Nel fine settimana tra il 18 e il 19 novembre, ha avuto luogo nella sala Margarita Xirgu delle Comisiones Obreras (la principale confederazione sindacale) ad Alcalá de Henares l’XI Congresso (straordinario) del Partito Comunista dei Popoli di Spagna. L’evento, storico nella vita del Partito dopo la grave crisi causata dalla precedente dirigenza dell’organizzazione, è stato un successo clamoroso nella riconfigurazione e nel rafforzamento del Partito.
Con la partecipazione di quasi 200 persone, inclusi delegati e ospiti provenienti da tutti i territori del paese, sono state approvate all’unanimità le nuove tesi politiche, che pongono l’accento sul rafforzamento organizzativo – basato sul centralismo democratico e sulla piena bolscevizzazione dell’organizzazione – e nella decisione reale ed effettiva per la svolta operaia del partito, legandosi molto più strettamente con la realtà della classe operaia col chiaro obiettivo di costruire il socialismo-comunismo in Spagna.
La plenaria dei delegati ha inoltre scelto una nuova direzione. Un Comitato Centrale, a capo del quale nella sua prima sessione plenaria è stato eletto all’unanimità come Segretario Generale Ástor García, nonché il compagno Raúl Martínez, come segretario del CC, e la compagna Emma Esplà come segretaria dell’Organizzazione. È stato inoltre istituito il Comitato di Garanzia e Controllo, presieduto dal compagno Ilu Ordoñez.
Al Congresso hanno partecipato delegazioni internazionali del Partito Comunista (Italia) – rappresentato da Alberto Lombardo, membro dell’Ufficio politico – del Partito Comunista di Grecia – rappresentato da Giorgos Marinos, membro dell’Ufficio politico – e dal Partito Comunista della Turchia – rappresentato da Tevfik Tas, membro del Comitato esecutivo centrale. Sono stati ricevuti anche molti saluti da altri partiti comunisti fratelli in tutto il mondo, dal Messico al Vietnam, da lavoratori e sindacati, come i portuali di Gran Canaria e Siviglia, da Coca-Cola in lotta, da AirLiquid e dalla sezione sindacale CCOO di Telefónica.
Il congresso si è svolto in un clima di grande entusiasmo rivoluzionario e ha visto svolgersi un disciplinato dibattito. L’evento è stato chiuso con il canto dell’Internazionale da parte dei partecipanti che riempivano la sala.
Intervento al Congresso del Partito Comunista dei Popoli di Spagna (18/19 novembre 2017) del compagno Alberto Lombardo, dell’Ufficio Politico del Partito Comunista (Italia)
Cari compagni e care compagne,
a nome del Comitato Centrale del Partito Comunista (Italia) vi esprimo i più fraterni auguri e sostegno internazionalista per il successo di questo vostro Congresso.
Questo è un anno dove noi comunisti celebriamo il Centesimo anniversario della Rivoluzione Socialista d’Ottobre con numerose manifestazioni. Per ricordare le principali: a Mosca il 7 novembre, a Roma l’11 e ad Atene il 26.
Cosa successe cento anni fa? Il socialismo scientifico usciva dai libri e per la prima volta – dopo la splendida e tragica prova generale della Comune di Parigi – sotto la guida dei Lenin, diventava realtà. Una realtà che, dapprima con la costruzione del socialismo in un paese solo, guidata dal compagno Stalin, e poi con un intero campo socialista, dimostrava al mondo di quali enormi realizzazioni il socialismo era capace.
Ma tutto ciò prendeva le mosse da un altro avvenimento che quest’anno celebra un suo importante anniversario, il centocinquantesimo, ossia la pubblicazione del I libro del Capitale da parte di Marx, a cui poi si aggiunsero dopo la sua morte gli altri due libri, curati dal suo compagno di lotta, l’altro grande maestro del proletariato internazionale, Engels. Ciò che fu delineato scientificamente 150 anni fa nel Capitale di Marx resta attuale ancor oggi, quando il capitalismo ha esteso i suoi tentacoli su tutto il Pianeta, e ancor di più nella sua fase suprema imperialistica nella quale esso è entrato più di 100 anni fa.
