di Paolo Zioni
NON ESISTONO DIRITTI CIVILI SENZA DIRITTI SOCIALI
Sulla questione dei diritti civili la posizione del Partito Comunista è sempre stata chiara. Nel febbraio 2018 in una tribuna elettorale trasmessa da Rai Parlamento, il Segretario Generale Marco Rizzo disse che “La sinistra della droga libera, di tutte le massimizzazioni e fanatizzazioni sui diritti civili individuali borghesi, non è la sinistra che ci appartiene. […] Bisogna capire che quella sinistra lì è la sinistra americana, è la sinistra che strizza l’occhio alle banche, che ha bisogno di armi di distrazione di massa per evitare la questione fondamentale, quella del conflitto tra il capitale, sempre più forte, sempre più concentrato nelle mani di pochi, e il lavoro, che è la necessità per tutta la popolazione. Quando il lavoro era forte avanzavano anche i diritti civili: l’aborto, il divorzio, l’emancipazione femminile, ecc “. Concetti ribaditi più volte dalla fondazione del Partito Comunista ad oggi, riaffermati anche recentemente in un intervento a Radio Radio Tv: ” La proletarizzazione del ceto medio avanza, il mondo del lavoro soffre. E dall’altra parte cosa c’è? C’è una sinistra, o meglio una finta sinistra, che si occupa di altro. […] Io sono per i diritti degli omosessuali. Sono assolutamente per i diritti delle minoranze. Ma i diritti sociali – cioè lavoro, sanità, scuola, casa – sono fondamentali. Senza quei diritti non si è uomini, non c’è possibilità di avere titolarità per le persone, indipendentemente dai loro gusti sessuali (che vanno garantiti)”. E’ evidente, infatti, che se gli appartenenti alle classi popolari non hanno la possibilità di avere un lavoro sicuro e con un’equa retribuzione, se non possono permettersi una casa e un’assistenza sanitaria adeguata, non hanno nemmeno la possibilità di progettare e costruire un futuro affettivo e una famiglia, e questo vale per tutti a prescindere dagli orientamenti sessuali.
NON SEMPRE SI TRATTA DI DIRITTI CIVILI
Ribadito questo punto fermo essenziale, è bene però sottolineare che la deriva della “finta sinistra” oggi si sta spingendo oltre il fatto di sostenere i soli diritti civili a scapito di quelli sociali. Se guardiamo alle due ultime iniziative parlamentari su questi temi, ddl Zan e proposta di legge per la liberalizzazione dell’utero in affitto in Italia, non è nemmeno corretto dire che si tratti di diritti civili. Il ddl Zan, infatti, non introduce nessun nuovo diritto civile in senso stretto, ma introduce nuove norme nel codice penale, infatti, esso integra ed estende la legge Mancino e, quindi, l’articolo 604 bis del codice penale. In sostanza, il ddl Zan equipara ai reati di propaganda e istigazione a delinquere per motivi di discriminazione razziale, etnica e religiosa anche gli atti di violenza o di incitamento alla violenza o alla discriminazione “fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere” a cui è stata aggiunta, nel corso dell’iter parlamentare anche la “disabilità”. Se esso diventasse legge, istituirebbe un ulteriore reato specifico che punirebbe (con la reclusione da 6 mesi a 4 anni, con ammende e anche con pene accessorie) non solo gli atti di violenza e di incitamento alla violenza, ma anche gli “atti discriminatori” e gli “incitamenti alla discriminazione”. Ora quando si tratta di introdurre norme nel codice penale è bene essere molto cauti e prevenire ogni possibile distorsione ed eccessivi margini di discrezionalità. Purtroppo un dibattito pubblico serio e approfondito sulla questione non si è potuto sviluppare, perché come sempre la rappresentazione mediatica ha dato spazio ad una facile quanto non corretta dicotomia: da un lato la “sinistra” liberal-progressista sostenitrice dei diritti delle minoranze sessuali, dall’altro le destre clericali reazionarie e omofobe. In questa contrapposizione da stadio ad essere quasi del tutto silenziata è stata la voce di tante realtà femministe e omosessuali che non si riconoscono nel ddl Zan così com’è scritto attualmente e propongono importanti emendamenti facendo saltare lo schema semplicistico: “o stai con Zan, Letta, Fratoianni, Bonino, Fedez e la Murgia o sei dalla parte di Pillon, Salvini, Meloni, Adinolfi e compagnia”. È lo stesso schema trito e ritrito applicato in mille altre occasioni, ad esempio nella questione europea. O ci si schiera con la UE o si viene accusati di essere contigui alla destra populista. Uno schema che viene riproposto in tutte le questioni di dibattito pubblico (e più forte che mai anche questa volta), ma come sempre non corrispondente alla realtà.
