SINISTRA, ANTIFASCISMO, ANTIMPERIALISMO

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SINISTRA, ANTIFASCISMO, ANTIMPERIALISMO

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Il passo, che segue quello precedente sull’origine della corruzione e del degrado morale, è tratto da A. Pascale, Comunismo o barbarie. Un manuale per ribelli rivoluzionari, L’AntiDiplomatico 2023, Sezione 1 – Fondamenti teorici e pratici, cap. 3 – La necessità della rivoluzione, paragrafo VII – L’origine della corruzione e del degrado morale, pp. 90-93. Info sull’opera qui. Si ricorda, sul tema, la conferenza Conoscere il nemico: la nuova destra tenuta per la Scuola Popolare Antonio Gramsci.

 

SINISTRA, ANTIFASCISMO, ANTIMPERIALISMO

di Alessandro Pascale

 

Alcuni di questi “attacchi inconsulti” odierni riguardano ad esempio la questione posta da alcuni intellettuali autodefinitisi marxisti secondo cui occorrerebbe rinnegare la dicotomia fascismo/antifascismo in nome della costruzione di un fronte comune antimperialista e anticapitalista. Queste tesi partono dal giusto assunto che dopo il 1991 e la crisi delle organizzazioni comuniste si è assistito alla ripresa di egemonia delle teorie socialdemocratiche, ormai subalterne all’ideologia liberista, all’interno delle organizzazioni progressiste. Le “destre” e le “sinistre”, sia nelle percezioni a livello popolare, sia nei fatti, hanno sostanzialmente messo in atto le stesse politiche reazionarie e classiste. Esse sono consistite essere la destra borghese e la sinistra borghese, indistinguibili per le ricette da dare alla questione sociale, appena distinguibili nell’ambito dei diritti civili.Una sinistra borghese è però nella sostanza una destra, e non a caso si è aggiornata negli anni la teoria del “socialfascismo” parlando di “due destre” (Cavallaro, Revelli). Ciò che è, non sempre però è immediatamente visibile, e milioni di lavoratori e lavoratrici hanno continuato a farsi abbagliare e ingannare dalle manovre di merchandising che hanno sempre più egemonizzato le organizzazioni socialdemocratiche, diventate l’ala sinistra della NATO e i cani da guardia più fedeli dell’ordine borghese.

Incapaci di comprendere che la sinistra fosse in realtà una destra, la grande parte del popolo italiano ha maturato con particolare convinzione l’idea che tutta la politica non sia altro che un gioco di corrotti e delinquenti. Gli analisti parlano di “antipolitica” e denunciano la “casta”. Ciò accade perché la politica borghese non è altro che una politica di amministrazione dell’esistente, del tutto incapace di porre un argine alle conseguenze negative del capitalismo, per il semplice fatto che «il potere politico dello Stato moderno non è che un comitato, il quale amministra gli affari comuni di tutta quanta la classe borghese».[1]

Le sinistre socialdemocratiche, come le destre più o meno popolari, hanno accettato il sistema capitalistico imperialista, con tutto ciò che questo ha implicato: fondare il proprio benessere sulla capacità della propria borghesia nazionale di competere con le borghesie degli altri paesi. Di qui l’attacco al mondo del Lavoro, i licenziamenti, il precariato, l’impoverimento relativo, la disoccupazione strutturale, l’innalzamento delle pensioni, le tassazioni sempre meno progressive, i tagli alla spesa pubblica, ecc. Quel che contano sono i conti dei borghesi e in second’ordine i conti dello stato, sistematicamente depredato delle poche risorse ottenute attraverso mille maniere, tra l’attuale infame rifinanziamento del debito pubblico, con cui si ingrassano ogni anno nuovi rentiers senza muovere un dito drenando fondi pubblici.

Da tutto ciò potrebbe anche scaturire una riflessione sull’utilità o meno per un’organizzazione comunista di utilizzare una parola sempre più logora e deturpata come “sinistra”, ormai forse perfino più bistrattata di termini considerati vetusti (ma sempre più sconosciuti per le giovani generazioni) come “socialista” o “comunista”. Da ciò non deve derivare però la caduta della “differenza ontologica” di destra e sinistra nata con la rivoluzione francese, che sanciva in maniera storica la differenza antropologica tra reazionari e progressisti, tra conservatori e rivoluzionari, tra chi in definitiva guarda al bene del proprio orticello – ritenendo che questa fosse la strada per il bene comune – e chi invece volge lo sguardo all’interesse di tutta l’umanità, che dev’essere perseguita con politiche attive e non come risultato dell’egoismo individuale.

