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Salvini svende l’Italia all’agenda di guerra USA

di Enzo Pellegrin

Il viaggio in Usa del Vice Premier e ministro dell’Interno Matteo Salvini arriva alla vigilia di scadenze importanti per l’Italia nei suoi rapporti con l’UE.

L’UE ha infatti notificato all’Italia la procedura di infrazione per debito eccessivo. Il 9 luglio l’Ecofin “deciderà se confermare la linea della Commissione e dell’Eurogruppo e aprire o meno la procedura contro Roma e, a stretto, strettissimo giro, il Consiglio Ue, giovedì e venerdì, 20 e 21 giugno, che vedrà i leader dei 28 Paesi dell’Unione affrontare il risiko nomine (ma non solo)” (Il Sole 24 Ore 17 giugno 2019).

Matteo Salvini ha intenzione di resistere alla pressione dell’UE sui vincoli di bilancio e finanza pubblica che la Commissione intende imporre all’Italia. Il Vice Premier non intende rinunciare alle principali promesse della campagna elettorale. In particolare intende portare a casa un corposo taglio fiscale alle imprese per mezzo della “flat tax”.

Le promesse elettorali del Partito di Matteo Salvini rischiavano di costare al bilancio dello Stato circa 59,3 miliardi, se la tassa dovesse prevedere – come promesso – solamente due aliquote (il 15% fino a 80mila euro di reddito e del 20% per i redditi eccedenti gli 80mila). Questa è la simulazione compiuta al Ministero dell’Economia l’8 febbraio 2019, messa in circolo negli ambienti parlamentari della maggioranza.

Il Governo ha poi negato tale simulazione, e lo stesso Matteo Salvini ha più volte dichiarato che per la riduzione fiscale che intende introdurre è sufficiente una cifra minore, ma pur sempre alta: «per la prima fase della flat tax per le famiglie, per un primo colpo sostanzioso, non per tutti ma per tanti, servono 12-15 miliardi e sarebbe una rivoluzione epocale». La flat tax alle famiglieconclude – «è un progetto da realizzare nel corso dei cinque anni e che nel 2020 si può partire dal primo scaglione». (Il Sole 24 Ore 17 marzo 2019)

E’ verosimile che l’abitudine alla politica degli annunci finirà per partorire una misura anche molto minore, ma che possa essere venduta come riduzione fiscale o flat tax.
La stessa cosa è avvenuta per la legge sul reddito di cittadinanza, il quale ha finito per erogare importi molto minori ed insufficienti rispetto a quelli promessi.

Tutto il peso fiscale dei provvedimenti governativi continua per ora a rimanere sulle spalle dei lavoratori dipendenti e dei pensionati. La legge di bilancio 2019 sostanzialmente divide i contribuenti in tre grandi categorie: 1) coloro che hanno come unica fonte di reddito il proprio lavoro di dipendente o la pensione: questi si applicano le cinque aliquote Irpef in vigore con una tassazione progressiva: dal 23 al 43%. 2) coloro che hanno come fonte di reddito i ricavi da attività professionale soggetta a “partita IVA”, oppure reddito da locazione di immobili i quali beneficeranno di una forte riduzione delle tasse 3) i passati evasori, i quali stanno beneficiando di sostanziosi e diversi condoni fiscali emanati dal Governo Conte-Salvini-Di Maio.

Secondo lo stesso Ministero dell’Economia, nel 2019 la pressione fiscale sugli italiani è destinata ad attestarsi al 42,4% (+0,4% rispetto l’anno prima). Dati confermati dalle stime dell’Ufficio parlamentare di bilancio e dalla CGIA di Mestre, che testimoniano come il rapporto fra Pil e gettito fiscale sarà destinato ad aumentare il peso della seconda componente. (Qui Finanza 22 marzo 2019). Se tra coloro che beneficeranno della Flat Tax ci saranno soprattutto le imprese, i professionisti e gli artigiani, l’introduzione di nuove riduzioni peseranno ancor di più su lavoratori dipendenti e pensionati, oltre che sui già ingenti tagli ai servizi sociali, sanità in primis.

Sebbene l’azione di Salvini contro le catene dell’Ue non sia nell’interesse degli sfruttati e dei lavoratori, ma per concedere regalie fiscali e nuovi incentivi alle imprese che li sfruttano, l’insieme di questi provvedimenti risulta tuttavia  indigesto per le politiche di austerità che l’UE continua a portare avanti, quale portatrice degli interessi del peggiore capitalismo globale. Tale determinazione dei tecnocrati UE ha fatto la fortuna di partiti di centro destra come quello di Salvini. L’Ue pretende tagli al debito e annuncia una procedura di infrazione per l’eccessivo debito del 2019.

