Il regime israeliano intensifica l’occupazione della Palestina. I comunisti chiamano alla resistenza!

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Il regime israeliano intensifica l’occupazione della Palestina. I comunisti chiamano alla resistenza!

Il governo Netanyahu continua la sua politica di espansione degli insediamenti nei territori palestinesi occupati della Cisgiordania con l’annuncio ad inizio febbraio della costruzione di altre 3.000 nuove abitazioni di coloni. In un comunicato del ministero della difesa si annuncia la costruzione di 2.000 case subito e il resto in seguito, nella “Giudea e Samaria” come viene chiamata dai sionisti la Cisgiordania occupata dal 1967. Si tratta di uno dei progetti espansionistici più imponenti degli ultimi anni, seguendo di pochi giorni l’altro annuncio in cui si approvava la costruzione di 2.500 insediamenti. Da gennaio sono stati ben quattro gli annunci di nuovi insediamenti di coloni nei territori occupati mentre contemporaneamente aumenta il ritmo di demolizioni e confische di costruzioni palestinesi, la cui cifra è raddoppiata nel 2016 rispetto all’anno precedente secondo un rapporto dell’Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari umanitari (OCHA). Migliaia di palestinesi hanno perso le loro case per questa pratica degli occupanti sionisti dietro il pretesto della “mancanza di permessi” con un ritmo accelerato in queste settimane in contemporanea con gli annunci dei nuovi insediamenti di coloni. 140 sono le strutture demolite o confiscate solo nel mese di gennaio, 1.100 nel corso del 2016 in Cisgiordania e Gerusalemme Est con lo scopo di modificare la demografia di questi territori palestinesi, seppellendo nei fatti la richiamata soluzione dei “due Stati”, mangiando spazio fisico e geografico al futuro stato palestinese e violando palesemente la risoluzione 2334 del Consiglio di Sicurezza dell’Onu del dicembre scorso, contando sul sostegno annunciato da parte della nuova amministrazione americana di Trump.

La scorsa settimana il parlamento israeliano ha approvato con 60 voti a favore e 52 contrari una legge che legalizza retroattivamente circa 4.000 abitazioni di coloni costruite sulla terra palestinese in Cisgiordania con giubilo dell’estrema destra promotrice del disegno di legge: gli israeliani nelle colonie «non saranno più un obiettivo delle organizzazioni estremistiche di sinistra che intendono distruggere e danneggiare le colonie» ha affermato Shuli Moalem-Refaeli, capo del partito Casa Ebraica, a cui fa eco il deputato Bezalel Smotrich che definisce la legge come «un passo storico verso il completamento di un processo che intendiamo avviare; l’applicazione della piena sovranità israeliana su tutte le città e le comunità in Giudea e Samaria». In vista dell’incontro odierno tra Netanyahu e Trump avanzano infatti con forza le pressioni della destra per una retromarcia sulla soluzione dei “Due Stati” riconosciuta nel 2009. Il ministro della sicurezza pubblica, Gilad Erdan, proprio ieri ha dichiarato infatti che «tutti i membri del gabinetto si oppongono a uno Stato palestinese e il primo ministro Netanyahu tra questi. Alcuni per ragioni ideologiche o bibliche ed altri per ragioni di sicurezza». A queste parole si aggiungono quelle di un alto funzionario dell’amministrazione statunitense che ha avanzato l’ipotesi di una messa in discussione della soluzione dei Due Stati, anche se in realtà la via più percorribile potrebbe esser quella di mantenere un riconoscimento formale di questa soluzione ma col supporto di fatto alla politica israeliana di occupazione con sullo sfondo la questione iraniana che interessa fortemente Netanyahu.

La nuova legge consente alle autorità israeliane oltre che la possibilità che già avevano di confiscare terre palestinesi per “ragioni di sicurezza” o di utilizzo come “terra dello Stato”, adesso possono confiscare anche esclusivamente per la costruzione di colonie. In sostanza Israele sta legalizzando le colonie col fine di annettersi la maggior parte della Cisgiordania.

Mentre dall’OLP si avanzano al momento solamente lamenti e richieste di sanzioni da parte della Comunità Internazionale verso Israele, il Partito Comunista Palestinese (PCP), in una recente dichiarazione in risposta alle misure espansioniste del regime sionista, ha evidenziato come si è di «fronte ad una delle peggiori pratiche sioniste razziste e fasciste nella storia di questo lungo e aspro conflitto» e l’autorizzazione a costruire nuovi insediamenti in territorio palestinese è «la più grande prova del rifiuto dell’entità statale di qualsiasi soluzione politica alla questione palestinese sulla base della soluzione dei due stati», ricordando come i comunisti palestinesi non sostengono questa soluzione ed evidenziando inoltre che Israele ha avuto come unico obiettivo quello dello stallo dei negoziati al fine di guadagnare tempo sufficiente per la confisca di terre palestinesi e la cacciata dalla loro case. Il PCP ha effettuato quindi una chiamata «all’unità del popolo palestinese contro ogni cospirazione per amore della libertà e dell’indipendenza» e a «attivare tutti i metodi possibili di resistenza di fronte all’oppressione dell’occupante» realizzata attraverso «posti di blocco sparsi in tutto il paese, o procedure e leggi razziste e fasciste» nell’ambito della politica di negoziazione che dura da 25 anni nel quale ci sono stati solo «più insediamenti, persecuzione e l’assassinio quotidiano dei nostri figli per futili motivi». L’adozione di questa legge razzista e fascista da parte del regime sionista significa – si legge nella dichiarazione – la mancanza di riconoscimento ai palestinesi della loro «presenza e del loro diritto alla vita su questa terra».

I comunisti palestinesi fanno appello a tutte le forze nazionali ad esser «pronti a combattere in una feroce battaglia al fine di anticipare questo piano che si rivolge» contro la presenza palestinese e la liquidazione della sua causa, ponendo l’attenzione a rifiutare le manovre delle varie potenze imperialiste che si inseriscono nel conflitto israelo-palestinese proponendo la propria influenza e soluzione: «la nostra esistenza su questa terra non va mendicata al nemico o alla comunità internazionale che non è mai stata un alleato dei popoli oppressi» ma sempre un nemico che mira alle nostre risorse e ricchezze. «Non puntiamo sulle relazioni dell’UE, la NATO, o le varie amministrazioni statunitensi, – conclude la dichiarazione – il cui unico obiettivo è quello di controllare la ricchezza e sfruttare le risorse dei popoli del mondo che vogliono mantenere sotto il loro controllo, al fine di continuare a sfruttarli il più a lungo possibile. Dobbiamo puntare sulla capacità del nostro popolo, che ha dimostrato attraverso la sua lunga storia la capacità di lotta per contrastare i sionisti e i loro piani. Le masse del nostro eroico popolo sanno che il prezzo della resistenza e del conflitto con il nemico è minore rispetto a quello della resa e le suppliche dei reazionari arabi locali alleati».

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