Il concetto di sinistra in questo senso ha tra le sue caratteristiche quello di essere inclusivista, mirando a costruire un mondo equo, giusto e libero in cui l’intera umanità possa vivere dignitosamente nel reciproco rispetto e nella mutua collaborazione. Tale visione inclusivista si contrappone a quella di “destra” che non ambisce a modificare così radicalmente l’esistente, ma solo a garantire i diritti ad una parte scelta dell’umanità, selezionata in base all’appartenenza nazionale, etnica, religiosa, di genere o quant’altro.

In un’epoca in cui sembrano saltate tutte le categorie politiche molti ritengono anacronistica non solo la dicotomia “destra/sinistra” ma anche “fascismo/antifascismo”.

Sulla prima, riassumendo, si argomenta giustamente con la situazione che si è venuta a creare negli ultimi 30 anni, in cui in tutto l’Occidente la sinistra liberale e socialdemocratica si è appiattita sulle politiche neoliberiste che un tempo erano espressione solo di settori della destra. Di fatto si è creata un’oggettiva equivalenza su diverse questioni politiche rilevanti tra destra e sinistra, specie per quel che riguarda le ricette economiche e sociali.

La dicotomia fascismo/antifascismo è diventata così una maniera, per la sinistra, di rinnovare un’illusoria differenza politica con le destre che culturalmente sono figlie o nostalgiche del nazifascismo. L’antifascismo portato avanti da questa sinistra si è però trasformato, mettendo da parte l’originaria matrice marxista, anticapitalista, antimperialista, internazionalista e allo stesso tempo patriottica, che caratterizzava l’orizzonte ideologico delle Brigate Garibaldi, ossia la maggioranza assoluta del movimento partigiano combattente. La resistenza partigiana mirava nella sua stragrande maggioranza (considerando anche i gruppi socialisti) a costruire un ordine nuovo socialista, fondato sulla compresenza di diritti sociali e civili. La sinistra post-berlingueriana invece, dopo aver introiettato il neoliberismo, ha ridefinito l’antifascismo con un impianto che ne recupera alcuni temi originari (l’opposizione alla xenofobia, al razzismo e alle dittature antidemocratiche), ma appiattendolo sulle sole istanze liberali, cosmopolite, perfino atlantiste ed europeiste, e sul rispetto esclusivo dei diritti civili.

Questa situazione ha portato al degrado sia del termine sinistra, che del paradigma antifascista, entrambi oggi appannaggio principalmente del PD della Schlein, il quale ha sempre aderito al neoliberismo. Il neoliberismo è da mezzo secolo l’essenza, la manifestazione empirica del capitalismo evoluto nella sua fase imperialista. Questo spiega come mai oggi la Schlein sia la migliore rappresentante delle élite capitalistiche internazionali, facendo venire in odio o rendendo indifferente in milioni di lavoratori entrambe le categorie di sinistra e di antifascismo.

Bisogna quindi abbandonare le categorie di destra/sinistra e di fascismo/antifascismo?

Secondo noi comunisti bisogna avere consapevolezza della differenza storica tra destra e sinistra, che è riconducibile a chi ha una visione esclusiva dei diritti (destra: diritti per i soli italiani, bianchi, ecc.) e chi invece ha una dimensione inclusiva (sinistra: diritti per tutta l’umanità). Questa distinzione mantiene la sua validità dal punto di vista teorico, ma dal punto di vista pratico, della comunicazione e dell’identità mediatica, è ormai di scarsa utilità, anzi è controproducente per chi intenda contestare il sistema capitalistico. I veri compagni devono sapere che la distinzione destra/sinistra mantiene una sua utilità analitica, e che non dobbiamo stancarci di denunciare, nell’ambito della battaglia culturale contro il revisionismo storico e politico, che il PD non è di sinistra.

