A maggio di quest’anno gli sceneggiatori di Hollywood sono entrati in sciopero e il 13 di luglio c.a. anche gli attori hanno partecipato. I due problemi sul tavolo sono i seguenti: 1) le royalty e 2) l’Intelligenza Artificiale (I.A.).
Come abbiamo osservato la UE non se ne preoccupa più di tanto, mentre l’uomo medio al più percepisce il fastidio di non poter vedere il seguito della propria serie preferita su Netflix! Occorre riflettere su quanto i cervelli occidentali siano stati genuflessi alle produzioni hollywoodiane, capaci di costruire agganciamenti emotivi ed intellettivi superiori alla decade per durata e imprinting valoriale.
Abbiamo sentito anche compagni/e dire che in questo campo conta solo la qualità artistica, indifferentemente dal contenuto. Se sono belle è giusto guardarle! L’art pour l’art! Si dimentica che dietro ogni serie TV c’è un messaggio ideologico ben preciso che mira a determinare nel tempo la società. È la guerra psicologica che gioca sul subliminale, condotta con fredda spietatezza di classe da una feroce borghesia, pronta a usare armi moderne per farci il lavaggio del cervello. Sottovalutare questi aspetti della lotta di classe non è da marxisti.
Per quanto riguarda il primo punto, le royalty, dobbiamo osservare che le ragioni degli scioperanti riguardano i cosiddetti Diritti Residuali:
“Ai tempi della tv via cavo, cioè prima dell’avvento delle piattaforme streaming, capitava molto spesso che film e serie tv venissero mandati in onda in replica. I diritti residuali sono le cifre corrisposte agli attori quando film o serie tv da loro interpretati vengono mandati in onda in replica. Un concetto totalmente sorpassato dalla logica on demand delle piattaforme in streaming dove le repliche non sono decise da chi fa i palinsesti ma dall’utente stesso (leggi abbonato)”.
L’intoppo dov’è adesso? Gli attori chiedono che i diritti residuali cambino e vengano calcolati sul numero delle repliche. La risposta delle piattaforme streaming è dura: “non desideriamo fornire i dati e condividerli con voi!”
Punto 2: anche su questo è doveroso fare qualche precisazione. Attualmente, come sappiamo, l’intelligenza artificiale è in grado di ricreare immagini. La tecnologia sta avanzando con passi da gigante, e anche se al momento non sembra possibile, sul breve termine potrebbe, come sostengono gli scioperanti, addirittura sostituire gli attori.
Attori ricchi, attori poveri. Anche qui c’è un confronto di classe. Siamo abituati a leggere i compensi esorbitanti delle grandi star, ma il loro numero è molto ristretto; per la stragrande maggioranza degli altri attori la situazione è molto più fragile e precaria. Quest’ultimi, veri proletari di Hollywood, con i diritti residuali e i loro cache arrivano a malapena a uno stipendio di 26 mila dollari annuali, il minimo per garantirsi l’assicurazione sanitaria. L’agitazione ha così guadagnato il sostegno di tanti attori che oltre a unirsi alla causa hanno anche fatto ingenti donazioni. “No serie, no festival”, le agitazioni degli attori hanno bloccato la produzione di diversi film e serie tv. Ne risentirà soprattutto il festival di Venezia, che già ha tagliato alcuni film. Se non sarà trovato alcun accordo e le agitazioni continueranno, non sono escluse altre defezioni qui e in altri festival.
“Il divieto alle star statunitensi di promuovere i loro nuovi film costringerà i produttori a utilizzare più ospiti nostrani”. Così recitano i media inglesi in questi giorni. La Sag-Aftra, Screen Actors Guild-American Federation of Television and Radio Artists, ha iniziato la sua azione sindacale. La controparte britannica di Sag-Aftra, Equity, non parteciperà, ma alcuni attori britannici, come la star Emily Blunt, sono membri di Sag-Aftra. La questione ha creato una certa confusione tra gli attori britannici che si chiedono se debbano pubblicizzare spettacoli realizzati per società di proprietà statunitense come Netflix o Paramount, proprietaria di Channel 5.
C’è molta confusione in merito, in Inghilterra; ovvio che i padroni continuino a sostenere che le perdite saranno ingenti e precluderanno la produzione, non solo di film e telefilm, ma intaccheranno anche spot pubblicitari, programmi televisivi di ogni genere e quant’altro. Nel frattempo le star britanniche organizzano una manifestazione a Londra a sostegno di attori statunitensi in sciopero. I capi dei sindacati dello spettacolo inglesi insistono che Sag-Aftra vincerà e che presto anche gli attori del Regno unito sosterranno lo sciopero.
“Quelli che aggireranno l’ostacolo, riferito agli studios americani, che useranno attori britannici, potrebbero poi pagarne le conseguenze”. Queste le parole dei sindacalisti. Questi i numeri dello sciopero: il 98% degli iscritti al movimento negli USA stanno partecipando allo sciopero, cosa che non si vedeva dal 1960!
“Hollywood deve essere un luogo in cui ogni lavoratore, sullo schermo e fuori, venga trattato in base al valore delle sue capacità e dei suoi talenti”. Questa la dichiarazione testuale data congiuntamente alla stampa dai principali sindacati dell’industria cinematografica USA: la International Alliance of Theatrical Stage Employees, Teamsters, Hollywood Basic Crafts, Directors Guild of America (DGA), Writers Guild of America East e Writers Guild of America West.
Bersaglio delle polemiche è l’Alliance of Motion Picture and Television Producers, che comprende più di 350 studios, network e streamer, tra cui Netflix, Disney e Amazon.
La posta in gioco è altissima. L’ultima volta che gli sceneggiatori avevano incrociato le braccia risale al 2007-2008, in uno sciopero durato complessivamente 100 giorni e che provocò la cancellazione di oltre 60 serie televisive, oltre a un calo degli ascolti e degli introiti pubblicitari. In quell’occasione lo Stato della California perse oltre 2 miliardi di dollari e oltre 37.700 posti di lavoro. Secondo Deadline, il bilancio stavolta potrebbe essere persino peggiore. Finora la sollevazione degli sceneggiatori sta costando all’economia californiana 30 milioni di dollari al giorno, ma la somma potrebbe aumentare esponenzialmente nel caso che anche gli attori si uniscano alla protesta.
Fonti: the Guardian e la voce di NYC
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