*di Graziano Gullotta
Dal 27 giugno scorso, nella fabbrica sussidiaria di Fiat Chrysler Automobiles presso la città di Kragujevac in Serbia, 2.000 operai dell’impianto di assemblaggio meccanico sono in sciopero ad oltranza, in rappresentanza di oltre il 90% della forza lavoro dello stabilimento.
La mobilitazione ha avuto inizio dopo il rifiuto dell’apertura da parte dell’azienda di un confronto con i rappresentanti dei lavoratori a fronte di due giorni di proteste dimostrative con l’astensione simbolica dal lavoro per un’ora a turno, seguiti da un incontro con la stampa nel quale è stato affermato che le tute blu avrebbero interrotto la produzione di automobili fino a quando l’azienda non si fosse seduta al tavolo delle trattative.
Ha inizio così il braccio di ferro: la dirigenza sottolinea di non voler avviare trattative stante il perdurare dello sciopero, malgrado la legge serba la obblighi ad aprire un confronto in questi casi. Ma il governo di Belgrado, che con la quota del 33% (il 67% è in mano alla FCA) fa parte della joint venture che sostiene l’impianto serbo, non è intervenuto per far rispettare le regole, come si aspettavano i sindacalisti locali, ma ha preso le parti della FCA, attraverso la premier serba Ana Brnabic che ha chiesto espressamente ai lavoratori di interrompere la protesta.
La questione principale del malcontento tra i lavoratori è la decisione aziendale di raggiungere l’obiettivo della produzione per il 2017. Si tratta dello stesso quantitativo di vetture del 2016, 85 mila, nonostante l’anno scorso siano stati licenziati 900 operai, un intero turno di catena di montaggio. I lavoratori hanno pagato l’incapacità dirigenziale, con una 500L, prodotta in questo stabilimento, che non ha avuto fortuna sul mercato.
I comitati operai rivendicano la fine dei licenziamenti, il pagamento degli straordinari e un salario migliore, visto che la paga attuale è inferiore alla media serba: dagli attuali 38 mila dinari a 45 mila (circa 370 euro), passando come salario orario minimo da 2 a 2,40 euro (290 dinars). Si tratta del 25% del salario operaio lordo medio in Italia.
Chiedono anche un miglioramento dell’organizzazione della produzione che includa la sostituzione temporanea di lavoratori che sono assenti per permessi di maternità e paternità, o per lunghi periodi di malattia. A differenza di quanto accade adesso, con i carichi di lavoro che vengono ridistribuiti senza rimpiazzare gli assenti.
Il riconoscimento, come terzo punto, di premi collegati sia al raggiungimento di obiettivi di efficienza, sia al riconoscimento dei livelli bronzo e argento nei princìpi di World Class Manufacturing.
Quarto punto, l’applicazione del contratto collettivo per quanto riguarda il rimborso dei costi di trasporto per i turni che iniziano o finiscono oltre gli orari standard di lavoro, quando il trasporto pubblico non è disponibile, tra le 22:00 e le 05:00.
A sostegno degli operai in sciopero c’è il Nuovo Partito Comunista di Jugoslavia (NKPJ) che vede ciò «come una prova altamente significativa per la capacità della classe operaia serba di resistere all’intensificazione del lavoro e ottenere un salario dignitoso. Molte case automobilistiche europee – dichiarano in un comunicato internazionale – hanno delocalizzato gli stabilimenti in Europa orientale, dove i salari sono notevolmente più bassi. Gli operai di produzione in FCA Serbia guadagnano circa 400 euro al mese. La maggior parte delle spese sono pagate dallo Stato, mentre ai privati è lasciato lo spazio per accumulare sempre più sovraprofitti senza alcun serio rischio per i loro affari. Recentemente i loro colleghi della Volkswagen in Slovacchia hanno ottenuto un significativo aumento salariale dopo un’azione di sciopero.»