Cosa preconizzava scientificamente il Capitale di Marx e cosa cominciava a realizzare la rivoluzione d’Ottobre? La presa del potere da parte della maggioranza sfruttata della popolazione sotto la direzione della classe operaia, guidata dal proprio partito, il partito comunista.
Perché la classe operaia viene individuata da Marx, nell’epoca del capitalismo, come l’unica classe completamente e genuinamente rivoluzionaria? Perché tutte le altre classi hanno un residuo del vecchio sistema borghese e nei loro interessi sono divise tra l’interesse ad allearsi al proletariato o rimanere succubi delle vecchie classi dominanti. Invece la classe proletaria è l’unica che ha solo ed esclusivamente l’interesse a rivoltare questo sistema e a trasformarlo dalla dittatura della borghesia in quella del proletariato, cioè a nazionalizzare i mezzi di produzione, a cominciare dai principali, e quindi risolvere definitivamente il problema della presa del potere a partire da quello della produzione e non solo il problema della distribuzione equa del profitto. Cioè a risolvere il problema che chi produce, decide; decide cosa, come e perché produrre, non accontentandosi della redistribuzione del profitto, che lascia in mano ai padroni le leve del comando. Tra la classe operaia, specialissima posizione occupa la classe operaia concentrata nei grandi luoghi di lavoro, perché essa lì riconosce la sua straordinaria forza di lotta quando è unita, lì costruisce i germi e dà forma al nuovo al nuovo potere proletario, quello che furono i Soviet in Russia. «Tutto il potere ai Soviet», disse Lenin. Così avvenne nella vittoriosa Rivoluzione d’Ottobre e così si provò a fare anche nelle altre meno fortunate esperienze che ne seguirono, dall’Italia alla Baviera.
Questo è il motivo per cui il partito che guida la classe operaia, il Partito Comunista, deve essere costruito dentro di essa, dentro la classe operaia, dev’essere la sua avanguardia cosciente e non la sua “rappresentanza” ma la parte più attiva di essa, come ci insegnano i nostri Maestri, da Lenin a Stalin e come Gramsci riconosce e ripete: «Istruitevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra intelligenza. Agitatevi, perché avremo bisogno di tutto il nostro entusiasmo. Organizzatevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra forza». Le rivoluzioni che sono fallite sono fallite perché non c’era un partito della classe operaia radicato dentro di essa, o perché questo Partito non aveva una strategia rivoluzionaria per la presa del potere politico, come avvenne nel Biennio Rosso in Italia del 1919/1920.
Le altre classi subalterne devono allearsi col proletariato, devono accettare la nuova società senza classi che esso porta in sé, devono accettare la sua direzione, perché esse non sono in grado di prefigurare un altro sistema di produzione intermedio o diverso tra capitalismo e socialismo.
Come risolse il problema delle alleanze di classe Lenin 100 anni fa? La terra ai contadini, ma non la proprietà, che ne avrebbe fatto una classe avversa al potere proletario, ma la concessione del suo uso e – dopo una inevitabile, ma breve, fase di stabilizzazione del potere sovietico costituita dalla NEP – la spinta alla collettivizzazione, cioè alla prima forma di socializzazione non solo dei mezzi di produzione, ma anche del suo prodotto. La finalità era quella di restringere sempre di più il ruolo residuo del mercato dentro l’economia socialista ed estendere progressivamente quella dell’economia pianificata centralmente, in cui non solo il controllo ma anche la gestione sottostà al potere proletario.