Per resistere alla pressione dell’austerità UE che rischia di vanificare gli impegni elettorali presi dal partito del Ministro dell’Interno, quest’ultimo ha cercato supporto proprio nell’Amministrazione Trump.

Salvini ha avuto colloqui a Washington con Pompeo e Pence. In seguito, in una dichiarazione mandata in onda dalla TV italiana, Salvini ha dichiarato di voler ispirare la politica del suo governo a quella dell’Amministrazione Trump. In particolare ha detto che farà la flat tax, o con le buone o con le buone.

Accanto a questa dichiarazione, Salvini ha anche affermato, a margine dell’incontro con Mike Pompeo presso l’ambasciata italiana: «Con l’amministrazione Usa abbiamo una visione comune su Iran, Libia, Medioriente, diritto di Israele ad esistere, Venezuela, e verso la pre-potenza cinese verso l’Europa e l’Africa. In questo quadro, mentre altri Paesi europei hanno scelto una strada diversa, l’Italia è il più solido e coerente alleato degli Usa». (La Stampa 17.6.2019)

La fedeltà promessa da Salvini si estende a tutti gli interessi USA: dai tentativi di golpe in Venezuela, alla guerra commerciale contro la Cina. Sul caso di Huawei ha detto «stiamo raccogliendo elementi per giudicare in base a verifiche ed evidenze» precisando che «business is business ma fino a un certo punto: quando c’è di mezzo la sicurezza, nazionale ci si deve fermare. Anche perché la sicurezza delle telecomunicazioni vale più di ogni convenienza economica». Quanto al Venezuela«per me da tempo si sarebbe dovuto riconoscere Guaidò» al posto «del criminale dittatore Maduro». (La Stampa 17.6.2019).

Salvini non si è limitato a dichiarazioni personali.
In particolare sull’Iran è arrivato ad affermare: «La posizione dell’Italia sull’Iran è già cambiata» (Corriere di Siena 17.6.2019)

Secondo la Costituzione italiana, egli è solo un componente del Consiglio dei Ministri, Ministro dell’Interno sebbene vice premier. La Costituzione prevede che la posizione del Governo e l’indirizzo politico venga determinata a seguito di una riunione collegiale del Consiglio dei Ministri, sotto la Presidenza del Premier incaricato dal Capo dello Stato.

Non esiste nessuna riunione o determinazione del Consiglio dei Ministri italiano che abbia legittimato la dichiarazione di Salvini sulla posizione dell’Italia.

Eppure la questione Iran riveste importanza cruciale, alla luce anche delle ultime provocazioni avvenute con gli attacchi alle petroliere nel Golfo dell’Oman. Mike Pompeo ha pubblicamente incolpato la potenza Iraniana dell’attacco.

In realtà, la campagna di massima pressione contro l’Iran ha avuto inizio nel giro di un mese dall’insediamento di John Bolton a consigliere per la sicurezza nazionale. L’8 maggio 2018, Il Trump ha annunciato il ritiro degli Usa dal Joint Comprehensive Plan of Action (JCPOA), noto come accordo nucleare iraniano negoziato da Obama nel 2015. Sono state ripristinate le sanzioni imposte all’Iran prima del JCPOA e sono state introdotte nuove sanzioni.

In aprile, il governo USA ha dichiarato senza mezzi termini che il Corpo delle guardie rivoluzionarie islamiche (IRGC), l’esercito dell’Iran, è un’organizzazione terroristica.

Contemporaneamente le sanzioni contro l’Iran sono state estese ad altri paesi in rapporti commerciali con questa potenza, allo scopo di impedire all’Iran di trarre profitto dalla vendita del suo petrolio.

Bolton ha poco dopo annunciato di aver schierato in Medio Oriente un gruppo d’attacco di portaerei e bombardieri, dichiarando di voler «inviare un messaggio chiaro e inconfondibile al regime iraniano che qualsiasi attacco contro gli interessi degli Stati Uniti o contro quelli dei nostri alleati saranno respinti con forza inesorabile». (Provocations in the Gulf of Oman: Will John Bolton Get His War on Iran?, Globalresearch.ca 16.6.2019)

La settimana successiva avviene l’attacco delle quattro petroliere nel Golfo Persico. Bolton ed il segretario di Stato Pompeo incolpano l’Iran per gli attacchi. Un’analista geopolitico di spessore internazionale, Pepe Escobar, intervistato da Michel Choussodovsly di Global Research (globalresearch.ca, ibidem), afferma che l’attacco alle petroliere è probabilmente stato un’operazione sotto falsa bandiera.

