Scarica l’articolo in formato PDF: IL SOSTEGNO DEL PARTITO COMUNISTA ALLA CAUSA PALESTINESE
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Sabato 7 ottobre si è aperto un nuovo fronte di quella che appare sempre di più come la terza guerra mondiale. Il popolo palestinese, guidato da Hamas e da altri gruppi islamisti, è passato al contrattacco dalla striscia di Gaza e ha sferrato un duro colpo all’esercito sionista. Quello che era considerato il più imponente apparato militare della regione, e uno dei più potenti al mondo, sembra non sia riuscito a prevedere un volume di fuoco che in poche ore ha permesso ai palestinesi di lanciare oltre 5.000 missili, assaltare e liberare dozzine di villaggi, distruggere decine di caserme e posti di blocco e catturare non si sa quanti prigionieri civili e militari.
Alcuni analisti hanno palato di una “Pearl Harbor mediorientale” e di un “11 settembre di Israele”. Se dal punto di vista dello smacco militare il paragone sembrerebbe azzeccato, occorre ricordare che entrambi questi eventi furono sapientemente preparati dall’intelligence del paese aggredito. In un caso per consentire al governo presieduto dal democratico Franklin Delano Roosevelt di entrare nella seconda guerra mondiale, nell’altro per aprire la stagione delle guerre infine bipartisan, finalizzate a ribadire con la forza militare il predominio mondiale che gli Stati Uniti stanno perdendo sul piano economico e culturale. Nel caso di Israele, tuttavia, a parte gli avvertimenti provenienti dall’intelligence egiziana apparentemente ignorati, non sembrano essere emersi elementi per suffragare la tesi di un coinvolgimento o di una connivenza del Mossad o di altri apparati dello Stato ebraico. In tal caso sorge la pista di una voluta “strategia della tensione” dal parte di Tel Aviv. Infatti il governo presieduto dal Primo ministro Benjamin Netanyahu sta già approfittando degli eventi, usa l’arma del nazionalismo e del fanatismo religioso per ricompattare il paese scatenendo la durissima controffensiva militare in corso. In questa maniera mette anche a tacere le pesanti critiche cui era fatto oggetto per la contestatissima riforma della giustizia. Un tema che ha visto scendere in piazza centinaia di migliaia di persone, evidentemente preoccupate per il futuro della “unica democrazia del Medio oriente” che continua ad affamare, massacrare e segregare impunemente un popolo intero, peggio di qualunque autocrazia e senza alcuna apprezzabile levata di scudi da parte dei suoi cittadini. Non a caso, il progressista Haaretz, il più importante quotidiano del paese, ha subito sottolineato che la colpa dell’attacco va fatta ricadere sul Primo ministro, come se l’apparato politico-militare e la società civile siano privi di responsabilità.
Inoltre, l’apertura di un nuovo fronte dopo quello ucraino rappresenta una ghiotta opportunità. Da un lato consente agli Stati Uniti di continuare il processo di spoliazione dei paesi imperialisti subalterni, in primis l’Unione europea, rafforzando il proprio apparato industriale (non soltanto nel settore militare) e scaricando sul vecchio continente il peso della perdurante crisi economica che neanche gli interventi di contrasto alla pandemia hanno saputo risolvere. Dall’altro permette alle potenze emergenti riunite intorno ai BRICS+ di rafforzare ulteriormente i propri legami e lo sganciamento dall’imperialismo yankee e dai suoi satelliti. A farne immediatamente le spese sembrano essere gli accordi di Abramo e più in generale il processo di “normalizzazione” delle relazioni tra Israele e alcune petromonarchie del Golfo (Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti in testa), al cui boicottaggio l’Iran lavora da tempo in funzione anti-americana.
Ma affinché tali possibilità si realizzino c’è bisogno di un conflitto ancora più ampio e duraturo. Una prospettiva che i lavoratori possono scongiurare solamente velocizzando, ciascuno a casa propria, la dissoluzione dei rapporti di sudditanza ai grandi capitalisti e agli USA, da cui discendono la maggior parte dei problemi che l’umanità è costretta ad affrontare. Altrimenti ci attende nuovamente il compito di trasformare la guerra imperialista in guerra civile.