La manomissione, a partire dal 1953/56, di questo processo di restringimento del mercato e invece lo sviluppo di nuove forme di accumulazione, prima mercantilista e poi apertamente capitalistica, ha alla fine portato il socialismo ad inaridirsi e alla fine a crollare, come è avvenuto nel 1989/91 nel campo socialista, o a stravolgere completamente il percorso verso il socialismo, com’è avvenuto in altri paesi in cui, almeno formalmente, un partito che si dice comunista è al potere.
NON È FALLITO IL SOCIALISMO, MA LA SUA REVISIONE, DA CRUSCIOV A GORBACIOV
Anche in Italia l’abbandono della direzione proletaria del partito comunista è stato l’inizio della degenerazione revisionistica. L’VIII Congresso del PCI del 1956, tenutosi dopo il famigerato XX Congresso del PCUS, ha portato a una sostituzione dei dirigenti, prima in maggioranza di estrazione proletaria, con una maggioranza di elementi di estrazione intellettuale-borghese. Questi elementi – se in minoranza nel Partito e rinnegando la propria classe di provenienza – sono importanti nella costruzione del Partito, affinché la classe operaia passi da classe operaia “in sé” a classe “per sé”, come diceva Marx, ossia possano traferire l’ideologia proletaria accumulata nei decenni precedenti ai proletari di oggi. Altrimenti si innesca quel processo di “rappresentanza” della classe operaia, di prevalenza dei fattori tecnico-economici sui fattori politici, che portano all’opportunismo.
Dopo il 1956 la deriva revisionista è stata sempre più accentuata, fino alla degenerazione dell’“eurocomunismo”, prima, per arrivare alla “mutazione genetica” e allo scioglimento del PCI, dopo. La ricostruzione del Partito comunista in Italia in questi venti anni, da Rifondazione Comunista al Partito dei Comunisti Italiani, è stata indirizzata su binari eclettici, opportunistici, elettoralistici, che riproducevano i peggiori vizi del vecchio PCI. Solo ora abbiamo l’orgoglio di dire che finalmente anche in Italia esiste un Partito Comunista, saldamente basato ideologicamente, organizzativamente e politicamente sul marxismo-leninismo, anche se ancora sono enormi i compiti che ci attendono, a cominciare dal radicamento del Partito nelle fabbriche e nei luoghi di lavoro.
Questa è l’epoca storica delle rivoluzioni proletarie. Nessun arretramento temporaneo del movimento comunista internazionale può mettere in discussione questa verità storica. Il sistema borghese, il capitalismo giunto nella sua fase imperialistica, mostra il suo volto più puro fatto di fame, guerre, oppressione dei diritti dei lavoratori e dei popoli. Il capitalismo non può per sua natura risolvere nessuno dei problemi che attanagliano il Pianeta oggi: né quello della crisi di produzione, né quello delle disparità e delle disuguaglianze (non solo quelle sociali, ma anche quelle tra uomo e donna, tra vecchi e giovani, tra nord e sud del mondo), né quello ambientale; anzi esso è la causa dell’aggravamento di tali crisi. E la soluzione è solo il cambiamento radicale del modo di produzione che domina la società, dal capitalismo al socialismo. È vano e veramente utopia pensare che il capitalismo possa essere riformato, che le crisi a cui assistiamo siano solo la manifestazione del “liberismo” o “neoliberismo” o della dittatura solo di questa o quella fazione più o meno “cattiva” del capitalismo.
IL CAPITALISMO NON È MALATO, IL CAPITALISMO È LA MALATTIA
In questo senso anche il problema delle nazionalità viene usato dalla borghesia per dividere i popoli e non per unirli. Noi siamo per l’internazionalismo proletario e non per il nazionalismo che mette i popoli l’uno contro l’altro; ma neanche per il cosmopolitismo eclettico, che toglie ai popoli la loro storia, la loro lingua, le loro tradizioni, che non sono elementi sovrastrutturali, ma costituiscono la base per la loro cultura e la loro coesione. Solo il socialismo è riuscito, in URSS e nelle altre democrazie popolari, a risolvere creativamente questa contraddizione, dando a tutti i popoli una casa comune che riconoscevano come la loro. Solo il socialismo può unire i popoli e non dividerli.
