RIFLESSIONI SULL’INCONTRO CON I LAVORATORI DELLA GKN TENUTO A MILANO

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RIFLESSIONI SULL’INCONTRO CON I LAVORATORI DELLA GKN TENUTO A MILANO

Di Carlo Formenti, capolista del Partito Comunista alle elezioni amministrative di Milano

 

La mia presenza a Milano per partecipare alla campagna elettorale del PC ha fatto sì che, ieri sera [6 settembre], abbia potuto assistere (al Re-Make) all’ultimo dei quattro incontri che gli operai della GKN hanno organizzato in varie città per raccontare la loro lotta e organizzare la manifestazione nazionale contro la multinazionale inglese (e contro tutte le operazioni di de industrializzazione in corso nel nostro Paese), che si terrà il prossimo 18 settembre a Firenze.

La serata ha avuto tre momenti: intervento introduttivo di uno dei due rappresentanti della GKN, dibattito, conclusioni dell’altro compagno della fabbrica in lotta. Cerco di sintetizzare i molti momenti di interesse.

La relazione introduttiva ci ha fatto capire che siamo di fronte a un’esperienza rara, per non dire unica nell’attuale conteso di arretramento dei rapporti di forza del movimento operaio, in cui i dipendenti di una media impresa industriale (nel nostro caso una fabbrica ex Fiat, che produce semiassi e occupa circa 500 lavoratori) hanno adottato un modello di organizzazione sindacale che riproduce quello dei consigli di fabbrica degli anni Settanta, fondato cioè su un organismo unitario aperto a tutti, senza distinzioni fra sigle, che ha preparato, organizzato e gestito una lunga vertenza, fino all’occupazione tuttora in corso, riuscendo a raccogliere la solidarietà operativa dei lavoratori di altre imprese, del territorio e delle istituzioni locali.

Una situazione caratterizzata dal fatto che si è passati da un atteggiamento puramente difensivo, di mera tutela dei posti di lavoro, a un’impostazione offensiva in cui si punta a costruire un esempio di autogestione operaia del processo produttivo dopo lo scontato abbandono dell’impianto da parte dei proprietari (una finanziaria che realizza profitti acquisendo imprese al puro scopo di smantellarle e lucrare sui rialzi in borsa dei titoli interessati).

Gli interventi seguiti all’introduzione sono stati di due tipi. Molti i rappresentanti di sigle sindacali di base e di operai di imprese che stanno vivendo situazioni analoghe, i quali hanno esaltato il modello di lotta adottato dai lavoratori della GKN e invitato a generalizzarlo, attraverso forme di coordinamento dal basso di cui la manifestazione del 18 dovrebbe rappresentare un primo momento.

A volte, mi è parso, con toni eccessivamente ottimisti in merito alla possibilità di determinare a breve termine un’inversione di tendenza nei rapporti di forza fra capitale e lavoro, e non senza sbandamenti “antipolitici” (come se fosse possibile costruire dal basso una nuova realtà sociale senza porsi il problema del potere).

In molti di questi interventi si è infine citata l’esperienza delle ”fabbriche recuperate” – passate cioè sotto controllo operaio diretto attraverso varie forme giuridiche – un fenomeno nato in Argentina (per chi voglia approfondire vedi Fabbriche aperte di Aldo Marchetti, editore il Mulino) che ha avuto alcune imitazioni anche qui da noi (come quella della Ri-Maflow, presente ieri sera).

Gli interventi del secondo tipo non valgono grandi commenti, visto che si è trattato della consueta passerella di sigle antagoniste venute a piantare le rispettive bandierine, più che a ragionare sull’esperienza GKN, ed è per questo che, assieme agli altri compagni del PC, si è deciso di non unirsi al coro e cercare invece di capire che insegnamento politico trarre da quanto veniva raccontato da chi quell’esperienza la sta vivendo.

Un ascolto rispettoso premiato dallo straordinario intervento conclusivo del secondo compagno (del quale non ricordo purtroppo il nome) della GKN. Costui, con estrema lucidità, ha smitizzato la retorica “operaista” di alcuni discorsi, dicendo senza mezzi termini:

1) che la lotta GKN è potuta nascere e assumere certe forme avanzate solo grazie alla presenza in azienda di un’avanguardia politicizzata da precedenti esperienze, che ha svolto un lungo e paziente lavoro di costruzione di consapevolezza fra i colleghi;

2) che questo lavoro si è fondato in primo luogo sul superamento delle divisioni sindacali e ideologiche, puntando a realizzare il massimo di unità sugli obiettivi concreti;

3) che prima di alzare il tiro sugli obiettivi si è sempre atteso che le condizioni fossero mature;

4) che non è il caso di farsi illusioni sulla possibilità di “vincere” contro un padrone che non ha più le caratteristiche della vecchia borghesia imprenditoriale ma il volto anonimo della finanza globale;

5) che l’esperienza dell’autogestione non ha nulla di eroicamente romantico ma deve fare i conti con infinite difficoltà tecnico-organizzative oltre che economiche – difficoltà che solo l’impegno dei quadri più qualificati a fianco degli operai comuni può aiutare a superare;

6) che il rischio che fra una parte dei lavoratori subentrino paura e stanchezza è sempre in agguato e può causare defezioni;

7) infine che la manifestazione del 18 va intesa non come mitico momento di “rilancio” dell’intero movimento operaio del nostro Paese bensì come un primo passo verso la ricostruzione di un’unità operaia che potrà essere realizzata solo ricostruendo un sindacato e un partito di classe che superino l’attuale frammentazione delle forze. Sottoscriviamo e ci impegniamo a dare il nostro contributo in tal senso.

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