RIFLESSIONI sulla morte di “George Floyd”.
di Gery Bavetta
La questione razziale in USA è oggi più che mai argomento di dibattito quotidiano. La stessa questione sta diventando grande motivo di propaganda per la cassa mediatica borghese.
I “buoni” borghesi, raccontando a proprio modo della morte di George Floyd, stanno occultando il vero motivo che ha causato quel terribile fatto e che non sta nel colore della pelle, ma nella classe sociale di appartenenza. George Floyd non è morto in quanto nero, ma in quanto povero, e il problema negli USA non è il colore della pelle in quanto tale, ma i poveri che aumentano sempre più e le disuguaglianze che crescono all’interno di un sistema sociale ed economico sempre più in crisi.
Il razzismo non è mai qualcosa che inerisce al colore della pelle o alla nazione di appartenenza, ma ha solo ed esclusivamente un carattere di classe.
Il capo della polizia di Minneapolis è nero, molti attori di Hollywood sono neri, così come lo è anche l’ex presidente degli USA Barack Obama. Ciò che divide questi uomini neri da un “George Floyd” è solo ed esclusivamente una cosa, e cioè l’appartenenza di classe. Mentre i primi rappresentano la ricca e benestante borghesia negli USA, quest’ultimo invece fa parte di quella classe sociale che negli USA, così come in molte parti del mondo capitalistico, non ha voce, sta ai margini della società e viene espulsa dal processo produttivo di integrazione nel Lavoro.
Il razzismo è da sempre insito nella società divisa in classi, qual è quella borghese, ma era presente anche nelle società precedenti. Esso è utile alle classi dominanti per dividere gli sfruttati, cioè i lavoratori che subiscono il metodo di produzione capitalistico basato sul mercato, sulla competizione e sullo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, che è finalizzato a restringe sempre più i suoi benefici materiali nelle mani di pochi. Inoltre dà una base materiale semplice per veicolare l’odio di una parte degli oppressi verso altri oppressi e non verso le classi dominanti.
Viviamo nella società borghese, dove la libertà si misura solo ed esclusivamente col denaro e con la proprietà: chiunque ha denaro è emancipato, cioè libero dalla miseria e dai bisogni, chi invece non ce l’ha è fregato.
Facciamo un esempio: qualsiasi uomo di colore, nero o bianco che sia, è integrato solo se è ricco. Pensiamo all’attore di Hollywood Willy Smith, tutti lo invidiano o vorrebbero essere come lui e nessuno ha mai sognato di dirgli “sporco negro”, viene rispettato negli USA così come in tutto il magico mondo capitalista, perché? semplice, è ricco, e quindi libero, cioè emancipato.
Una frase del pugile Larry Holmes è emblematica:
“È duro essere negro. Ti è mai capitato di esserlo? A me sì, una volta, quando ero povero.”
Stessa cosa vale per gli immigrati in Italia vittime del razzismo. Il problema si pone solo se sei povero: se sei un ricco calciatore di colore sei libero ed emancipato, mentre sei fregato se sei arrivato in barca. La differenza dipende non dall’essere più o meno nero, ma dall’essere ricco o povero. Naturalmente poi vi sono dei cortocircuiti che si verificano quando il razzismo, inoculato presso le classi subalterne, riemerge in modo incontrollato; e allora lì le intemperanze razziste possono anche emergere per esempio negli stadi contro i giocatori avversari, ma non certo contro i propri. In quel caso però vediamo che la società borghese si erge subito a difesa dei privilegiati, mentre migliaia di episodi di razzismo ai danni delle classi subalterne non assurgono mai agli onori delle cronache.
Perché se un calciatore di colore passa dal Real Madrid (Spagna) alla Juventus (Italia) non viene odiato perché di razza diversa? Semplicemente perché il calciatore, qualunque sia il colore della sua pelle, non è povero, quindi non sarà vittima dello stesso trattamento riservato ad un immigrato povero e sfruttato che dall’Africa arriva in Italia, vittima di razzismo appunto perché POVERO.
Il razzismo colpisce le classi subalterne e più sfruttate della società capitalistica, proprio perché vivendo essi in miseria sono spesso costretti a emigrare, ma proprio quando questi emigrano, oltre ad essere stranieri in terra straniera, sono anche e soprattutto POVERI e quindi sfruttati, disposti a tutto. Essi saranno perciò odiati per questo e oggetto di razzismo in modo tale da spingere i lavoratori, autoctoni e non, verso una lotta tra loro, distogliendoli dallo scontro contro chi sta in alto, dove si situa la vera causa di tutto questo.
