I sogni infranti della scuola italiana. L’ascensore sociale si è rotto

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I sogni infranti della scuola italiana. L’ascensore sociale si è rotto

Dopo le anticipazioni della ministra dell’Istruzione, sono subito cominciati i dibattiti riguardanti come si dovesse condurre la didattica nel nuovo anno scolastico tra lezioni in presenza e a distanza. La ministra sembra lavarsene le mani – come suo solito – affidandosi alle capacità dei dirigenti scolastici (un modo elegante di dire: sono “problemi” vostri). I dirigenti scolastici dei quali il sistema mediatico borghese ci dà notizia, incarnando come al solito il ruolo di tutori del sistema e non degli interessi di studenti e famiglie, invece sono preoccupati di come fare le nozze coi fichi secchi. Chi si preoccupa che ha la metà dei banchi necessari, chi del fatto che non ha gli spazi per un adeguato distanziamento, chi non sa come far fare loro la ricreazione senza che questi si avvicinino troppo … sarebbe ridicolo se tutto ciò non passasse sulla pelle della cosa più preziosa che una nazione ha, la formazione delle nuove generazioni.

Il fatto che le famiglie più svantaggiate non possano dare ai propri figli le necessarie attrezzature informatiche per seguire la didattica a distanza, né adeguato supporto culturale e psicologico, viene colto come uno dei tanti dettagli; il fatto che i docenti siano stati oberati di lavoro da un sistema assolutamente inadeguato è messo nel dimenticatoio, tanto si sa che “i docenti lavorano quattro ore al giorno per sei mesi l’anno”.

La soluzione prospettata dalla ministra è la cosa più semplice quando non si vuole mettere mano al portafoglio. Dobbiamo ridurre il numero degli studenti per classe? Non vogliamo assumere più insegnanti, né pagare l’allungamento delle ore a quelli che ci sono? Semplice! Basta ridurre il numero delle ore effettive. Ma siccome questo non si può fare, allora si chiamano “ora” i 40 minuti. La moltiplicazione dei pani e dei pesci. Ho 60 invitati e da mangiare per 40? Basta fare porzioni di un terzo più piccole. Che ce vo’? Tanto quello che ci mettevi in quei 60 minuti lo puoi pure infilare in 40.

Nessuno di loro è mai stato in una classe, una vera, non una a distanza, una coi ragazzi che devono entrare in aula, si devono sedere, poi entra il bidello, poi qualcuno sta male e deve uscire, poi, poi…

Anche se non siete stati dietro una cattedra, ma siete stati studenti – o lo siete ora – ve lo ricorderete cosa sono i 60 minuti e tutti i trucchi per arrivare al suono della campanella prima della fatidica chiamata per l’interrogazione. Ebbene tutti i tempi morti non si comprimeranno e quindi i 30 minuti di didattica effettiva che si facevano in 60 minuti nominali si ridurranno in 10 minuti nell’“ora scolastica” della ministra-prestigiatrice.

Provate voi in 10 minuti a spiegare qualcosa di sensato o fare una verifica che non sia con le crocette.

Ma le prossime classi dirigenti, quelle vere, quelle che vengono dall’alta borghesia, certo non si formeranno più su quei banchi. Lì ci staranno i figli di coloro che precipiteranno sempre più in basso. Una volta si diceva che la scuola era l’ascensore sociale. L’ascensore si è rotto e ci siamo dimenticati che le scale non le hanno fatte.

Il capitalismo, fino a quando aveva bisogno di un’ampia manodopera istruita, si è servita della scuola pubblica. Ora i tempi sono cambiati, la struttura produttiva è radicalmente modificata. Le grandi masse di lavoratori non servono più, occorrono pochi tecnici superspecializzati, preferibilmente ognuno capace di fare una sola cosa bene così da non avere il monopolio di essa.

Ecco una testimonianza di vita scolastica reale. La ministra lo leggerà?

 

Riceviamo da un giovane studente di Varese:

 

«L’attuale sistema scolastico pubblico sta morendo di stenti.

Oltre a non essere efficiente per gli studenti “ordinari”, è decisamente carente nel dare supporto a quelli afflitti da varie disabilità.

Il risultato di certe scelte governative scellerate, mirate ad indebolire l’apparato scolastico pubblico, è il privilegiare coloro che possono vantare una situazione economico-famigliare stabile o agiata.

È inconcepibile che lo Stato finanzi la scuola privata a discapito di quella pubblica.

Non ci sono sufficienti professori.

Molti sono precari e pochi sono specializzati nel gestire e nel capire le eventuali disabilità dei propri studenti.

Vediamo insegnanti costretti a finire programmi di studio male assortiti, che cercano di insegnare a classi che contengono anche più di trenta alunni.

I Presidi, tendono a giustificare il tutto in modi improbabili, spesso attribuendo la colpa “all’incompetenza del corpo docente”, incolpando gli studenti di essere lenti e le loro famiglie di non essere presenti; le stesse famiglie che ogni anno spendono milioni di euro in tutt’Italia per libri di testo che vengono puntualmente aggiornati, al solo scopo di far “sopravvivere” l’editoria, settore da sempre invischiato in un vizioso circolo capitalista.

Lo Stato promuove leggi che sabotano il destino dei ragazzi più poveri.

Non appena essi compiono 16 anni, il sistema scolastico prevede che li si abbandoni al loro destino, il più delle volte fatto di eterno precariato o di lavoro in nero.

A causa dei tagli, dell’aumento dei costi dei libri, del trasporto e delle rette scolastiche, in media uno studente su quattro abbandona la scuola prima del diploma e al sud arriviamo ad uno su tre.»

 

Il Partito Comunista propone a riguardo una profonda riforma di tutto il sistema scolastico.

1) ingenti stanziamenti per la scuola pubblica, per scuole sicure, salubri, moderne ed efficienti.

2) abolizione dei finanziamenti alle scuole private.

3) Obbligo di frequenza con sostegno da parte dello Stato fino al conseguimento del diploma.

4) fornitura gratuita dei supporti informatici e di tutto il materiale didattico.

5) classi di massimo 15 alunni.

6) assunzione di tutti i docenti precari e in lista e di tutto il personale ATA precario. Nuove massicce assunzioni di personale docente e non docente.

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