di Michelangelo Severgnini
Meno di 2 mesi fa abbiamo pubblicato con l’AntiDiplomatico il libro “Simposio afgano”, scritto con le stesse premesse del lavoro che ha portato al film “L’Urlo”, che sarà presentato il prossimo 17 dicembre al Teatro Flavio a Roma. In contatto diretto con centinaia di Afghani in Afghanistan ho chiesto loro di restituirci non solo la fotografia del Paese reale che loro quotidianamente sperimentano, ma di indicarci la visione di Paese che hanno in testa.
Sono emersi racconti che sbugiardano mesi di dosi massicce di retorica dei diritti umani somministrate al pubblico europeo.
Ne abbiamo parlato nella presentazione alla Casa del Popolo di Palermo venerdì 19 novembre:
https://www.youtube.com/watch?v=niG3EHsdUmY&t=1s
TUTTA UN’ALTRA STORIA
L’OIM (Organizzazione Internazionale per le Migrazioni) dichiara che 1,1 milioni di Afghani sono tornati in Afghanistan dai Paesi limitrofi dopo che i Talebani hanno preso il potere a Kabul (a fronte dei 120 mila evacuati dalle ex-forze di occupazione). Coloro che sono tornati a casa dopo anni di vita da profughi sono 10 volte più numerosi di chi ha lasciato il Paese in questi mesi.
Deborah Lyons, inviato speciale delle Nazioni Unite per l’Afghanistan ha dichiarato che “le sanzioni economiche all’Afghanistan sono la causa della catastrofe umanitaria alle porte”. Il 60% dei cittadini afghani in questo momento ha problemi di denutrizione e 9 milioni di loro su 40 sono a rischio di morir di fame. La rappresaglia degli Stati Uniti sta bloccando 9,5 miliardi di dollari appartenenti al popolo afghano, conservati nelle banche americane e di fatto sequestrati dai difensori dei diritti umani.
Gli Afghani che parlano nel libro raccontano perché la maggior parte dei cittadini sia disposta a dare una possibilità ai Talebani. Non perché li amino (non tutti), ma perché la barbarie dei diritti umani torni da dove è venuta, in occidente, con tutto il suo corollario di ricatti e politiche predatorie.
È possibile raccontare tutto questo all’interno del consesso civile europeo? No, non è possibile.
COSA RACCONTANO GLI AFGHANI IN AFGHANISTAN
Ma cosa pensano gli Afghani della situazione in corso e della catastrofe umanitaria alle porte? Così ci ha scritto in questi giorni uno degli Afghani presenti nel libro, a proposito del comportamento degli Stati Uniti.
«Gli Stati Uniti hanno congelato il denaro delle banche dell’Afghanistan, i paesi vicini hanno chiuso le loro frontiere, così il denaro dei commercianti è bloccato nelle banche. Non possono portare cibo e beni di consumo. 4,8 milioni di impiegati governativi sono senza lavoro in questo momento. Quelli che sono tornati al loro lavoro, non hanno ricevuto il loro stipendio negli ultimi 3 mesi. Il prezzo per i prodotti di prima necessità e del cibo sono è due volte più caro».
Ma la gente chi sta incolpando per questo?
«È tutta colpa dell’America. Sono loro quelli che ci portano in questa condizione. Dicono di aver speso molto in Afghanistan, ma in realtà l’hanno speso attraverso le Nazioni Unite, che hanno un sacco di tasse e stipendi, alcuni soldi sono stati truffati da funzionari dell’ex-governo. In definitiva nulla è stato investito nel paese, solo circa il 5% dei loro soldi abbiano l’obiettivo.
La gente è sconvolta: abbiamo perso la bandiera, il nostro governo, il nostro esercito, il nostro inno nazionale».
Qui in Europa i media parlano solo di diritti umani in Afghanistan. Nessuna menzione della dura situazione dovuta alla ritorsione economica degli Stati Uniti.
«Parlano soltanto, ma dietro il sostegno e il denaro che annunciano, c’è una grande lista di termini da seguire in modo da condizionare la politica afgana e volgerla a proprio favore. Vogliamo che il mondo per favore ci lasci soli. Lasciateci morire di fame, lasciateci in pace. Vogliamo vivere la nostra vita, anche a pane e acqua».
Hai molto da essere deluso dal mondo, lo so.
«Per Dio non accettiamo i soldi che ci mandano, lasciateci in pace».