Balza agli occhi che durante l’attacco, il governo Iraniano era impegnato in conversazioni proprio con il governo giapponese, stato di appartenenza di due delle petroliere coinvolte.
Condurre un attacco contro beni di nazionalità giapponese nello stesso momento in cui il premier giapponese è in visita a Teheran appare un’assurdità logica e smonta il movente dell’accusa di Bolton e Pompeo.

Lo stesso governo giapponese ha chiesto agli Usa “prove concrete” del coinvolgimento di Teheran, mentre l’equipaggio della nave colpita avrebbe smentito le affermazioni degli Usa sulla dinamica dell’attacco. La Marina degli Stati Uniti “ha diffuso un video che mostrerebbe, secondo Washington, un membro dei pasdaran iraniani intento a rimuovere una mina magnetica dallo scafo della Kokuka Courageous, una delle due petroliere attaccate. Si tratta di una versione dei fatti che presenta però più di una falla e contraddice il racconto dell’equipaggio della petroliera nipponica, secondo il quale l’imbarcazione non è stata colpita da mine o siluri bensì da “oggetti volanti”. (AGI Estero 16.6.2019).

Sempre Pepe Escobar sostiene che l’escalation dell’aggressione all’Iran preoccupa i poteri della finanza globale. Secondo una fonte americana dell’analista, esiste un dossier sulla scrivania di Trump in cui si esprimono preoccupazioni da parte del gruppo Bilderberg, degli analisti di Wall Street, Jp Morgan, con tanto di proiezioni di Goldman Sachs, per la possibile chiusura dello stretto di Hormuz e le ripercussione sul mercato finanziario dei derivati collegati al Petrolio.

Secondo dati della Bank of International Settlements, sarebbero attivi nel mondo titoli derivati collegati al Petrolio per 2500 miliardi di dollari. Un improvvisa escalation del prezzo del greggio dovuta alla chiusura dello stretto di Hormuz potrebbe far collassare il capitalismo Casinò in pochi secondi, prospettiva temuta da Bilderberg e banche globali.

Non è un caso che durante la visita in Svizzera di Mike Pompeo per parlare a Berna col Presidente della Svizzera, Bilderberg era in riunione proprio a Montreaux, e Pompeo sarebbe andato anche a Montreaux. (globalresearch.ca, ibidem).

Dunque l’escalation militare contro l’Iran sarebbe piena di se e ma per il mondo finanziario legato agli USA e la stessa amministrazione Trump, dopo le dichiarazioni di Bolton e Pompeo, avrebbe compresa di essere stata spinta in un angolo scomodo, dal quale è difficile ritornare indietro.

Quel che è certo, dal punto di vista dell’ottica italiana, è che il Ministro Salvini, nell’ottica di trovare appoggi esterni alla propria continua campagna elettorale in Europa, avrebbe agganciato senza riserve l’Italia a scenari discutibili e potenzialmente perniciosi per l’interesse e la sicurezza del nostro Paese, nel momento in cui Giappone Russia, Cina e altri nel mondo occidentale accettano tavoli dialoganti con l’Iran, il quale è presente come osservatore negli incontri dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shangai che si stanno svolgendo in questi giorni.

Tutto ciò avviene anche in spregio del dettato costituzionale e delle prerogative del Premier incaricato, Conte, nonchè dell’intero Consiglio dei Ministri titolare effettivo dell’indirizzo politico secondo la Carta fondamentale Italiana.

Quanto questa politica di svendita dell’interesse nazionale sia utile è altrettanto discutibile. Se Salvini cerca qualche forma di appoggio finanziario alla politica di bilancio del Governo, la Storia insegna che gli Stati Uniti sono restii ad aprire il portafoglio, se non dopo essere sicuri di rientrare delle proprie elargizioni con tutti gli interessi del caso.

Diversamente, la borsa è rimasta cucita nonostante grandi sorrisi e promesse.

E’ già successo con Matteo Renzi, allorchè fece un’analoga visita a Washington, giurando fedeltà su tutti i campi, nella speranza che dollari americani salvassero la situazione Montepaschi. I dollari non sono mai arrivati. Così come non è mai successo che un fondo legato agli Usa abbia acquistato in un botto una grossa tranche di nostri BTP.

Per il momento, il maître à penser del sovranismo nazionale, prima degli italiani ha posto gli interessi guerrafondai dell’Impero USA, che – come sopra dimostrato – sono tutt’altro che coincidenti con quelli della nostra Penisola, la cui economia è fortemente influenzata dal prezzo del greggio.

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