Stessa cosa per altre categorie, un gay ricco è integrato rispetto a un gay povero. Pensiamo a Dolce & Gabbana in Italia, non c’è nessun attacco omofobo ai due stilisti, perché? cosa li rende liberi ed emancipati? semplice, il denaro e la proprietà.
Perciò la conclusione è semplice: se guardassimo il mondo, così come Marx ci ha insegnato, seguendo costantemente lo scontro tra le classi sociali, capiremmo che il razzismo non è altro che uno strumento nelle mani della classe dominante, utile per nascondere o camuffare sotto altre forme lo scontro di classe in atto e dipingere tutto questo in svariati modi, tutti utili a distogliere l’attenzione dalla vera questione fondamentale che è lo scontro tra capitale e lavoro, tra sfruttati e sfruttatori, tra chi lavora e produce col sudore e chi invece accumula denaro e potere senza lavorare.
La concezione culturale che abbiamo del razzismo è frutto di un pensiero dominante.
Marx ed Engels ci spiegano appunto che:
“Le idee della classe dominante sono in ogni epoca le idee dominanti; cioè, la classe che è la potenza materiale dominante nella società è in pari tempo il controllo della sua potenza spirituale dominante. La classe che dispone dei mezzi della produzione materiale dispone con ciò, in pari tempo, dei mezzi della produzione intellettuale, cosicché ad essa in complesso sono assoggettate le idee di coloro ai quali mancano i mezzi della produzione intellettuale. Le idee dominanti non sono altro che l’espressione ideale dei rapporti materiali dominanti, sono i rapporti materiali dominanti presi come idee”.
(Marx ed Engels L’Ideologia Tedesca)
Negli USA purtroppo talvolta anche le comunità nere che oggi giustamente si ribellano sono però vittima del racconto dominante, che ormai coinvolge tutti, soprattutto la massa degli sfruttati, dirottandoli sotto false rappresentazioni della realtà, affinché non si accorgano che ciò che in realtà li unisce non è il colore della pelle, ma la loro appartenenza sociale a quella che è la classe degli sfruttati.
Ciò che dovrebbero chiedere non è solo la parità di diritti civili rispetto ai bianchi, ma anche i diritti sociali, senza i quali i diritti civili perdono anche di valore.
Da questo punto di vista, le lotte che il proletariato nero ha ingaggiato contro il capitalismo nordamericano sono esemplari.
Citiamo qui il National Negro Congress. Nato nel febbraio 1936 nell’America del New Deal, fu una coalizione guidata da uomini e donne nere per combattere sia il suprematismo bianco sia lo sfruttamento che ne è alla base, cercando di costruire una coalizione antirazzista di massa, affondando le sue radici nel movimento dei lavoratori, una coalizione in grado di attaccare sia la gerarchia razziale che lo sfruttamento economico che la sostiene. Molto più interessati alle dinamiche di classe, pensavano che un attivismo, basato sui lavoratori, avesse più potenzialità di un capitalismo del benessere o del nazionalismo nero. Un’altra differenza stava nell’attenzione che ponevano alle reti anticoloniali e antirazziste internazionali.
Facciamo un altro esempio: si è spesso chiesto il matrimonio per i gay in modo tale da avere pari diritti di genere rispetto alle coppie etero; eppure anche se un gay ottenesse questo diritto, quanto varrebbe esso senza il diritto al lavoro? Senza quest’ultimo infatti non ci si può né sposare, né avere una casa, né avere figli o avere un futuro.
Senza diritti sociali non possono avanzare i diritti civili, o avanzano insieme o arretrano insieme.
Quindi, in conclusione, ripetiamo che la lotta negli USA e nel mondo non è tra neri e bianchi, tra razzisti e antirazzisti, tra nord e sud, tra gay o etero, tra immigrati e non. Lo scontro, che prende forma direttamente all’interno dei processi economici, non è altro che un processo che vede libera ed emancipata la ricca borghesia sfruttatrice di qualsiasi colore, nazionalità, religione o sesso, contro le classi sfruttate proletarie o in via di proletarizzazione (piccola borghesia) di qualsiasi colore, nazionalità, religione o sesso.
Il problema del razzismo rimane solo ed esclusivamente uno scontro tra classi sociali, nulla di più.
L’alternativa al razzismo c’è e si chiama Socialismo, perché solo una società libera dallo sfruttamento, dai bisogni e dalle esigenze materiali, che avrà sconfitto la miseria, la disoccupazione, il problema della casa ecc. sarà una società libera ed emancipata.
Il Razzismo non è altro che Classismo.