Questa storia che ci accingiamo a raccontare non godrà certamente delle prime pagine dei giornali né dei servizi gridati dei telegiornali della sera ma non è per questo meno significativa e istruttiva. Accade che in un’azienda metalmeccanica di medie dimensioni (circa 150 dipendenti) situata geograficamente in quella che un tempo era chiamata Emilia Rossa, e che oggi è terra di dominio del PD e dei sui apparati.
A maggio di quest’anno sulla spinta di quanto stava accadendo negli stabilimenti FCA (ex FIAT) di Termoli e Melfi, le Rsu e alcuni lavoratori decidono di dimettersi dalla FIOM-CGIL. Sul momento tutto continua regolarmente: i permessi sindacali richiesti vengono concessi e retribuiti, le assemblee sindacali retribuite vengono convocate dalla Rsu e si svolgono regolarmente. Tutto questo fino a luglio. Dopo la chiusura estiva, all’inizio di settembre la Fiom, su iniziativa della sua segretaria territoriale, comunica in una lettera all’azienda che la Rsu era decaduta, sulla base del Testo Unico sulla rappresentanza sindacale del 10 gennaio 2014 e che, di conseguenza, l’azienda non avrebbe dovuto concedere, né tantomeno retribuire, eventuali permessi sindacali richiesti dalla Rsu.
L’azienda, ovviamente, coglie al volo l’assist che la Fiom le offre, e comunica a sua volta alla Rsu il diniego dei permessi, la decadenza della Rsu e afferma che eventuali assenze dovute all’esercizio dell’attività sindacale saranno da quel momento in poi considerate ingiustificate (per chi ha un po’ di dimestichezza con la materia questa cosa si chiama anticamera del licenziamento per giustificato motivo oggettivo).
Per chiudere il cerchio la Fiom, all’inizio di ottobre, convoca un’assemblea sindacale con all’ordine del giorno il rinnovo della Rsu. L’assemblea si svolge in un clima piuttosto caldo (e il riscaldamento globale non c’entra per nulla), la Fiom vede naufragare il suo tentativo di prevaricare la volontà dei lavoratori, non riuscendo, non solo a trovare candidati per la lista Fiom, ma nemmeno a trovarne qualcuno disponibile a presiedere la commissione elettorale. Infine i lavoratori confermano con una raccolta di firme la loro fiducia nella Rsu e l’esercizio del diritto all’assemblea retribuita attraverso la forma dell’autoconvocazione. Volendo trarre una morale da tutto questo possiamo affermare che i diritti si difendono innanzitutto praticandoli, che le “carte dei diritti” affermati astrattamente a prescindere dal piano concreto valgono meno di un soldo bucato e che la forza organizzata dei lavoratori è in grado di rompere la camicia di forza nella quale i padroni e la borghesia vorrebbe rinchiuderli. Quando i lavoratori alzano la testa, si uniscono compatti, non c’è sindacato collaborazionista che possa fermali.