In quest’istante, sia i palestinesi sia gli israeliani, vivono nell’angoscia per il destino dei propri cari. Lamentiamo la perdita di chi non c’è più, aspirando a un domani dove ogni esistenza venga valutata come fondamentale e dove tutte le nazioni possano coesistere in pace e protezione.
Dopo un periodo di 16 anni di embargo militare da parte di Israele, i miliziani di Gaza hanno eseguito un attacco senza paragoni, durante il quale molti israeliani sono stati uccisi o feriti, e alcuni civili sono diventati ostaggi.
La leadership israeliana ha proclamato uno stato di guerra, conducendo attacchi dall’aria, terminando la vita di centinaia di palestinesi di ogni età e causando ferite a innumerevoli altri, colpendo alloggi e rischia di compiere atti bellici contro gli abitanti palestinesi della Striscia di Gaza. Anche se la leadership israeliana potrebbe aver recentemente “proclamato guerra”, il suo conflitto con il popolo palestinese esiste da oltre 75 anni.
Le politiche di apartheid e l’occupazione da parte di Israele – e la connivenza degli USA in tale oppressione – sono il nucleo di tale violenza. Questo è il momento in cui si innesca il conteggio che determina la realtà.
Nell’arco dell’ultimo anno, la più estremista e intollerante amministrazione nella storia di Israele ha, sotto la bandiera della supremazia ebraica, amplificato la sua presenza militare in Palestina: espulsioni aggressive, residenze rase al suolo, eccidi, operazioni militari nei rifugi di profughi, assedi incessanti e umiliazioni giornaliere.
Recentemente, l’esercito israeliano ha più volte violato i luoghi di culto musulmani di primaria importanza a Gerusalemme.
Per 16 anni, la leadership israeliana ha represso i cittadini di Gaza con un severo blocco militare, aereo, navale e terrestre, isolando e privando di cibo due milioni di persone e negando loro cure mediche. La leadership israeliana spesso compie atti violenti contro gli abitanti di Gaza; i bambini di Gaza hanno vissuto il trauma di svariati intensi attacchi aerei.
Da 75 anni, la leadership israeliana impone una presenza militare in territorio palestinese, assoggettando gli abitanti a un sistema di apartheid.
I giovani palestinesi vengono prelevati dai loro letti da militari israeliani durante incursioni notturne e trattenuti senza imputazioni in detenzioni militari israeliane. Le abitazioni palestinesi sono distrutte sia da gruppi di coloni israeliani sia dalle forze armate. Intere comunità palestinesi sono state evacuate, i loro abitanti costretti all’esodo, abbandonando proprietà e terreni di famiglia da generazioni.
L’attuale spargimento di sangue e quello degli ultimi 75 anni sono direttamente correlati alla complicità statunitense nell’oppressione e nei terribili atti causati dalla presenza militare israeliana. Il governo USA è il principale sostenitore della violenza israeliana e deve rispondere della situazione presente.
L’incessante apporto finanziario militare, la protezione diplomatica e i miliardi in fondi privati dagli USA sostengono e potenziano il sistema di apartheid israeliano.
Coloro che chiedono un appoggio USA “incondizionato” all’esercito israeliano stanno solo paventando ulteriori conflitti. Spetta a noi, dovunque ci troviamo, fermare questa connivenza. Dovremmo essere determinati a potenziare le nostre iniziative di boicottaggio, disinvestimento e sanzioni per fermare i miliardi che aziende e fondazioni private conferiscono all’apparato bellico israeliano.
Ineluttabilmente, le nazioni oppresse in tutto il mondo aspireranno – e conseguiranno – la loro autonomia. Tutti meritano liberazione, protezione ed equità. La strada per conseguire ciò inizia eliminando le cause della violenza, a partire dalla connivenza del nostro stesso governo.
L’unico partito israeliano ad aver preso posizione a favore del popolo palestinese è il Partito Comunista d’Israele (CPI), di cui si trova su Solidnet.org l’analisi, qui riportata tradotta, firmata dal Comitato per le Relazioni Internazionali – Partito Comunista d’Israele e pubblicata il 7 ottobre:
Questa escalation deve finire: Israele è da ritenersi il responsabile.
I crimini del governo israeliano di destra fascista, volti a sostenere l’occupazione, stanno portando a una guerra regionale. Questa escalation deve essere fermata.
