Riceviamo e pubblichiamo il seguente articolo che fa una critica serrata alla situazione che c’è in Italia per quanto riguarda il diritto delle donne ad accedere ai servizi previsti dalla legge 194 sull’Interruzione Volontaria di Gravidanza (IVG). La violazione dei diritti reali sanciti da questa legge si scarica principalmente, se non unicamente, sulle donne appartenenti ai ceti popolari e sulle loro famiglie, che non hanno la possibilità di affrontare privatamente questo doloroso percorso. Una delle situazioni in cui si somma, ancora una volta, il colpevole disinteresse dei Governi e di tutto lo Stato, gli interesi di una casta inattaccabile e i tagli selettivi contro le classi popolari a cui abbiamo assistito nei lunghi decenni passati nella sanità.
di Carlotta Zanzottera
“Quanti anni ha?”
“35”
“Livello di istruzione?”
“Laurea Magistrale”
“Occupazione?”
“Libera professionista”
“Può andare e ci pensi, ha tempo”
Ma Lei… chi è?
Così ogni donna che decide di intraprendere un’interruzione volontaria di gravidanza (IVG) inizia il suo iter. Il colloquio con il medico prevede che la donna fornisca i propri dati sul livello di istruzione, occupazione, stato di famiglia, etc. Questo per permettere al Ministero della Salute di pubblicare annualmente una relazione sull’attuazione della legge 194/1978 che, come vedremo, tradisce i propri obiettivi contribuendo ad aumentare la disinformazione in tema di aborto.
Il primo dato allarmante è il considerevole ritardo con cui la suddetta relazione viene pubblicata; se infatti essa dovrebbe essere pubblicata nel mese di febbraio, quest’anno è stata pubblicata il 17 settembre e presenta i dati relativi al 2019 insieme a minime valutazioni preliminari del 2020.
Torniamo indietro di un passo, se i dati delle donne che fanno ricorso all’IVG vengono puntualmente raccolti per permettere una profilazione dettagliata delle loro caratteristiche, così non succede per i dati del personale sanitario che si occupa o si dovrebbe occupare dell’IVG. Una profilazione sbilanciata, insomma, che mette sotto la lente di ingrandimento le donne ma mantiene nell’ombra il personale sanitario.
Nei prossimi paragrafi cercherò di dimostrare questo punto e la conseguente disinformazione che la relazione[1] promuove. A una prima e veloce lettura, l’attenzione è attratta dalle continue frasi in grassetto che sottolineano una diminuzione del numero delle IVG in tutte le aree geografiche, in tutte le classi d’età, tra le minorenni, tra le donne con precedenti esperienze abortive, tra le donne straniere (che continuano, tuttavia, ad avere una percentuale di IVG più alta delle italiane, da notare come questo dato non sia in grassetto). Dei 14 punti di analisi sulla situazione dell’IVG presenti nella relazione, 11 sono relativi alla profilazione delle donne e solamente 3 trattano temi strutturali, questi ultimi sono: il ricorso al consultorio familiare, all’aborto farmacologico e come ultimo punto i dati relativi all’obiezione di coscienza. Vediamoli nel dettaglio questi punti:
Come si vede, i dati relativi al ricorso al consultorio familiare, l’aborto farmacologico e l’obiezione di coscienza non vengono messi in relazione con i dati relativi al numero di IVG effettuate. Questo significa che l’intera relazione presenta una diminuzione delle interruzioni di gravidanza che si basa solamente sui numeri di IVG effettuate per età, per area geografica, per nazionalità delle donne, senza mettere in relazione questi dati con i dati strutturali. La percentuale di obiezione di coscienza e il numero di strutture che offrono l’aborto farmacologico non vengono messi in relazione con il numero di IVG effettuate, né vengono messi in relazione tra loro. Così il numero di obiettori tra i medici di base o tra il personale ostetrico e ginecologico non viene collegato con il dato relativo ai ricorsi al consultorio, dato che potrebbe spiegare la decisione delle donne di rivolgersi al consultorio (iter molto più insicuro e impersonale rispetto a quello che ci si potrebbe aspettare rivolgendosi al medico di famiglia). In definitiva, questa relazione presenta numeri senza spiegazioni e tutto il sistema strutturale non viene preso in considerazione. Al contrario, il Ministero della Salute sembra sminuire quelli che sono a tutti gli effetti i dati strutturali più allarmanti: l’obiezione al 67% dei ginecologi, al 43,5% degli anestesisti, al 37,6% del personale medico e il numero variabile di strutture che offrono l’aborto farmacologico. Quest’ultimo dato merita una breve riflessione: il numero esatto di strutture che offrono l’aborto farmacologico manca. Siamo davanti a un dato strutturale importante, che non dovrebbe essere lasciato nel vago da una relazione che si propone di informare la cittadinanza circa l’attuazione della legge 194. Soprattutto, la somministrazione dell’aborto farmacologico non dovrebbe essere variabile, ovvero materia di decisione del personale medico delle strutture, ma dovrebbe essere regolamentato per legge. A coloro che sono avvezze/i ai resoconti sulle questioni femminili, non sfuggirà il paragone di questa relazione con i dati forniti annualmente dalla Direzione Centrale della Polizia circa il numero di reati quali gli atti persecutori, i maltrattamenti contro familiari o conviventi e le violenze sessuali. Leggiamo infatti che questi sono in diminuzione[2], eppure…Eppure la realtà viene ogni giorno a bussare alla nostra porta e ci ricorda quanto questo numero in diminuzione non significhi altro che la mancanza di strutture atte a proteggere le donne che denunciano e che comportano una diminuzione di denunce, non di reati.