In Italia noi abbiamo una “pistola puntata alla testa”, costituita da un partito razzista come la Lega. Esso si manifesta sempre più come una delle opzioni a cui la borghesia può ricorrere per creare artificiosamente una divisione tra le classi popolari italiane. Esso in questo momento sta buono all’interno della coalizione politica di destra, insieme ai fascisti – a parole ultranazionalisti, ma pronti a svendere l’interesse nazionale ai conglomerati imperialisti a cui partecipa l’Italia, la NATO e l’Unione Europea – e agli altri partiti di destra. Questo partito è riuscito anche a prendere voti nell’ultima elezione regionale in Sicilia, dopo che per anni ha sputato sulla dignità del popolo siciliano e del meridione. A questo si è ridotta la politica borghese nel mio paese.
Questa situazione può degenerare da un momento all’altro, gettando il Paese nel caos e innescando guerre disastrose, come già avvenuto per esempio nella nostra vicina Jugoslavia, un paese dove un socialismo pur imperfetto e compromesso aveva comunque attenuato il problema tra le nazionalità.
Per noi in Italia non è così facile smascherare queste pulsioni razziste, perché – per quanto provengano da settori della borghesia tra le più retrive – si ammantano di una finta valenza antisistema, così come fanno i fascisti nei quartieri popolari, dove fomentano la lotta contro l’immigrazione. Del resto essi a parole si oppongono al predominio di governi del Partito Democratico, che include antiche provenienze anche del PCI, che si definisce un partito di centro-sinistra, ma che in realtà è il più conseguente attuatore delle politiche della borghesia monopolista italiana, il più coerentemente filoeuropeista e filo-NATO.
Ma non è la parvenza esteriore che ci deve fare capire chi sono le forze che ci fronteggiano, ma la loro natura di classe. Se una forza borghese si presenta nelle forme progressiste o addirittura di “sinistra”, non per questo persegue gli interessi, neanche parziali del popolo, come avviene oggi in Italia con i governi di “sinistra” e le forze opportuniste, o in Grecia con il governo di Syriza. Già Marx ha vissuto e ci ha ammoniti su questo. La borghesia europea ha perso ogni ruolo o funzione progressiva su quel muro del Père-Lachaise dove fucilarono nel maggio del 1871 gli ultimi Federati della Comune di Parigi. La borghesia europea ha perso anche la propria dignità storica quando abbandonò la Repubblica spagnola alle orde fasciste, quando fomentarono e misero su il nazismo per scagliarlo contro il primo stato socialista al mondo, l’Unione Sovietica. La borghesia oggi non può vantare né storicamente, né moralmente, né socialmente alcun merito e deve solo essere spazzata via.
Già cento anni fa Lenin ci ammoniva a non far marciare il proletariato sotto questa o quella bandiera della borghesia. È l’atto fondativo dei comunisti: la rottura con il criminale opportunismo kautskiano che ha gettato i popoli europei nel massacro della Prima Guerra mondiale. È la scelta di Lenin dell’Ottobre a rompere con l’opportunismo menscevico e piccolo-borghese e istaurare il potere dei soviet.
Il proletariato e solo il proletariato potrà realizzare con la propria dittatura l’opera di traghettare questo mondo in un mondo in cui lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo attraverso la proprietà privata dei mezzi di produzione sarà considerata un intollerabile fenomeno del passato, come oggi ricordiamo la schiavitù o la caccia alle streghe.
Viva il marxismo-leninismo e l’internazionalismo proletario
Viva i Collettivi della Gioventù comunista
Viva il Partito comunista dei Popoli di Spagna
Viva la Rivoluzione Socialista d’Ottobre
Viva il Socialismo-Comunismo