Dal momento che, a maggior ragione, quei soldi appartengono al popolo afgano: 9,5 miliardi di dollari.
LA RETORICA DEI DIRITTI UMANI: ARMA DI GUERRA MODERNA
Ma per capire il dispositivo di guerra mediatica scatenato dall’Union Europea e dagli Stati Uniti occorre fare un passo indietro.
Rileggiamo attentamente cosa riportava Wikileaks il 25 luglio 2010 pubblicando gli “Afghan war logs”, documento segreto della CIA. Vi erano allora già le linee guida con cui contrastare ogni possibile obiezione in Europa circa la sanguinaria occupazione NATO dell’Afghanistan. A dirla tutta, allora, non ci fu nemmeno bisogno di implementare questi suggerimenti, l’opinione pubblica europea non si è mai veramente preoccupata delle sorti degli Afghani in questi ultimi 20 anni.
Ad ogni modo, così si leggeva in questo documento:
«Lo scarso rilievo della missione in Afghanistan ha permesso ai leader di Francia e Germania di ignorare l’opposizione della gente e di continuare ad aumentare costantemente il numero delle loro truppe nella missione Isaf».
Come a dire che per fortuna in questo caso nessuno ha protestato, a differenza del Vietnam o della Jugoslavia, per cui i governi europei potevano tranquillamente aumentare spese e contingenti in Afghanistan senza incorrere in forme di dissenso all’interno dei propri Paesi.
Più nello specifico però, la CIA si spingeva a suggerire a Francia e a Germania (Paesi europei dai quali probabilmente si aspettavano maggiori proteste) come affrontare il dissenso eventuale e come contrastarlo sulla base di una narrazione manipolata.
«La prospettiva che i Talebani riportino indietro il Paese, dopo i progressi ottenuti faticosamente in tema di educazione delle donne, potrebbe provocare l’indignazione e diventare ragione di protesta per un’opinione pubblica largamente laica come quella francese».
Quindi ai Francesi si sarebbe dovuto raccontare che le donne afghane erano in pericolo per questioni religiose.
Per la Germania?
«Messaggi che illustrino come una sconfitta in Afghanistan possa aumentare il rischio che la Germania sia esposta al terrorismo, al traffico di droga e all’arrivo dei rifugiati potrebbero aiutare a rendere la guerra più importante per chi è scettico verso di essa».
Ed ecco servite le scuse su come alimentare il consenso nei confronti dell’impegno militare in Afghanistan. Però, come detto, non ce né stato nemmeno bisogno, l’opinione pubblica europea non si è mai davvero preoccupata di cosa stesse succedendo in Afghanistan.
Qualche settimana fa il capo della politica estera dell’Unione Europea Josep Borrell a Riyadh in Arabia saudita ha dichiarato che il comportamento del governo talebano fino ad ora non è stato “molto incoraggiante”, e qualsiasi crollo economico in Afghanistan aumenterebbe il rischio di terrorismo e altre minacce.
«Certamente è un dilemma. Perché se si vuole contribuire ad evitare il crollo di un’economia, in un certo modo, si può considerare di sostenere il governo… A seconda del loro comportamento. E il loro comportamento fino ad ora non è molto incoraggiante», ha dichiarato Borrell.
«Se l’economia crolla, allora la situazione umanitaria sarà molto peggiore. La tensione per le persone a lasciare il paese sarà più grande, le minacce, la minaccia terroristica sarà più grande e così i rischi provenienti dall’Afghanistan che riguardano la comunità internazionale saranno più grandi», ha concluso.
Il senso di queste parole spiega l’approccio all’Afghanistan che la Nato ha deciso di adottare, dopo che il tentativo di provocare una guerra civile in Afghanistan è fallito. Questo piano avrebbe dovuto rallentare gli investimenti cinesi nel Paese. Una volta andato in fumo il piano degli Americani, solo perché le ultime autorità afgane hanno sciolto l’esercito evitando lo scoppio di una guerra civile, ora gli Stati Uniti stanno provocando una catastrofe umanitaria per raggiungere lo stesso scopo: frenare la Cina nell’area. Di tutto questo ci hanno parlato molti Afghani nel libro “Simposio afgano”.
Come acquistare i libro: https://www.youcanprint.it/simposio-afgano/b/7ff13e35-edc7-519d-a14d-86418da58134