La Federazione Sindacale Mondiale (FSM), organo che riunisce le tendenze più conseguentemente di classe del sindacalismo di ogni paese, ha subito espresso solidarietà agli operai serbi, a nome dei 92 milioni di lavoratori che rappresenta:
«Gli operai – evidenzia il comunicato – hanno indetto lo sciopero per protestare contro l’intensificazione dei ritmi di lavoro, a seguito dei numerosi licenziamenti della fabbrica che tenta di mantenere elevata la quantità di automobili prodotte al giorno. Le loro rivendicazioni principali includono anche aumenti salariali e indennità di trasporto». La FSM, chiamando la solidarietà e sostegno internazionale alla lotta degli operai Fiat in Serbia per la soddisfazione delle loro giuste rivendicazioni, sottolinea che «questa fabbrica trae grandi profitti dalla produzione e dall’esportazione di automobili attraverso lo sfruttamento dei suoi lavoratori e attraverso l’intensificazione del lavoro, con risultati drammatici sulla salute e la sicurezza».
Negli stabilimenti FIAT (ora FCA) in Italia siamo sempre stati abituati a metodi dirigenziali dove lo sfruttamento ha sempre viaggiato a braccetto con la protezione e il sostegno economico dei padroni da parte dello Stato. Quello che succede nello stabilimento serbo (FCA è il primo esportatore del paese con un peso nel 2016 dell’8% sul totale nazionale, il 3% del pil serbo), con aiuti di stato sostanziali e bassi salari, è una declinazione diversa di quello che succedeva in Italia nel secolo scorso con l’apertura di stabilimenti nel Mezzogiorno, con la totale subordinazione della politica nazionale, nell’industria ma anche in altri settori (pensiamo ai trasporti e ai collegamenti), alle necessità di profitto del grande monopolio dell’automobile torinese.
Dall’inizio della crisi del 2006-2008, con la ristrutturazione dei rapporti sindacali e la progressiva demolizione dei diritti dei lavoratori di cui FIAT è sempre stata avanguardia, a partire dalla contrattazione nazionale, viviamo un continuo ricorso al ricatto della delocalizzazione, dell’esternalizzazione, dei licenziamenti di massa, dei mancati pagamenti, dei trasferimenti punitivi.
In Italia gli scioperi massicci nell’industria metalmeccanica, come questo degli operai serbi, sono purtroppo uno sbiadito ricordo: il duplice passaggio del sindacato maggioritario, dalla lotta di classe alla concertazione e poi dalla concertazione all’aperta collaborazione, ha provocato un arretramento diffuso della coscienza di classe nelle fabbriche, soprattutto in quella categoria, i metalmeccanici, che storicamente costituiscono il settore di avanguardia del proletariato industriale. Dai lavoratori serbi si deve prendere esempio per ricostruire una nuova stagione di lotte, per prendere coscienza che i ricatti a cui la classe operaia serba è sottoposta sono gli stessi a cui è sottoposta la classe operaia italiana, perché stessi sono gli interessi e gli stessi sono i padroni.
Ecco la necessità di un vero internazionalismo proletario, la condivisione di informazioni, lotte, tattiche e obiettivi, nell’interesse esclusivo dei lavoratori. Internazionalismo che prende forma concreta con la collaborazione reale tra il NKPJ e il Partito Comunista, all’interno dell’Iniziativa dei Partiti Comunisti e Operai d’Europa. Si fanno tante parole sui siti, sui giornali, nei talk-show, sulla città post-industriale, sull’Industria 4.0, sull’Internet delle cose, ma in realtà vediamo sempre che per la vita di un operaio in fabbrica si tratta solamente di fornire nuove parole per uno stesso linguaggio, fatto di sfruttamento, precarietà, flessibilità e bassi salari. Ridare forza al Partito Comunista e al sindacalismo di classe in Italia, fabbrica dopo fabbrica, città dopo città, è l’unico modo serio e concreto che abbiamo per aiutare i nostri compagni serbi, nello spirito immortale dell’internazionalismo proletario.