Massimo D’Alema ha presentato i comitati per il No, chiamando un’assemblea a Roma alla presenza di esponenti di Sinistra Italiana, della sinistra del PD e dei comitati e delle associazioni contrarie alla riforma costituzionale. Ma è chiaro che il referendum c’entra poco, l’obiettivo principale è lanciare la battaglia contro Renzi interna al Partito Democratico.
«La vittoria del No segnerebbe la fine del partito della Nazione renziano. Il che sarebbe un bene per il Pd e per il Paese.»
Un tentativo di resa dei conti, al netto delle precisazioni successive e della riduzione della portata ai suoi fini più nobili e disinteressati, aggettivi che pare non siano mai stati presenti nel dizionario di D’Alema.
Renzi ha commesso un errore strategico fondamentale. Ha voluto legare a sé l’esito del referendum trasformando una questione che stava riscuotendo un interesse pressoché nullo, se non in limitati settori della società sensibili al tema della costituzione, in un momento determinante. Una strettoia dalla quale, anche grazie ai consigli di Napolitano e della vecchia guardia democratica, Renzi sta cercando di uscire. Un rapporto più disteso con la CGIL, promettendo un ritorno alla concertazione, in cambio della mancata presa di posizione sul referendum, che con tutta probabilità avrebbe spaccato il sindacato, ma creato anche notevoli problemi alla maggioranza PD. Da qui un passo indietro rispetto alle affermazioni precedenti, dichiarando che anche in caso di vittoria del no, si voterà nel 2018. Ma la frittata è fatta.
Renzi ha unito tutte le opposizioni dalla Lega ai cinque stelle, passando per Sel e Forza Italia in una crociata contro di lui. Lo ha avvertito la stampa internazionale, specialmente americana e tedesca che da settimane sta dando grandissima attenzione all’esito del referendum italiano. Con diversi toni Wall Street Journal, New York Times, Financial Times hanno parlato di Italia come boma a orologeria in Europa, di effetti peggiori della Brexit in caso di vittoria del no.
È altrettanto certo che la luna di miele tra Renzi e la borghesia italiana è finita. Primo a smarcarsi è stato De Benedetti, editore del gruppo Repubblica-Espresso, che si potrebbe considerare tessera numero 1 del Partito Democratico. L’eccesso di protagonismo non piace ai poteri forti, che battono cassa anche sul mancato ottenimento dell’allentamento dei vincoli del patto di stabilità. E se i cinque stelle in preda ad una crisi senza precedenti nell’amministrazione romana, banco di presentazione per ogni ambizione nazionale, sembrano fuori corsa, si riaprono spazi di manovra interna al Partito Democratico che in ogni caso resta al momento il partito più stabile agli occhi delle classi dominanti.
Un vecchio furbo della politica come D’Alema lo sa perfettamente e chiama a raccolta sul tema da sempre più legato alla sinistra: la difesa della Costituzione. Fini apparentemente nobili per un disegno chiaro: soffiare sul vento della sconfitta per Renzi, approfittare delle difficoltà interne ai cinque stelle, e provare a far ripartire un ragionamento più inclusivo di centrosinistra che archivi la stagione renziana e riporti dentro il PD l’egemonia del vecchio asse diessino, aprendo all’alleanza con SI e perché no, a qualche frattaglia alla sua sinistra. Quanto questo progetto sia realizzabile è tutto da vedere, ma è chiaro che chi intende praticarlo non si differenzia in nulla dalla maggioranza renziana. L’esperienza di questi anni lo ha dimostrato. La Costituzione italiana è stata stravolta dalla modifica del titolo V, in quegli stessi anni D’Alema da presidente del consiglio non si fece alcuno scrupolo a concedere le basi militari agli USA per la guerra in Kossovo, senza tenere in alcuna considerazione proprio il ripudio della guerra espresso dalla Costituzione. Insomma: il disegno è chiaro ed è quello individuato dal segretario del PC Marco Rizzo:
«D’Alema e i dirigenti come lui odiano Renzi perché vorrebbero stare al suo posto per fare le stesse cose. Erano loro a voler cambiare la Costituzione, sono stati loro ad aver cambiato il titolo quinto e ad aver inserito il pareggio di bilancio in Costituzione asservendoci all’Unione Europea»