E così per l’ aborto: il Ministero ci dice che il numero è in diminuzione, ma tralascia di dire quello che le donne dicono e cioè che abortire è un iter estremamente difficile, fino a diventare impossibile nei casi più estremi. La difficoltà nasce dalla mancanza di informazioni, in primis proprio dal Ministero della Salute, dalla mancanza di strutture e dall’alto numero di obiettori di coscienza. Come ha decretato il Comitato Europeo per i Diritti Sociali, a distanza di due anni dall’ultima sentenza, l’accesso all’interruzione di gravidanza in Italia risulta non ancora garantito:
“In Italia permangono disparità d’accesso all’interruzione di gravidanza a livello locale e regionale e i dati forniti dal governo non dimostrano che il personale medico specializzato nel fornire il servizio sia sufficiente. Inoltre il governo deve dimostrare che i medici non obiettori non sono discriminati rispetto agli obiettori per quanto riguarda le condizioni di lavoro e le prospettive di carriera” [3].
E aggiunge che:
“Il governo non ha fornito alcuna informazione sul numero o percentuale di domande d’aborto che non hanno potuto essere soddisfatte in un determinato ospedale o regione a causa del numero insufficiente di medici non obiettori.” [4]
Dunque, sarebbe intellettualmente onesto per rispondere alla cittadinanza e al Comitato Europeo per i Diritti Sociali che il numero di IVG effettuate venga presentato per Regione e che venga messo in relazione al numero di strutture e alla presenza di obiettori di coscienza in quella stessa Regione.
In ultima analisi, il Ministero ci dice che le IVG sono in diminuzione, le donne ci dicono che abortire è un’esperienza resa terribile da quel sistema ospedaliero che dovrebbe proteggere invece che condannare[5], come molto implicitamente scritto nella stessa relazione del Ministero:
Come evidenziato nell’indagine promossa dal Ministero della Salute (CCM Azioni centrali 2017) e coordinata dall’ISS, il consultorio non offre solo questo servizio[6] ma svolge un importante ruolo nella prevenzione dell’IVG e nel supporto alle donne che decidono di interrompere la gravidanza, anche se non in maniera uniforme sul territorio.
Anche se in maniera poco uniforme…
Ritengo, dunque, che questa relazione non porti una puntuale presentazione dei dati sull’obiezione di coscienza. Per questo motivo, non la giudico una relazione che abbia come obiettivo quello di rendere conto dell’attuazione della legge 194/1978, ma piuttosto quello di una mera profilazione delle donne che interrompono una gravidanza.
Ciò che manca sono i dati relativi al personale medico: il numero di obiettori divisi per Regione, per professione, per numero di anni di servizio, e il dato relativo alle strutture atte a effettuare le IVG: il numero complessivo e la sua diffusione per Regione. Questi dati devono essere poi messi in relazione tra loro, in modo da presentare puntualmente la diffusione del personale obiettore per tipologia di struttura.
Infine, i dati relativi al personale medico e alle strutture devono essere messi in relazione con il numero di IVG effettuate. Inoltre, una relazione il cui scopo è quello di informare la cittadinanza circa l’attuazione della legge 194, dovrebbe riportare le situazioni dove le tutele garantite dalla legge sono in pericolo. Infatti, la legge prevede l’obiezione di coscienza ma impone dei limiti: gli obiettori non vengono autorizzati a
Omettere di prestare l’assistenza prima ovvero successivamente ai fatti causativi dell’aborto, in quanto deve comunque assicurare la tutela della salute e della vita della donna, anche nel corso dell’intervento di interruzione della gravidanza“.
