Telecom Italia è il 7° gruppo economico italiano per fatturato ed è tra i primi 500 al mondo. Sotto la presidenza di Guido Rossi il 20 ottobre 1997 viene attuata dal Governo Prodi la privatizzazione della società. La privatizzazione comporta la quasi totale uscita del Ministero del Tesoro dall’azionariato, c’è altresì la legge sulla Golden Share che avrebbe permesso al Tesoro il diritto di veto sull’operazione successiva l’OPA di Colaninno, ma tale diritto (contestato in sede europea) fu servilmente ignorato.
Con la gestione Colaninno i debiti sono passati da 8 a 22 miliardi (bilancio 2001) ai quali si dovrebbero aggiungere i 15 per l’OPA del 1999 (per un totale di 37 miliardi di euro), poi addebitati direttamente su Telecom in seguito alla fusione con Olivetti. In grosse difficoltà Colaninno cede l’azienda e dal 2003 al 2006 la gestione Tronchetti riesce a ridurre il debito fino a 25 miliardi in seguito ad operazioni di dismissione del patrimonio immobiliare, vendita di partecipate e mancati investimenti in innovazione e sviluppo.
Ma la tegola cadrà nel 2005 con l’esborso di 14-15 miliardi per l’acquisto delle azioni minoritarie di Tim. Una operazione inutile ed inefficiente per il Paese, ma ottima per i privati che, come vedremo, hanno spolpato l’azienda. Ora, è inutile discutere su chi abbia prodotto più o meno debiti o se i processi di fusione e acquisizione erano inevitabili, quello che è evidente sono le conseguenze della privatizzazione , come dimostrano i risultati estremamente negativi che hanno caratterizzato l’equilibrio finanziario dell’azienda e il mancato sviluppo della rete nel paese.
Negli anni successivi Bernabè e Patuano riusciranno nell’impresa di ridurre il debito, ma purtroppo la nefasta privatizzazione messa in atto dal centrosinistra su mandato europeo (con la complicità delle opposizioni di centrodestra), successivamente l’Opa di Colaninno e le fusioni e acquisizioni della gestione Tronchetti , hanno trasformato una florida azienda pubblica in un agonizzante gigante privato dai piedi d’argilla .
Il tutto nel completo silenzio assenso della classe politica , responsabile di aver ostacolato il processo di innovazione del Paese a discapito degli interessi dell’oligarchia nazionale e non. La situazione recente assomiglia all’acquisto di una residenza di pregio in cui il nuovo proprietario per guadagnare inizia a venderlo a pezzi con la sola finalità speculativa. Si inizia dai quadri e mobili di valore poi si passa al garage , alla cantina e alla soffitta. Poi non soddisfatto , si passa alla divisione in più unità catastali affinché sul mercato possano valere di più. Nel frattempo si tagliano le spese di pulizia e manutenzione e si bloccano i lavori di ristrutturazione. A conclusione dell’operazione, quella che fu una reggia si trasforma in una baracca. Parte del leone la fanno le banche d’affari internazionali che in tutti questi anni hanno approfittato cogliendo il momento opportuno per realizzare affari d’oro.
Oggi la gestione si è incentrata esclusivamente sulla riduzione dei costi, costi che vanno pesantemente nella direzione di “colpire” i lavoratori prima di tutto, lavoratori da 4 anni già vessati dal contratto di solidarietà. La riforma del lavoro voluta dal governo reazionario del PD di Renzi entra a piedi pari nelle scelte aziendali, vengono proposte soluzioni che ledono la dignità dei lavoratori, non sono stati pagati i “premi produzione”, viene imposta la programmazione totale dei permessi ad ore con mesi di anticipo e in caso di diniego scelti arbitrariamente e imposti dall’azienda (permessi usufruibili per motivi personali anche urgenti, visite mediche, necessità familiari, etc.) che se non sono usufruiti portano a contestazioni di insubordinazione e quindi a rischio licenziamento, riproporzionamento buoni pasto per i part-time (mangiano meno?) , demansionamento fino a 2 livelli peggio della riforma che ne prevede uno, controlli a distanza personali e con gps per il personale esterno, straordinario obbligatorio, non pagato , con recupero ore extra scelte dall’azienda, blocco degli scatti di anzianità, eliminazione forfait pasto fuori sede per i tecnici esterni e molte altre proposte. Il mandato alla nuova dirigenza prevede che dopo tre anni di raggiungimento dei loro obiettivi , di fatto riduzione dei costi sulle tasche dei dipendenti, avranno un bonus pari a 55 milioni di euro, con l’aggravante che una volta intascato il bonus lasceranno l’azienda (della serie prendi i soldi e scappa), un vero scandalo di per se aggravato considerando che è l’equivalente dei 2/3 del totale risparmiato con la solidarietà di un anno (un anno di stipendi ridotti!!!) dei lavoratori.
All’orizzonte poi nuovi scenari tempestosi in mano all’AGCOM con una consultazione pubblica che rischia di essere molto pesante per TIM, sia che si tratti di liberalizzazione della manutenzione dell’ultimo miglio, sia che si tratti di parziale scorporo della rete : in entrambi i casi saremmo in presenza di pesanti rischi occupazionali (=esuberi) e riorganizzativi (=trasferimenti territoriali e da un reparto all’altro).
I lavoratori si stanno mobilitando per mettere un freno a questo massacro sociale ; in questi giorni si stanno svolgendo assemblee a cui seguirà uno sciopero nazionale indetto dalle RSU il 13 dicembre e altri scioperi a carattere regionale , nel frattempo i lavoratori si stanno organizzando anche spontaneamente in varie realtà del paese e manifestazioni o presidi si susseguono ; sempre in Toscana ci sono stati presidi esterni presso le sedi aziendali di Firenze, Arezzo, Lucca, Livorno, Grosseto e Pisa.
Una situazione sempre più critica e intollerabile , una situazione in cui i padroni guadagneranno sui sacrifici dei lavoratori senza rischiare nulla e senza mettere un soldo in una delle aziende italiane più importanti, azienda che da pubblica era un fiore all’occhiello del paese.
I lavoratori devo rispondere a tutto questo organizzandosi per sorvegliare che i propri diritti e i propri legittimi interessi non vengano ancora una volta svenduti. Non si deve accettare il ricatto del padrone che si nasconde dietro le solite false parole, fatte di “globalizzazione”, “compatibilità”, “mercati internazionali”, ecc. I lavoratori i sacrifici li hanno già fatti, sono solo loro che producono la ricchezza e i padroni invece sono solo capaci di intascare il frutto del loro lavoro e portare al disastro le aziende sane.
La Costituzione prevede (Art. 43) che: «A fini di utilità generale la legge può riservare originariamente o trasferire, mediante espropriazione e salvo indennizzo, allo Stato, ad enti pubblici o a comunità di lavoratori o di utenti determinate imprese o categorie di imprese, che si riferiscano a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio ed abbiano carattere di preminente interesse generale.» E quale azienda, più della primaria società telefonica italiana, possiede questi requisiti?
Basta con le promesse e coi sacrifici. Organizziamo il contrattacco dei lavoratori in ogni luogo di lavoro.
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