E’ invalsa la tendenza a considerare i pareri “tecnici” privi di valore e carattere politico. I primi a cadere in questa trappola sono stati proprio i grillini, con la loro presunzione di una gestione onesta e apolitica, tecnica per l’appunto che si opponesse alla politica in generale. Politica come sinonimo di parziale, di parte, poi degenerata in interesse e corruzione, a cui si potrebbe contrapporre una buona amministrazione che persegua un interesse generale, nella convinzione che “le buone idee non sono né di destra né di sinistra”. E’ un sentimento diffuso, e chi lo cavalca non fa gi interessi delle classi popolari. La crisi organica di legittimazione che vivono le forze politiche tradizionali, accompagnata dall’oggettiva degenerazione del sistema politico italiano, nella sua versione più corrotta e lontana da ogni legame con le masse popolari, alimenta di certo una convinzione che si possa fare a meno della politica. Il problema è che lo pensano anche i settori dominanti, che dove possibile ricorrono a governi di larghe intese, o governi tecnici, che esaltano il carattere vincolato delle scelte, che appaiono per l’appunto tecniche, non di parte. In realtà dietro la presunzione di oggettività, di neutralità, che da sempre è la caratteristica più insidiosa delle sovrastrutture si cela il perseguimento senza alcun ostacolo, senza neppure il minimo compromesso sociale, che spesso la politica anche per sole logiche clientelari è costretta a cedere, degli interessi del capitale. I grillini hanno racimolato facili consensi surfando su quest’onda e potendo spaziare dai delusi di destra a quelli di sinistra e soprattutto al qualunquismo imperante. Così facendo però, esaltando la cultura della legalità, della professionalità – sia chiaro contrapposta allo squallore imperante – hanno accettato queste nozioni “tecniche” e “apolitiche” finendo per divenirne vittime a loro volta. Perché quando prometti una rivoluzione, come hanno fatto a Roma, non puoi pensare di farla con le carte contro bollate della commissione di Cantone, con il parere degli organi tecnici che ovviamente applicano leggi che sono politiche, sono di parte, e cioè della parte dei capitalisti.
Questo è successo con il parere dell’OREF che ha bocciato il progetto di bilancio preventivo di Roma Capitale. I grillini sono stati ripagati con la loro stessa moneta, basti pensare a cosa disse la stessa Raggi quando accade cosa simile a Marino, o al continuo ricorso a strumenti di legittimazione giudiziaria, o “tecnica” per l’appunto che si stanno sistematicamente ritorcendo contro di loro. Ma oltre questa considerazione, cosa ha detto davvero l’OREF, e perché noi comunisti non possiamo accodarci alle critiche semplicistiche fatte da tutti i partiti, Sinistra Italiana compresa? L’OREF ha contestato nel bilancio il non rispetto dei vincoli del patto di stabilità e del pareggio di bilancio. Innanzitutto ha sonoramente bocciato la gestione delle precedenti amministrazioni, perché quello che si contesta nella relazione è di non tenere in sufficiente conto le possibili passività derivanti da: debiti fuori bilancio, gestione delle partecipate, punti verde qualità, metro C, contenzioso su Roma TPL. Analizziamo punto per punto le questioni sollevate. I debiti fuori bilancio altro non sono che i debiti del Comune di Roma ancora non riconosciuti. E’ il famoso debito pubblico di cui si ignorano il 46% dei creditori, soggetto ad autonoma gestione commissariale, fuori dal bilancio ordinario del comune, che comunque ne paga il conto. Un meccanismo perverso che ha sottratto ai cittadini romani il controllo di un debito che comunque grava sulla loro testa. I “punti verde qualità” furono una straordinaria invenzione della giunta Veltroni, che costa milioni alle casse dei romani, perché Roma Capitale è garante delle fideiussioni con le banche di tutte le società fallite che hanno preso il malloppo, fatto male o non fatto i lavori di decine di impianti nella città e i debiti ricadono sui cittadini. I risultati della gestione delle partecipate, per quanto i grillini da qualche mese ci stiano mettendo del loro, riguarda le precedenti amministrazioni. La metro C con le sue “passività potenziali” riguarda la nota gestione dei costi moltiplicati negli anni e la vicenda del consorzio, che più volte noi comunisti abbiamo denunciato. La condizione dei lavoratori di Roma TPL e il ricorso all’esternalizzazione del trasporto pubblico è questione, anche questa su cui più volte abbiamo dato la nostra contrarietà. In sostanza i problemi di Roma – lo dice persino l’OREF – vengono dal passato e fin qui lo sapevamo.
