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SENZA SICUREZZA NON SI PUÒ LAVORARE!

La denuncia di un operatore Call Center.
Vi racconto la mia esperienza lavorativa ai tempi del “Coronavirus” in un’azienda di Call Center.

Sono un lavoratore call center di Palermo, sono stato assunto da un’agenzia interinale con un contratto atipico, un contratto ad “apprendistato”, e lavoro presso Abramo Customer Care, un’azienda impegnata nel settore da molti anni. Il mio lavoro è quello di dare supporto tecnico per assistenza telefonica linea fissa di TIM, il servizio clienti 187. L’azienda di telecomunicazione più grande in Italia collabora con Abramo da parecchio tempo e su essa ha basato la sua fetta più grande di fatturato.

Da quando in Nord Italia è scoppiato il caso COVID-19 il mio stato d’animo, ma anche quello dei miei colleghi, è stato rivolto ad un “problema” più grave (se così si può dire) e cioè il rischio di perdere il posto di lavoro a causa della scelta di TIM di tagliare più del 70% di traffico. A fine gennaio l’azienda dichiara esubero, quindi la mancata assunzione dei lavoratori che avevano il contratto di apprendistato in scadenza. I sindacati confederali dichiarano lo stato di agitazione e comincia la lotta sindacale per poter salvare il proprio posto di lavoro. Si può ben capire che fino a quando non è stato dichiarato lo stato di emergenza, e quindi è stata estesa la zona rossa per tutto il territorio nazionale, noi lavoratori non eravamo preoccupati principalmente per la nostra salute, quella l’avevamo messa in secondo piano dopo che abbiamo sacrificato il nostro tempo libero facendo più di 180 ore mensili per raggiungere un salario dignitoso e che ci permetteva di vivere “bene”. Per intenderci, percepiamo mensilmente 740 euro come previsto dal CCNL, ma con 200 ore mensili, che comprendono le ore supplementari, un lavoratore percepisce 1400 euro, sacrificando però il tempo libero, i giorni di riposo e la propria salute psico-fisica; quindi avevamo paura di perdere il posto di lavoro, questo era la principale preoccupazione. E di conseguenza la sicurezza di fare la spesa, di pagare il mutuo o l’affitto, di poter pagare la rata della macchina e così via.

La lotta sindacale in queste ultime settimane ha permesso ai miei colleghi, che si trovavano a scadenza contrattuale a marzo, di essere assunti a tempo indeterminato, com’è previsto dal contratto di “apprendistato”, dall’azienda utilizzatrice dei lavoratori interinali e ha dato una nuova speranza per tutti noi che ci avviciniamo al termine del contratto. Ma (c’è sempre un ma…) se adesso possiamo tirare un respiro di sollievo, questo non lo possiamo fare se non abbiamo una mascherina che ci protegga dal COVID-19 all’interno del luogo di lavoro.

Dopo che i mass media hanno scatenato il panico e a seguito delle prime posizioni prese del governo Conte-bis, l’azienda ci ha comunicato che, stando alle nuove normative del DCPM, per tutelare i lavoratori all’interno del luogo di lavoro avrebbe fornito tutti i materiali di sicurezza, i DPI (Dispositivi di Protezione Individuale), e avrebbe iniziato immediatamente la sanificazione delle postazioni di lavoro, degli impianti di climatizzazione e dei piani dell’edificio aziendale. In più, seguendo sempre le disposizioni del DCPM, l’azienda ci ha comunicato che avrebbero sviluppato i programmi di Smart Working (insieme a TIM) per rispettare i nuovi decreti e fornito le ferie a chiunque lo avesse chiesto. Ma insieme a questa falsa concessione delle ferie, sono arrivate le richieste di supplemento di ore e ovviamente l’assenza totale dei DPI che ci avevano promesso. L’unico modo che abbiamo di proteggerci è portare guanti e mascherine da casa, oltre che il disinfettante per pulire le postazioni di lavoro prima di iniziare e dopo aver finito di lavorare. Rispettiamo, per nostra fortuna, la distanza di sicurezza perché gli uffici sono larghi e abbiamo molte postazioni libere, dopo i tagli del personale che hanno fatto in questi mesi.

Le notizie che ci giungono dai media locali e nazionali non ci confortano, anzi aumentano le nostre preoccupazioni. Nelle ultime settimane, ad esempio, nelle aziende di Call Center come Almaviva e Comdata si è scoperto che uno o due lavoratori sono risultati positivi al COVID-19, causando il panico tra i colleghi con i quali sono stati a contatto e l’immediata chiusura delle aziende coinvolte. Nessuna cassaintegrazione o sussidio per i lavoratori costretti a stare a casa per via della quarantena. Solo le ferie che avevano maturato. Una bella presa in giro, questa! Ma come? Io rischio la mia salute e quella dei miei cari con i quali convivo, ma l’azienda per farmi stare a casa e chiudere dà le ferie? E tutto questo con il beneplacito dello Stato borghese che fa gli interessi di Confindustria.

Questi casi che sono scoppiati a Palermo, in due aziende di Call Center che danno lo stesso servizio di Abramo, aumentano le nostre paure perché anche noi siamo numerosi, anche noi scendiamo da casa per andare a lavorare, anche noi potremmo essere stati a contatto con soggetti asintomatici e quindi essere potenzialmente contagiati. Eppure lo Smart Working, che per la tipologia di lavoro che noi facciamo sarebbe la soluzione migliore, sta ritardando oppure può essere assicurato a pochi lavoratori, poiché è ancora in fase di progettazione. Quindi ne potranno usufruire, nell’immediato, solo chi presenta esigenze imprescindibili, ad esempio portatori di patologie o persone a stretto contatto con soggetti a rischio.

In apparenza questa soluzione potrebbe apparire come giusta, ma in realtà non lo è. Per due aziende come TIM e Abramo non è ammissibile che passi così tanto tempo per la progettazione e il funzionamento dei programmi di lavoro per lo Smart Working, anzi tutti gli operatori del 187, ma anche gli altrettanti colleghi che sono impegnati in altri servizi, dovrebbero poter lavorare da casa per stare al sicuro. Questa perdita di tempo, questo tergiversare, metterà a rischio tutti noi che siamo costretti ad andare a lavorare e, di conseguenza, saranno a rischio anche i nostri famigliari.

È evidente che noi lavoratori possiamo essere sacrificati per ingrassare il portafogli del padronato che non esita a fare profitto anche in un periodo di emergenza come questo e dopo i tagli alla sanità pubblica, fatti dai governi di centro-destra quanto da quelli di centro-sinistra, abbiamo la dimostrazione del fatto che il Capitalismo è il problema e non la conseguenza.

La nostra salute e sicurezza sarà messa al primo posto soltanto se i lavoratori organizzati cambieranno questo sistema, soltanto quando sarà edificata una società più giusta, a misura del lavoratore, il Socialismo.

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