Sezione di Venezia del Partito Comunista “Partigiano Tarcisio Vallotta”
La storia di Venezia è indissolubilmente legata alla millenaria storia del suo porto. Per secoli, fino alla prima metà del Settecento, la principale via d’accesso era la bocca del Lido e il traffico navale convergeva intorno a Sant’Elena. Nel Settecento, per ovviare al processo di interramento delle tradizionali vie di passaggio, si scavò il Canale di Santo Spirito, per permettere alle navi di arrivare nel bacino di San Marco, che divenne il cuore del sistema portuale veneziano, finché le carenze logistiche spinsero allo spostamento del traffico commerciale verso l’area ovest della città, con la costruzione della Stazione Marittima e delle strutture portuali adiacenti.
Quando anche la Stazione Marittima divenne insufficiente per il traffico navale, accresciutosi oltremodo a causa dello sviluppo industriale, sorse Porto Marghera: correva l’anno 1917. Con lo sviluppo del porto commerciale e del nuovo centro industriale, Marghera entrò nella grande industria nazionale. La scelta, tuttavia, di localizzare attività industriali altamente inquinanti in un’area sensibile e fragile come quella dell’waterfront lagunare, portò a conseguenze estremamente negative per ambiente, laguna e territorio, nonché per la salute di lavoratori e cittadini. Gli interventi sugli scavi dei canali e delle bocche di porto, dettate dalle esigenze di pescaggio di navi sempre più grandi, e poi gli scavi del Mose, hanno grandemente danneggiato l’idrodinamica lagunare. Ancor oggi paghiamo le conseguenze di questi scavi, che continuano incessantemente, in termini anche, e non solo, di gestione delle maree a cui il Mose solo parzialmente riesce a far fronte, senza contare le precarie condizioni in cui versa la struttura e che rende incerte le sorti future della nostra laguna e della nostra stessa città.
Oggi a Venezia ci troviamo in una difficile situazione a causa dell’incapacità, a nostro avviso, del sistema capitalista di gestire la coesistenza delle diverse attività economiche, comprese quelle sul mare e della protezione dell’ambiente e del territorio. I conflitti d’interessi e la corsa verso il raggiungimento del profitto spingono pochi a fare scelte che non mirano alla salvaguardia di lavoro e ambiente, ma solo a speculazioni, rubando consenso ad un certo numero di cittadini tramite propagande mistificatorie che occultano l’esistenza di alternative meno costose e meno impattanti. Ma anche più funzionali, soprattutto guardando al futuro nell’ottica dei cambiamenti climatici, in quanto permetterebbero di salvaguardare lavoro, laguna e la stessa sopravvivenza della nostra città, nei termini di protezione del territorio e di tutela dello sviluppo economico: tutto ciò tenendo anche conto di una corretta gestione e contenimento dei flussi turistici.
Ma veniamo ai fatti: dal primo agosto 2021 è entrato in vigore il decreto legge che impedisce il transito delle grandi navi passeggeri a Venezia davanti a San Marco e al canale della Giudecca, le quali potranno attraccare solo provvisoriamente a Marghera transitando per il Canale dei Petroli, tradizionale via di passaggio del traffico commerciale. Le norme sono state però affiancate ad un concorso di idee, perché il Decreto Legge prevede la futura realizzazione di punti di attracco fuori dalla laguna, al fine di rendere compatibile l’attività crocieristica con la salvaguardia dell’ambiente e del territorio. Sono stati, inoltre, stanziati investimenti per ben circa centocinquanta milioni di euro per realizzare le soluzioni “provvisorie” a Marghera, della cui provvisorietà molti non sono sicuri, visti gli interessi gravitanti sull’area stessa, recentemente argomentati dal quotidiano “Domani”. In questi giorni la stampa locale sta annunciando l’inizio delle procedure per l’approntamento di due degli attracchi “provvisori” a Marghera, cioè le banchine Liguria del terminal Vecon e Lombardia di Tiv.
Contestualmente, ha anche riportato la notizia del ripristino dei pescaggi del Canale dei petroli a 11,50 metri, necessario a far passare le navi più grandi. Ricordiamo anche che il Canale dei petroli è stato creato nel 1965, l’anno prima dell’acqua granda che ha devastato la città.
L’ultimo tratto del percorso sarebbe consentito dall’escavo di un altro canale, il Vittorio Emanuele, di circa tre-quattro metri in più, operazione ulteriormente impattante, sia per l’idrodinamica e l’ambiente lagunare, sia per l’ennesima movimentazione di fanghi tossici, che andranno a far aumentare il loro artificiale deposito, l’Isola delle Tresse.
Intanto, mentre queste soluzioni “provvisorie” impegneranno un grande spiegamento di risorse economiche, la decisione per le soluzioni esterne alla laguna, che dovrebbero essere definitive, slitteranno, non si capisce bene il perché, solo al 2023, quando già all’oggi tuttavia esistono progetti per soluzioni fuori dalla barriera del Mose.
Il porto dentro la laguna mostra limiti difficilmente superabili: il sempre più frequente utilizzo del Mose, infatti, per l’incremento delle maree, sia naturale che favorito proprio dall’escavo dei canali, mette in seria difficoltà l’ingresso delle navi, che restano spesso fuori dalla laguna, anche per giorni, ad aspettare che marea e paratoie si abbassino, con grande dispendio economico. Non dimentichiamo che la conca di navigazione, costata seicento milioni di euro circa in denaro pubblico per permettere di far entrare le navi anche quando le paratie del Mose sono alzate non è mai entrata in funzione perché costruita male; inoltre, è già danneggiata. Un altro grave problema è il rischio dato dal traffico di navi commerciali e passeggeri lungo lo stesso Canale dei petroli, senza contare l’“effetto vela” determinato dall’enorme superficie laterale delle grandi navi, che ne può provocarne lo sbandamento, rischiando un “effetto Suez”, cioè l’arenamento. A questo proposito è stata recentemente emessa un’ordinanza, che vieterebbe il passaggio nel canale di navi di grande stazza in presenza di vento, con una regolamentazione che tiene conto di un rapporto fra tonnellaggio e nodi. E poi, siamo certi che Marghera sia luogo ideale per lo sbarco dei passeggeri? Le compagnie gradiranno questi scali o individueranno altri porti?
Tutti questi elementi sono solo alcuni dei motivi per porci, come Comunisti, contro la soluzione Marghera per la crocieristica, in presenza, oltretutto, di idee e progetti già esistenti per approdi fuori dalla barriera del Mose, che salvaguarderebbero lavoro e ambiente, economia e laguna e sarebbero molto meno impattanti, annullando i rischi già citati.
L’adozione di soluzioni più idonee è permessa soltanto da una visione socialista della società, che tuteli i posti di lavoro e l’ambiente, tramite un uso corretto delle più innovative soluzioni tecnologiche e ingegneristiche e che non miri al profitto di pochi, ma alla tutela dei posti di lavoro e della laguna. Tutto ciò guardando ad un progetto che avvii la città ad una rinascita ridisegnandola passando attraverso una politica di contenimento dei flussi turistici e una riconversione economica che riporti ai cittadini ciò che serve alla vita: pubblici servizi, porto, negozi di prossimità, manutenzione del territorio, case popolari, calmieramento dei prezzi degli affitti e sostegno alla residenzialità.