Data la situazione dove è il punto? La questione principale riguarda le privatizzazioni delle società partecipate da Roma Capitale, che sono un bottino su cui in molti hanno messo gli occhi, anche perché siamo in tempi di saldi, visto il debito da ripianare. L’OREF contesta il mancato riscontro sulle raccomandazioni del Ministero dell’Economia e delle Finanze sulla «razionalizzazione e/o alienazione delle partecipazioni in società che non svolgono attività per il raggiungimento di fini istituzionali dell’ente.» In sostanza, lamenta l’OREF nel bilancio preventivo non ci sono le privatizzazioni che Roma deve fare. La ricetta “tecnica”, che poi è tutta politica, è chiara: per ripagare il debito, dovete privatizzare le società partecipate. Risultato come abbiamo visto nei casi di privatizzazioni già avvenute: i soliti noti comprano a prezzi di saldo, il comune svende le partecipazioni, e ripaga una parte del debito dando soldi alle banche creditrici. La finanza guadagna due volte, i cittadini perdono tutto. L’OREF nel suo parere “tecnico” altro non potrebbe fare che applicare le leggi che disciplinano la finanza pubblica territoriale, che oggi sono finalizzate a questo massiccio trasferimento di ricchezze dagli enti locali, e quindi dai lavoratori, al capitale.
Roma è sull’orlo del baratro. E’ una città tecnicamente fallita, chi lo nega, nega l’evidenza. Tutte le contraddizioni accumulate in anni stanno scoppiando. Anni di politiche edilizie sbagliate, di crescita urbanistica senza pianificazione, tra abusivismo condonato e piani di costruttori ottenuti grazie a corruzione e tangenti, oggi presentano il conto. Perché anche una razionalizzazione e un efficientamento del piano di trasporti, o della raccolta dell’immondizia, incontra il limite di un’urbanizzazione priva di criterio e senso logico, che fa pagare annualmente a caro prezzo. Su questa realtà, in cui ormai si scava un abisso tra le periferie e i quartieri agiati, si innestano tagli ai servizi sociali, all’occupazione, ai salari, tutte condizioni esplosive, che spiegano un voto di protesta come quello verso i cinque stelle, ma che purtroppo non avranno in ciò alcun cambiamento reale.
I cinque stelle non sono stati in grado di muovere passi decisi, questa è la loro grande responsabilità politica, perché privi di una visione strategica e della consapevolezza del vero scontro – non quello finto dell’onestà contro la politica corrotta, che semmai ne è una conseguenza – oggi in atto, che punta ad un massiccio trasferimento di ricchezze verso i grandi monopoli, ed è sistematicamente voluto dalle politiche europee e dei governi. Hanno dimostrato anche grande incapacità di gestione, e alcuni rilievi dell’OREF, come la mancanza di un piano di recupero delle entrate tributarie e patrimoniali ad esempio è un ulteriore punto a loro svantaggio. Hanno vissuto per anni del mito del “tecnico” e “apolitico” senza capire che in quella direzione si finiva solo per condire con nuove parole più attrattive – la lotta contro la “casta”, “onestà” ecc – gli interessi del capitale.
Il sistema dall’interno non si cambia. Non si cambia neanche nei termini minimi, o in segativo del non peggioramento, come i Cinque Stelle certamente vorrebbero fare. Siamo nell’era della lotta di classe, dei padroni contro i lavoratori, di poche decine di persone in italia che hanno la stessa ricchezza di un terzo della popolazione. Non basta un cambio serve una rivoluzione