SULL’ASCENSIONE IN ALTE MONTAGNE

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SULL’ASCENSIONE IN ALTE MONTAGNE

sull'ascensione in alte montagne

SULL’ASCENSIONE IN ALTE MONTAGNE

 

di Pietro Terzan

 

In un articolo incompiuto e pubblicato postumo su Pravda il 16 aprile 1924, Lenin spiega la situazione concreta della prima rivoluzione proletaria della storia paragonando la rivoluzione comunista a «un’ascensione di una montagna altissima, dirupata e ancora inesplorata». Nel primo paragrafo di Note di un pubblicista, che merita di essere letto integralmente, Lenin scrive:

«Immaginiamo un uomo che effettui l’ascensione di una montagna altissima, dirupata e ancora inesplorata. Supponiamo che dopo aver trionfato di difficoltà e di pericoli inauditi, egli sia riuscito a salire molto più in alto dei suoi predecessori, senza tuttavia aver raggiunto la sommità. Egli si trova in una situazione in cui non è soltanto difficile e pericoloso, ma addirittura impossibile avanzare oltre nella direzione e nel cammino che egli ha scelto. Egli è costretto a tornare indietro, a ridiscendere, a cercare altri cammini, sia pure più lunghi, i quali gli permettano di salire fino alla cima. La discesa, da questa altezza mai ancora raggiunta su cui si trova il nostro viaggiatore immaginario, offre delle difficoltà e dei pericoli ancora maggiori, forse, dell’ascensione: è più facile inciampare; si vede male dove si mettono i piedi; manca quello stato d’animo particolare di entusiasmo che dava impulso al cammino verso l’alto, dritto allo scopo, ecc. Bisogna legarsi con una corda, perdere delle ore intere per tagliare la roccia con la piccozza allo scopo di creare dei punti di appoggio per legarvi saldamente la corda; egli è costretto a muoversi con la lentezza di una tartaruga, e per giunta a muoversi indietro, verso il basso, allontanandosi dalla cima; e non vede ancora se questa discesa terribilmente pericolosa e faticosa terminerà, se si troverà un’altra via alquanto sicura, che permetta nuovamente di muovere avanti con maggior coraggio, con maggior rapidità e seguendo una linea più retta, verso l’alto, verso la cima.
Non è forse naturale pensare che un uomo, trovandosi in questa situazione, possa avere – benché sia salito ad un’altezza inaudita – dei momenti di scoraggiamento? E tali momenti non sarebbero probabilmente più numerosi, più frequenti e più penosi se egli potesse ascoltare certe voci dal basso, di persone che osservano al sicuro di lontano mediante un cannocchiale questa discesa così pericolosa, che non si può neppure qualificare (secondo il modello del gruppo Smena Vekh[1]) “discesa frenata”, poiché un freno suppone una vettura ben regolata e già collaudata, una strada predisposta in precedenza, meccanismi già sperimentati. Qui invece di collaudato in precedenza non vi è né la vettura né la strada né assolutamente nulla!
E dal basso giungono voci piene di una gioia maligna. Gli uni gioiscono apertamente, lanciano urla, gridano: guardate, sta per cadere; gli sta bene; così imparerà a fare il folle! Altri cercano di nascondere la propria gioia, comportandosi per lo più alla maniera di Iuduscka Golovliov[2]: assumono un’aria triste, levano gli occhi al cielo. Con nostro dolore, i nostri timori si avverano! Non siamo stati forse noi che abbiamo dedicato tutta la nostra vita a preparare un piano ragionevole per l’ascensione di questa montagna, a chiedere un rinvio dell’ascensione, fino al momento in cui il nostro piano fosse stato elaborato definitivamente? E se noi abbiamo lottato tanto ardentemente contro il cammino che adesso lo stesso insensato abbandona (guardate, guardate, eccolo che torna indietro, che discende, che lavora per ore per prepararsi la possibilità di muoversi di un solo metro! Lui che ci ha lanciato le peggiori ingiurie quando chiedevamo sistematicamente moderazione e accuratezza!), se noi abbiamo condannato tanto ardentemente l’insensato e se abbiamo messo in guardia tutti affinché non lo imitassero e non lo aiutassero, l’abbiamo fatto esclusivamente per amore del grande piano di ascensione di questa stessa montagna, per non compromettere del tutto questo piano grandioso!
Per fortuna, il nostro viaggiatore immaginario, nelle condizioni dell’esempio che abbiamo preso, non può udire le voci di questi “veri amici” dell’idea dell’ascensione, altrimenti è probabile che proverebbe un senso di nausea. E si dice che la nausea non aiuti ad avere la testa fredda e i piedi sicuri, particolarmente a quote altissime».[3]