Questo principio, evidenziato dalla Cassazione, era già esplicato nello stesso art. 9, il quale dice che
“Gli enti ospedalieri e le case di cura autorizzate sono tenuti in ogni caso ad assicurare lo espletamento delle procedure previste dall’articolo 7 e l’effettuazione degli interventi di interruzione della gravidanza richiesti secondo le modalità previste dagli articoli 5, 7 e 8”.
Di fatto dunque, anche se prevista dalla stessa legge, l’obiezione di coscienza non può costituire un impedimento alla tutela della salute della donna anche nel corso dell’interruzione di gravidanza e gli enti ospedalieri devono assicurare l’effettuazione delle IVG. Quindi, un’obiezione al 70% sul territorio nazionale che impedisce di tutelare ciò che la legge stessa impone dovrebbe essere il dato maggiormente relazionato al Parlamento e a tutta la cittadinanza. Questo affinché vengano prese maggiori tutele per il controllo della percentuale di obiezione da un lato e per l’aumento di strutture pubbliche dall’altro. Al contrario in Lombardia, con la riforma sanitaria promossa dalla Moratti, i distretti verranno ridotti a 1 su 100.000 abitanti con la conseguente diminuzione delle strutture pubbliche. Prospettiva tragica se si pensa che i consultori familiari, già nel 2018, erano nettamente inferiori rispetto a quanto prescritto dalla legge 34/96: 0,3 invece che 1 struttura per ogni 20.000 abitanti. La diminuzione delle strutture pubbliche peserà maggiormente sulle donne provenienti dalle classe più disagiate, che saranno costrette a spostarsi anche di molto per recarsi al consultorio meno lontano. D’altro canto, il controllo della percentuale di obiezione permetterebbe di far fronte alle problematiche espressa da LAIGA, Libera Associazione Italiana Ginecologi per l’Applicazione della Legge 194, che denuncia l’eccessivo carico di lavoro per i ginecologi e le ginecologhe non obiettori e obiettrici. Questi ultimi, infatti, si vedono costretti a far fronte a un’eccessiva mole di lavoro rifiutato dai colleghi obiettori. Non da ultimo, l’associazione denuncia la discriminazione subita dal personale non obiettore sia da parte dei colleghi che dalle politiche di assunzione, che tendono a favorire personale obiettore. Il mancato rispetto dell’attuazione della legge 194, quindi, oltre che pesare sulle donne e specialmente sulle donne provenienti dalle classi più disagiate, pesa anche sul personale medico[7].
In conclusione, mi sembra opportuno ricordare che da anni le associazioni in difesa della 194 chiedono un maggiore impegno da parte delle istituzioni verso una maggiore informazione ed educazione. Queste dovrebbero comprendere una mappa delle strutture ospedaliere dove le donne possano ricorrere all’IVG in maniera sicura e libera da pregiudizi, progetti e iniziative formative di lunga durata nelle scuole, che abbiano al centro un’educazione a una sessualità consapevole ed infine la pubblicazione e la diffusione capillare di informazioni circa il proprio diritto all’aborto e i passi da fare qualora si decidesse di interrompere una gravidanza.
[1] https://www.salute.gov.it/portale/news/p3_2_1_1_1.jsp?lingua=italiano&menu=notizie&p=dalministero&id=5593
[2] Secondo quanto emerge dal report “Vite Violate” pubblicato dal Dipartimento della Pubblica Sicurezza , Direzione Centrale della Polizia Criminale, servizio analisi criminale https://www.interno.gov.it/sites/default/files/2021-07/violenza-di-genere-primo-semestre-2021.pdf
[3] ANSA https://www.ansa.it/canale_saluteebenessere/notizie/medicina/2021/03/24/consiglio-deuropa-in-italia-ancora-difficile-abortire_4eb44080-c859-43d9-99c8-8cc191f1e795.html
[4] Ibidem
[5] Basti pensare alla campagna: In nome di tutte, pubblicata su L’Espresso: https://espresso.repubblica.it/argomenti/in_nome_di_tutte dove vengono raccolte e pubblicate le storie di donne che hanno subito traumi e violenza ginecologica e ostetricia
[6] IVG
[7] https://www.laiga194.it/sai-qual-e-la-percentuale-di-obiettori-e-obiettrici-nella-tua-regione/