolti nelle mobilitazioni le organizzazioni comuniste cilene: il Partito Comunista del Cile osserva in una dichiarazione che il Presidente ha perso ogni contatto con la realtà, invitandolo ad andare alle urne se non è in grado di governare, e di porre fine alla repressione statale. Il Partito Comunista Cileno (Azione Proletaria) afferma che bisogna porre fine «al governo delle oligarchie, la dittatura dei monopoli e le grandi imprese, che strangola i lavoratori con salari da miseria, con la flessibilità lavorativa, il saccheggio dell’acqua, la distruzione dell’ambiente», attraverso la lotta per «la Rifondazione del Cile, unica garanzia di conquistare le nostre rivendicazioni sociali e non soluzioni di facciata che non durano nulla», chiamando a «mantenere lo spirito di lotta per le grandi trasformazioni sociali» con la rivendicazione di una «Assemblea Costituente che rifletta le vere aspirazioni del popolo del Cile».

Dalla pagina FB Partido Comunista Chileno (Acción Proletaria) PC(AP)

Anche il Fronte Patriottico Manuel Rodriguez (FPMR), rivendica una nuova Assemblea Costituente e la rinuncia del governo Piñera, denunciando il «ritorno del terrorismo di stato» e il ruolo degli ufficiali dell’esercito asserviti «all’oligarchia, la borghesia e multinazionali». Il FPMR denuncia inoltre le macchinazioni e provocazioni ordite contro i manifestanti attraverso le infiltrazioni di gruppi paramilitari e criminali per creare caos e giustificare la repressione statale, chiamando il popolo a non cadere nelle trappole e provocazioni ma a continuare a mobilitarsi prendendo le misure per «difendersi e affrontare il nemico, con tutta la forza della storia». «Non permetteremo omicidi, né torture, né violazioni dei diritti umani. Saranno giudicati dal popolo, non permetteremo che si ripeta una dittatura» – afferma l’organizzazione politica erede della resistenza armata contro la dittatura di Pinochet.

Sostegno «alle giuste rivendicazioni del popolo cileno contro la politica antipopolare» è stata espressa dalla Federazione Sindacale Mondiale che ha condannato «la violenza e la repressione da parte del governo».

La sollevazione di massa in Cile arriva a pochi giorni da quella avvenuta in Ecuador che ha portato al ritiro di alcune delle misure del pacchetto antipopolare del governo Moreno e del FMI. Al contempo si sviluppano da oltre un mese proteste di massa, con almeno 20 morti e circa 200 feriti, anche nel paese caraibico di Haiti contro il governo di Jovenel Moïse, fantoccio degli USA e del Core goup (composto da rappresentanti delle Nazioni Unite, del Brasile, Canada, Francia, Germania, Spagna, UE, USA e OSA), le politiche antipopolari e la crisi energetica derivante dall’embargo contro il Venezuela che stanno duramente colpendo i lavoratori e le classi popolari sempre più ridotte alla miseria e a dure condizioni di vita.

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