Negli ultimi 100 anni abbiamo assistito a innumerevoli «ascensioni su alte montagne», alcune finite male e altre ancora in corsa. Altrettante sono state le voci dal basso e al sicuro, mentre ad ogni angolo sono spuntati nuovi ostacoli e nuovi nemici determinati a fermare la scalata. In Italia, peraltro, non siamo neanche riusciti a costruire un campo base in alta quota e a malapena abbiamo sfiorato il potere e l’egemonia culturale, traguardi necessari per dare il via all’ascensione. Un prezioso contributo per comprendere appieno le contraddizioni della nostra storia arriva dalle ultime opere di Domenico Losurdo, in particolare Il marxismo occidentale. Come nacque, come morì, come può rinascere e La questione comunista. Storia e futuro di un’idea.
In questo contesto, si impone una scelta: collocarsi nelle molte schiere delle voci in basso e al sicuro, oppure contribuire alla salita, aiutando i compagni anche di altri paesi… «a tornare indietro, a ridiscendere, a cercare altri cammini, sia pure più lunghi, i quali gli permettano di salire fino alla cima»[4]?
Per fortuna non mancano gli esempi di compagni, per esempio cinesi o cubani, che non ascoltano le voci provenienti dal basso e, come i bolscevichi nel 1922, non provano il terribile senso di nausea descritto da Lenin.
Mentre ci impegniamo a organizzare e costruire la salita, è consigliabile leggere anche gli altri due paragrafi dell’articolo di Lenin, perché «un esempio non è una prova. Ogni confronto è sempre difettoso».
In Senza metafore si sottolinea l’importanza storica dell’Ottobre rosso, sulla scia della Grande Rivoluzione Francese e della Comune di Parigi. Il proletariato sovietico non sentirà più la nausea, non si farà prendere dalle illusioni o dallo scoraggiamento se avrà contezza di ciò che ha portato a termine: la fase democratico-borghese della rivoluzione «in modo così pulito come mai ancora era avvenuto nel mondo. Noi siamo usciti dalla guerra imperialistica più reazionaria per via rivoluzionaria». Conquista importante, data la sopravvivenza del capitalismo e l’alta probabilità di ulteriori carneficine mondiali nell’imminente futuro.

«Noi abbiamo creato il tipo di Stato sovietico, inaugurando così un’epoca nuova nella storia mondiale, l’epoca del dominio politico del proletariato che ha preso il posto dell’epoca del dominio della borghesia. Anche ciò non può esserci tolto, sebbene soltanto l’esperienza pratica della classe operaia di più paesi possa “portare a termine” il tipo di Stato sovietico».

Non bisogna farsi prendere dalle vertigini delle grandi altitudini, i bolscevichi e il proletariato sovietico, parole di Lenin, fino a questo momento non avevano nemmeno completato le fondamenta dell’economia socialista.

«Sicuramente perduti dovrebbero essere considerati quei comunisti che immaginassero possibile portare a termine – senza errori, senza ritirate, senza ripetuti rifacimenti di lavori incompiuti o mal realizzati – una “impresa” di portata storica mondiale come la costruzione delle fondamenta dell’economia socialista (particolarmente in un paese di piccoli contadini). Non sono invece perduti (e con tutta probabilità non lo saranno mai) quei comunisti che non si lasciano andare né alle illusioni né allo scoraggiamento, conservando la forza e l’elasticità del proprio organismo per “ricominciare daccapo” nuovamente la marcia di avvicinamento verso un obiettivo difficilissimo. E tanto meno ci è permesso lasciarci andare al minimo abbattimento, tanto meno ve ne è motivo, in quanto noi, malgrado tutta la nostra rovina, miseria, arretratezza e fame, abbiamo cominciato ad avanzare nel campo dell’economia preparatoria del socialismo, mentre invece accanto a noi, in tutto il mondo, i paesi più progrediti, mille volte più ricchi e militarmente più potenti di noi continuano ad indietreggiare nel campo della “loro” economia capitalistica, da essi vantata, conosciuta, sperimentata ormai da centinaia di anni».

