A poco più di due mesi dal voto, in molti sembrano sentire l’urgenza di annunciare la propria disponibilità a formare un governo di coalizione post elezioni con il Partito Democratico. Dopo l’annuncio di D’Alema a nome di Liberi e Uguali, è toccato al leader del Movimento Cinque Stelle, Luigi Di Maio, che ha affermato «Il nostro obiettivo è arrivare al 40% e governare da soli. Se no, ci assumeremo la responsabilità di governare. La sera del voto faremo un appello. Chi risponderà si siederà con noi per mettere in piedi le priorità di governo», insistendo sul ruolo del M5S come «garante della stabilità contro il caos».
Ma è dagli ambienti vicini a Di Maio e al suo staff che sarebbe giunta un’ulteriore chiarificazione: le uniche preclusioni sono nei confronti di Silvio Berlusconi e Matteo Renzi. In altre parole, il M5S sarebbe disponibile anche ad aprire per primo al PD in caso di ritiro, o meglio di una sconfitta, del leader fiorentino. Uno scenario, quello di un governo a guida M5S con supporto del centro-sinistra, ad oggi sicuramente meno probabile di altri, ma che ben si sposerebbe con la “nuova” vocazione governista del Movimento. Il viaggio di Di Maio a Washington di appena un mese fa, l’annuncio della volontà di non candidarsi da parte di Alessandro Di Battista (fautore di posizioni sicuramente differenti, specie in politica estera), fino alle ultime dichiarazioni, sono tutti segnali di un processo ormai in corso di “normalizzazione” del Movimento Cinque Stelle, che ormai punta apertamente a conquistare la fiducia dei settori dominanti dell’economia e della finanza che orientano la politica nazionale ed europea.
Di quest’avviso è Marco Rizzo, segretario del Partito Comunista (PC). «Di Maio ha aperto a un governo col PD usando gli stessi argomenti che il PD usò per giustificare il sostegno al governo Monti e l’alleanza con Berlusconi. È chiaro che oggi l’obiettivo di Di Maio è accreditare il M5S agli occhi dei poteri forti, e infatti parla di “responsabilità” e di garantire “la stabilità contro il caos”, cioè gli interessi di banche e Confindustria. Gli stessi argomenti della “responsabilità” di Bersani, o anche delle larghe intese di Letta», così Rizzo in una nota.
Nel mirino anche l’idea che un PD senza Renzi possa essere accettabile: «Il Partito Democratico in questi anni è stato artefice delle peggiori politiche antipopolari, promuovendo misure che neanche la destra era riuscita a fare. Tutto questo anche prima di Renzi; il PD ha sostenuto il governo Monti, imposto direttamente dalla grande finanza, e viene dalla storia di quello stesso centro-sinistra i cui governi hanno introdotto la precarietà sul lavoro. È il partito del Jobs Act, della Buona Scuola, dei miliardi regalati alle banche socializzando le perdite mentre i profitti restavano privati. Il PD oggi è il primo nemico dei lavoratori e dei giovani, la sua natura non cambia se si toglie Renzi. È piuttosto il M5S che sta mostrando il suo vero volto».