Gramsci ha definito il fascismo «un rincrudimento della reazione capitalistica, […] l’illegalità della violenza capitalistica», ricordando che «la liquidazione del fascismo deve essere la liquidazione della borghesia che lo ha creato».[2] Il fascismo è quindi strettamente connesso con il capitalismo giunto alla sua fase imperialista, ma si caratterizza per il suo carattere apertamente illiberale. Il fascismo è un’ideologia reazionaria, nazionalista e xenofobo-razzista che nulla può avere a che vedere con chi si professa comunista, il quale invece pone l’internazionalismo e quindi l’antirazzismo come uno dei suoi fondamenti necessari e costituenti nella lotta al capitale. C’è però anche un altro motivo ben più evidente che rende questa alleanza non solo impossibile ma inconcepibile. Ciò risiede nel fatto che il capitalismo ed il fascismo altro non sono che due facce della stessa medaglia. Lo insegna la storia del movimento operaio. Non è un caso che definisse il fascismo al potere come «la dittatura terroristica aperta degli elementi più reazionari, più sciovinisti e più imperialisti del capitale finanziario»[3]. Il fascismo non è altro che una mostruosa creatura partorita e sostenuta nei momenti di crisi dalla stessa borghesia per i suoi obiettivi. Gramsci lo spiega assai bene:

«lo Stato borghese deve farsi sempre più reazionario, deve sempre più direttamente e violentemente intervenire nella lotta delle classi, per reprimere i tentativi che il proletariato fa nella via della sua emancipazione. Questa “reazione” non è solo italiana: essa è un fenomeno internazionale, perché il capitalismo non solo in Italia ma in tutto il mondo è divenuto incapace a dominare le forze produttive. Il fenomeno del “fascismo” non è solo italiano, così come non è solo italiano il formarsi del partito comunista. Il “fascismo” è la fase preparatoria della restaurazione dello Stato, cioè di un rincrudimento della reazione capitalistica, di un inasprimento della lotta capitalistica contro le esigenze più vitali della classe proletaria. Il fascismo è l’illegalità della violenza capitalistica: la restaurazione dello Stato è la legalizzazione di questa violenza».[4]
Per Gramsci è chiaro che «la liquidazione del fascismo deve essere la liquidazione della borghesia che lo ha creato»[5]. Impossibile quindi essere antifascisti senza essere anticapitalisti, come è riuscito a sentenziare in un’immagine indelebile Bertolt Brecht:
«coloro che sono contro il fascismo senza essere contro il capitalismo, che si lamentano della barbarie che proviene dalla barbarie, sono simili a gente che voglia mangiare la sua parte di vitello senza però che il vitello venga scannato. Vogliono mangiare il vitello, ma il sangue non lo vogliono vedere. Per soddisfarli basta che il macellaio si lavi le mani prima di servire la carne in tavola. Non sono contro i rapporti di proprietà che generano la barbarie, ma soltanto contro la barbarie. Alzano la voce contro la barbarie e lo fanno in paesi in cui esistono bensì gli stessi rapporti di proprietà, ma i macellai si lavano ancora le mani prima di servire la carne in tavola».[6]

Oggi c’è il fascismo? Quello classico no, anche se non ne mancano alcuni elementi, dovuti non al fatto di avere un governo più o meno esplicitamente di destra, ma all’ordinamento complessivamente totalitario che non ammette alternative al capitalismo neoliberista.Il fascismo sta nella clausura che ha colpito Julian Assange, in provvedimenti come il green pass, nelle censure politiche di cui sono capaci con un click multinazionali come Facebook e Google. Se vogliamo darne una definizione più ampia, possiamo ricordare quella datane da Primo Levi: il fascismo è stato il «custode di un ordine e di una legalità detestabili, fondati sulla costrizione di chi lavora, sul profitto incontrollato di chi sfrutta il lavoro altrui, sul silenzio imposto a chi pensa e non vuole essere servo, sulla menzogna sistematica e calcolata».[7]

Ricordiamo: non c’è antifascismo senza anticapitalismo e antimperialismo.

 

[1]       K. Marx & F. Engels, Il Manifesto del Partito Comunista, cit., p. 294.[2]       A. Gramsci, Né fascismo né liberalismo: soviettismo!, L’Unità, 7 ottobre 1924.

[3]       A. Calcidese, Gli insegnamenti di Giorgio Dimitrov e dell’Internazionale Comunista nella lotta contro il fascismo, CCDP, 14 ottobre 2010.

[4]       A. Gramsci, Cos’è la reazione?, Avanti! edizione piemontese, 20 novembre 1920.

[5]       A. Gramsci, Né fascismo né liberalismo: soviettismo!, cit.

[6]       B. Brecht, Cinque difficoltà per chi scrive la verità, Nuovopci.it, 1934.

[7]       P. Levi, Il sistema periodico, Einaudi, Torino 1975, p. 133.

 

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1 Comment

  1. Fulvio Bandini ha detto:

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