Nel paragrafo A proposito della caccia alla volpe, di Levi e di Serrati, Lenin ammette un proprio errore rispetto all’appoggio a Levi al III Congresso dell’Internazionale Comunista, su «posizioni esageratamente di sinistra ed erratamente di sinistra» nelle file del movimento comunista tedesco, ungherese e italiano, che rischiavano di compromettere l’intera tattica del Comintern.
D’altronde, prosegue Lenin, tra il 1903 e il 1917 ci sono stati casi isolati in cui i menscevichi hanno avuto ragione. Purtroppo Levi non aveva solo momentaneamente perso la testa a causa dell’estremismo di sinistra, ma si era poi dimostrato «un agente della borghesia nel movimento operaio», aiutando la socialdemocrazia e la II Internazionale. La trasformazione e la costruzione di un partito europeo in un partito veramente rivoluzionario e comunista, un nuovo partito sulla linea della III Internazionale, era un compito fondamentale ma molto difficile: era necessario evitare sia la troppa prudenza che il troppo estremismo. «Rinnovare nella vita quotidiana lo stile di lavoro del partito, trasformare la routine quotidiana, fare in modo che il partito divenga l’avanguardia del proletariato rivoluzionario, senza allontanarsi dalle masse, ma avvicinandosi sempre più ad esse, sollevandole alla coscienza rivoluzionaria e alla lotta rivoluzionaria».
In Italia, Serrati che tentava di ingannare il proletariato italiano come un «mercante di cavalli», tenendo un piede nella Terza Internazionale e l’altro nella socialdemocrazia, avrebbe potuto coadiuvare il proletariato e i comunisti italiani nella costruzione dell’avanguardia comunista, con i suoi compiti e i suoi obbiettivi. Paradossalmente, grazie all’azione opportunista di alcuni dirigenti come Levi, Serrati («modelli attuali dell’estrema sinistra della democrazia piccolo-borghese») e altri, si può imparare moltissimo.
«Che esultino pure come dei pagliacci per la NEP insieme ai capitalisti internazionali! Tenendo a bada le illusioni e non lasciandosi prendere dall’eccesiva prudenza, per non finire come la volpe catturata dall’uomo proprio per la troppa furbizia e attenzione»[5], non temendo di riconoscere i nostri errori e le «reiterate fatiche per correggerli, raggiungeremo la cima», conclude Lenin.
In questo scritto di Lenin troviamo anche uno straordinario elogio a Rosa Luxemburg:

«Paul Levi desidera adesso particolarmente guadagnare i favori della borghesia (e di conseguenza quelli della II Internazionale e dell’Internazionale due e mezzo, che sono i suoi agenti) ripubblicando proprio le opere di Rosa Luxemburg in cui essa ha avuto torto. Noi rispondiamo a ciò con le parole di una buona fiaba russa: accade a volte alle aquile di scendere persino più in basso delle galline, ma mai alle galline di salire al livello delle aquile. Rosa Luxemburg si è sbagliata sulla questione dell’indipendenza della Polonia; si è sbagliata nel 1903 nella sua valutazione del menscevismo; si è sbagliata nella sua teoria dell’accumulazione del capitale; si è sbagliata quando nel luglio 1914, accanto a Plekhanov, Vandervelde, Kautsky, ecc., ha difeso l’unificazione dei bolscevichi e dei menscevichi; si è sbagliata nei suoi scritti dalla prigione nel 1918 (per altro, essa stessa, dopo essere uscita di prigione, alla fine del 1918 e all’inizio del 1919 ha corretto una gran parte dei suoi errori). Ma malgrado i suoi errori essa è stata e rimane un’aquila; e non soltanto il suo ricordo sarà sempre prezioso per i comunisti del mondo intero, ma anche la sua biografia e le sue opere complete (nella cui pubblicazione i comunisti tedeschi mettono un ritardo impossibile; non li si può scusare parzialmente che in considerazione delle loro enormi perdite in una lotta durissima) costituiranno una lezione utilissima per l’educazione di numerose generazioni di comunisti del mondo intero. “La socialdemocrazia tedesca dopo il 4 agosto del 1914 è un fetido cadavere”: è con questa sentenza che il nome di Rosa Luxemburg entrerà nella storia del movimento operaio mondiale. Mentre invece nel cortile posteriore del movimento operaio, tra i mucchi di letame, le galline come Paul Levi, Scheidemann, Kautsky e tutta questa confraternita ammireranno soprattutto, ovviamente, gli errori della grande comunista. A ciascuno il suo».[6]

 

[1] Gruppo di intellettuali nato negli ambienti degli émigrés bianchi antisovietici. Il nome deriva da una raccolta di articoli, in maggioranza politici ed economici, pubblicati a Praga nel luglio del 1921. Elaborato il dato di fatto che era ormai divenuto impossibile rovesciare i bolscevichi con l’aiuto militare degli imperialismi stranieri, gli uomini di Smena Vekh (“cambio di indicazioni”) puntavano su un mutamento interno dello Stato sovietico dopo l’avvento della NEP.

[2] Tra i protagonisti del romanzo di Ščedrin I signori Golovlëv (1880). Personaggio che incarna la doppiezza, l’ipocrisia e il tradimento.

[3] Lenin, Opere complete, vol. XXXIII, Editori Riuniti, Roma 1967, pp.183-184.

[4] Ivi, p.183.

[5] «Si dice che il metodo più sicuro per cacciare la volpe sia il seguente: le volpi, una volta scoperte, vengono circondate ad una certa distanza con un filo cui sono appese delle bandierine rosse, teso a breve altezza sulla neve; temendo quest’opera palesemente artificiosa, “umana”, la volpe esce soltanto al momento e nel punto in cui questa “barriera” di bandierine è aperta; ed è lì che il cacciatore aspetta la volpe. Sembrerebbe che la qualità più positiva di questo animale, cui tutti danno la caccia, sia la prudenza. Ma anche qui la “continuazione della virtù” si rivela essere un difetto. La volpe viene presa proprio a causa della sua eccessiva prudenza». Ivi, pp.186-187.

[6] Ivi, pp.184-190.

1 Comment

  1. Fulvio Baldini ha detto:

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