In questi tempi difficili, ribadiamo la nostra inequivocabile condanna di qualsiasi attacco contro civili innocenti e invitiamo tutte le parti a rimuovere i civili dal ciclo di violenza. Inviamo le nostre condoglianze alle famiglie delle vittime dell’occupazione – arabi ed ebrei.
Il Partito Comunista d’Israele ritiene il governo fascista di destra israeliano responsabile dell’escalation estremamente pericolosa delle ultime ore, che ha causato la morte di molti civili innocenti.
La scorsa settimana, i coloni sostenuti dal governo hanno raso al suolo i territori occupati, profanando Al-Aqsa e attuando pogrom nelle strade di Huwara. Da questa mattina assistiamo ad una grave escalation di ostilità che rischia di trasformarsi in una guerra regionale. La minaccia di una simile guerra è stata costantemente alimentata dalle azioni di questo governo di destra fin dal suo primo giorno.
Gli eventi di oggi indicano la direzione pericolosa verso cui Netanyahu e i suoi partner nel governo stanno portando l’intera regione. Sottolineiamo che è impossibile “gestire” il conflitto o risolverlo militarmente. C’è solo una soluzione: lottare per porre fine all’occupazione e riconoscere i diritti legittimi del popolo palestinese e le sue richieste giustificate. Porre fine all’occupazione e instaurare una pace giusta è il chiaro interesse di entrambi i popoli.
Il CPI avverte che il governo Netanyahu sta utilizzando gli eventi per lanciare un attacco vendicativo contro la Striscia di Gaza e invitare la comunità internazionale e gli stati vicini a intervenire immediatamente per mettere a tacere i ruggiti tamburi di guerra e avviare una soluzione politica.
Il CPI è preoccupato per possibili azioni di ritorsione contro i cittadini palestinesi in Israele, in particolare quelli che vivono nelle città comuni e nei villaggi non riconosciuti di Al-Naqab/Negev. Questi ultimi avevano già pagato a caro prezzo l’incuria con cui lo Stato li tratta. In questa realtà, le forze sane di Israele, sia ebrei che arabi, devono alzare una voce chiara contro qualsiasi tentativo di incitare alla violenza contro gruppi o di farsi giustizia da soli. Dobbiamo promuovere attività congiunte che mirano a una vita normativa senza occupazione, discriminazione o superiorità etnica. Dovremmo lottare per la pace, l’uguaglianza e la vera democrazia per tutti.
Dichiarazione della commissione Relazioni Internazionali del Partito Comunista di Palestina, che lancia un appello ai partiti comunisti e operai internazionali:
“Ci auguriamo che, nelle attuali difficili circostanze che il popolo palestinese sta attraversando, mentre il nostro popolo arabo palestinese è sottoposto al genocidio per mano dell’entità sionista e sotto la copertura dell’imperialismo globale, in nome della solidarietà internazionale che ci unisce, tutte le forze amanti della pace dei vostri paesi siano solidali con il nostro popolo…
Vorremmo estendere i nostri ringraziamenti e la nostra gratitudine a tutti coloro, partiti e popoli, che hanno preso l’iniziativa in solidarietà, e speriamo che questi movimenti di protesta continuino e si espandano per fare pressione sulle forze di aggressione e su coloro che sono alleati con loro – l’America, l’Unione Europea e l’imperialismo – per fermare questi crimini”.
Il Fronte Popolare di Liberazione della Palestina, organizzazione di area marxista, ha ricordato l’8 ottobre
“che la decisione del presidente degli Stati Uniti Joe Biden di fornire ogni forma di sostegno all’entità sionista si inserisce nel contesto del continuo sostegno americano ai crimini di aggressione terroristica sionista, derivante dalla profondità della situazione organica di partenariato, che mira sempre a liquidare i diritti nazionali inalienabili del popolo palestinese. […] Il Fronte ha concluso sottolineando la necessità di sfruttare l’opportunità storica dopo i risultati strategici raggiunti dalla resistenza a Gaza oltre alle tempestose trasformazioni internazionali, chiedendo la formazione del più grande fronte internazionale globale che riunisca le forze vive e le forze libere i popoli del mondo ad affrontare l’imperialismo globale e il suo protetto, l’entità sionista, e ad affrontare i piani sionisti-americani nella regione”.
