Un piano che prevede 7500 uscite anticipate e 2000 nuove assunzioni. Lo ha presentato la Telecom ai sindacati e dovrebbe entrare a regime a partire dall’estate 2018 fino al 2020. Almeno 4000 uscite di lavoratori in prepensionamento, elevabili a 5000 per i dipendenti che maturano i requisiti entro la fine dell’anno. Altri 2500 dipendenti saranno previsti come esodi incentivati.
Le 2000 nuove assunzioni riguarderanno perlopiù giovani assunti con contratti di apprendistato low-cost, senza pretese eccessive per quanto riguarda le retribuzioni. Lavoratori a basso costo, ma dai quali si richiedono livelli di competenza elevati. “Big data scientist, big data analyst, sviluppatore di applicazioni, sviluppatore di software per servizi innovativi, progettista di piattaforme di rete virtuali, progettista di reti di nuova generazione, specialista nell’assistenza al cliente via social”, queste sono alcune delle competenze richieste ai giovani apprendisti.
Ma la vera beffa sta nelle coperture economiche di tutto il piano. A pagare le 2000 assunzioni, secondo il piano, saranno gli stessi lavoratori che resteranno in Telecom. La chiamano «solidarietà espansiva» e in pratica comporterà questo: ogni dipendente lavorerà 20 minuti in meno, ovviamente non retribuiti. Un taglio che potrà influire fino al 5% sugli stipendi dei lavoratori. Può sembrare poco, ma 20 minuti al giorno sono circa 100 minuti a settimana e 400 minuti, cioè 7 ore di lavoro al mese sottratte. In termini delle sole ore lavorate, le 40 ore settimanali di un nuovo dipendente corrispondono alla somma dei tagli sugli orari di 23 lavoratori. I nuovi dipendenti, però, saranno retribuiti molto meno perché assunti con contratti a basso costo e di apprendistato. Insomma, una ristrutturazione in cui i padroni guadagnano, ma i costi sono pagati dai lavoratori dipendenti nel nome della “solidarietà”.
Una storia di ordinario sfruttamento, che avviene del tutto a norma di legge. Perché in Italia la legge la scrivono i governi chini dinanzi a Confindustria e ai poteri forti. Innumerevoli tipologie di contratti, una parcellizzazione tutta volta a incrementare lo sfruttamento, con forme di lavoro sempre più flessibili e adatte alle pretese dei padroni, dinanzi alle quali si pretende che i lavoratori siano indifesi.
Sulla vicenda si è espresso Marco Rizzo, segretario del Partito Comunista: «In Italia le grandi imprese come Telecom possono fare quello che vogliono perché è la legge a consentirglielo, grazie ai diktat della Troika e alle politiche dei governi di centro-destra e centro-sinistra. Le riforme sul lavoro di questi anni hanno dotato i padroni di strumenti giuridici e contrattuali eccezionali per spremere sempre più i lavoratori. Bisogna ridare dignità a chi lavora, rigettare l’idea della “solidarietà” per cui siamo tutti sulla stessa barca. Abolire il Jobs Act, le riforme Biagi e Treu, pilastri della precarietà, e sancire per legge diritti dei lavoratori che tutti dovranno rispettare. Stabilire un salario minimo, la riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario, e non per scaricare sui lavoratori i costi di un piano industriale come nel caso di Telecom. Serve un governo che abbia il coraggio di rompere con questo sistema e dire che in Italia a decidere il livello di salari e diritti non possono essere le imprese a loro piacimento».