GLI EMENDAMENTI AL DDL ZAN
Dicevamo che tra chi appoggia senza riserve il ddl Zan e chi lo osteggia in nome di visioni oscurantiste, c’è un ampio settore di associazioni che, pur collocandosi agli antipodi della destra reazionaria e dichiarandosi apertamente favorevole ad “ogni azione e provvedimento che promuova l’ottenimento di diritti sociali e civili, che tuteli le persone e le comunità più esposte all’odio, alla discriminazione, alla persecuzione criminale e violenta”, è assai critico verso il ddl attuale e chiede di cambiarne alcune parti importanti. Innanzi tutto si propone una revisione dell’art.1 del disegno di legge, precisando meglio dal punto di vista giuridico la nozione di sesso e cancellando i termini “genere” ed “identità di genere”, che sono assai controversi sia dal punto di vista della giurisprudenza, sia dal punto di vista delle implicazioni ideologiche (due esempi del perché tante femministe contestano queste definizioni li trovate qui: https://www.facebook.com/595031927330258/posts/1910732675760170/ e https://feministpost.it/magazine/segnaliamo/labolizione-del-genere-ci-rendera-libere-i/).
In secondo luogo, per prevenire ogni possibile distorsione della legge, si chiede che l’art.4 venga riscritto accogliendo i rilievi della Commissione Affari Costituzionali relativamente alla libertà di espressione e venga precisato che la critica a chi ricorre all’utero in affitto non si configuri come discriminazione, precisando esplicitamente nel testo che la legge contro l’omofobia sia compatibile con il divieto attualmente vigente in Italia riguardo alla maternità surrogata. Infine si sostiene un’integrazione dell’art.7 atta a vietare che dalle iniziative della “Giornata nazionale contro l’omofobia”, che verrebbe istituita in caso di approvazione del ddl Zan, e che dovrebbe essere celebrata nelle scuole e dalle pubbliche amministrazioni in collaborazione con varie associazioni impegnate nei diritti civili, vengano escluse quelle realtà che propagandano l’affitto dell’utero. Qui per ovvie ragioni di spazio ho dovuto sintetizzare il senso degli emendamenti ma invito a leggerne il testo completo qui: https://www.facebook.com/101131035443703/posts/110050507885089/
Insomma, un conto è battersi in modo netto e senza tentennamenti contro ogni discriminazione basata sul sesso e l’orientamento sessuale, un altro sostenere acriticamente il ddl Zan con le ambiguità presenti nel testo attuale.
LA PROPOSTA DI LEGGE SULL’UTERO IN AFFITTO
Nel pieno di questo dibattito, il 13 aprile scorso, alcuni parlamentari tra i più convinti paladini del ddl Zan come Nicola Fratoianni di Sinistra Italiana e Riccardo Magi di Più Europa, hanno presentato un progetto di legge per introdurre anche nel nostro paese la liberalizzazione dell’utero in affitto. Ovviamente i termini che vengono usati sono molto edulcorati, si parla infatti di “garantire la maternità solidale”, e di escludere un pagamento per la donna disponibile a offrirsi come gestante, prevedendo però “rimborsi spese” per i controlli medici e le eventuali perdite di reddito. È però chiaro come dietro questa dicitura rientrerebbe proprio quel pagamento formalmente escluso. Nel pieno di una crisi sociale devastante che ha colpito la stragrande maggioranza delle donne delle classi popolari, ecco che una proposta di legge di questo tipo se passasse rischierebbe di realizzare anche nel nostro paese, quella barbarie per cui donne disperate pur di garantirsi un minimo di sostentamento economico arriverebbero ad affittare i loro corpi per soddisfare i desideri di coppie danarose. Questa è la politica che certa “sinistra” intende per le donne! Possiamo affermare che sia una “sinistra” che si batte per i diritti civili? Non direi proprio. La mercificazione della maternità, le donne ridotte ad incubatrici “rimborsate”, i neonati trattati come prodotti, non hanno nulla a che fare con i veri diritti civili. Dunque abbiamo una “sinistra” nemica non solo dei lavoratori e dei diritti sociali, ma che arriva ormai a spacciare per diritti civili norme e pratiche assolutamente “incivili” e classiste.