Il Partito Comunista in tutta Italia è impegnato con tutte le proprie forze nell’organizzazione di una presenza adeguata alle manifestazioni in solidarietà e appoggio alla causa palestinese. Questa la lista provvisoria degli appuntamenti organizzati in tutta Italia questa settimana:
Torino: Presidio, Piazza Foroni, ore 17.30 mercoledì 11 ottobre
Manifestazione, Piazza Crispi, sabato 14 ottobre ore 15
Bologna: Presidio, Piazza Nettuno, mercoledì 11 ottobre, Ore 18.
Venezia: Giovedi 12 ottobre alle ore 18.00 in Campo San Geremia, sotto la sede Rai
Pisa: Sabato 14 ottobre alle ore 10:30 Presidio sotto il comune di Pisa, Ore 11:30 Passeggiata anti-militarista verso la prefettura di Pisa in solidarietà con la Resistenza Palestinese
Napoli: Manifestazione venerdì 13 ottobre, ore 16:30, Piazza Garibaldi.
Roma: Manifestazione venerdi 13 ottobre alle ore 18.00 in Piazza della Repubblica.
Bari: Presidio, piazza Diaz, Ore 17, sabato 14 ottobre.
Palermo: Presidio, piazza Verdi, Ore 17:30, mercoledì, 11 Ottobre.
Vicenza: Sabato 14 Ottobre, Ore 15:30, Manifestazione, piazzale De Gasperi – Porta Castello.
In Lombardia l’invito a tutti i compagni e le compagne, interne ed esterne al Partito, è di partecipare alla manifestazione di Milano di sabato 14 ottobre (ore 15.30 ritrovo in piazza Duca D’Aosta) all’interno del nostro spezzone internazionalista, dietro ad uno slogan semplice: “Fuori l’Italia dalla NATO e dall’UE”.
All’inizio e in fondo alla pagina trovate materiali da stampare da utilizzare come propaganda per l’occasione.
La nostra presenza sarà tesa a costruire il collegamento tra la causa palestinese e l’opposizione alle principali strutture imperialiste e guerrafondaie che governano effettivamente il nostro paese.
Il regime razzista, segregazionista e colonialista di Israele non è altro che la conseguenza della volontà dell’imperialismo occidentale di mantenere il controllo per sé di un territorio strategico per molte ragioni.
Il sionismo è un movimento imperialista alleato strutturalmente con il fanatismo religioso di ristrette élite borghesi più o meno massoniche, principalmente anglosassoni ed eredi dell’area dei “teo-con”.
Il nemico è forte, per cui quando parliamo di imperialismo occidentale dobbiamo considerare che esso comprende una serie di di strutture oligarchiche che agiscono a diversi livelli di controllo territoriale. Si passa dalla P2, alla NATO, e poi l’UE, il Bilderberg, il World Economic Forum, la Commissione Trilaterale, ecc…
Il nemico però non è invincibile, come mostra la resistenza attiva e vincente di sempre più popoli in tutto il mondo.
Buona parte degli italiani, soprattutto tra i più benestanti, dorme, e questo è un problema, ma noi ci rivolgiamo a tutti i lavoratori e i proletari, di qualsiasi nazionalità siano, che condividono la nostra analisi e hanno capito che le cose non cambieranno se manchiamo di identificare correttamente il nemico o usiamo tattiche inadeguate.
Per questo ci rivolgiamo al popolo sveglio, cosciente e resistente a manifestare con noi, stando dietro il nostro striscione e tra le nostre bandiere, che comprenderanno quella della Palestina chiaramente, come quelle degli altri popoli in lotta contro l’imperialismo occidentale. Saranno ben accolte anche le bandiere dei popoli della Novorossija, e le bandiere rosse di partito o meno, simbolo dell’internazionalismo proletario.
Con la riuscita del nostro spezzone intendiamo dare un messaggio chiaro ai piani alti: la pazienza è finita e il popolo è capace di superare le differenze per unirsi contro il nemico comune. Non concordiamo con le guerre dell’imperialismo occidentale.
Le élite borghesi non riescono più a gestire un governo adeguato della società.
Serve un cambio profondo, ma per fare questo occorre iniziare a costruire un’organizzazione politica di massa che si opponga ad ogni livello all’imperialismo occidentale.
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