La Vertenza GKN tra lotta di classe e strumentalizzazioni.

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La Vertenza GKN tra lotta di classe e strumentalizzazioni.

di Enrico Zanieri

 

Sono passati alcuni giorni dalla grande e riuscita manifestazione del 18 Settembre[1] e pochi anche dalla decisione del Tribunale di Firenze, arrivata il 20 Settembre[2], che accoglie la denuncia della FIOM CGIL di condotta antisindacale da parte dei vertici dell’azienda. Il giudice della sezione del Tribunale di Firenze, ha infatti ordinato la revoca della procedura di licenziamento collettiva, suscitando nei lavoratori una giustificabilissima euforia, anche se il clima dentro ai cancelli della GKN rimane teso e concentrato sulle prossime mosse. Sono state vinte due battaglie, non la partita.

Anche se la cronaca e la presenza assidua di molti compagni della federazione di Firenze ci aggiornano continuamente sugli sviluppi della vertenza, ci sembra corretto provare a riflettere su alcuni temi: in particolare, il punto più politico della vertenza, ovvero il processo di deindustrializzazione in atto in Italia, il lavoro del Collettivo di Fabbrica GKN e la strumentalizzazione che molti partiti e movimenti hanno fatto della vertenza.

Proviamo ad iniziare dall’ultima questione, e sebbene possa sembrare strano inizieremo il ragionamento utilizzando un commento del segretario del PD, Enrico Letta: “Avevano ragione i lavoratori, avevano ragione i sindacati e avevamo ragione noi ad accusare la GKN di aver violato ogni regola. Il Tribunale di Firenze l’ha sancito. Ora si fermino e si volti pagina.”[3]

Il commento di Letta è esemplare per la chiarezza con la quale ci svela la natura destrorsa e liberista del PD. Letta sostiene di aver accusato la GKN di aver violato ogni regola. Non importa leggersi i “Principi del Leninismo” per capire quanto sia invece falsa la frase di Letta. La GKN, come stanno dimostrando gli operai in occupazione, appartiene a chi ci lavora. E questo aspetto non è un tema secondario, anzi, è un tema che proveremo a riprendere quando parleremo del Collettivo di Fabbrica. Ma è una frase che ci consente di rimarcare quanto il modello liberale abbia pervaso ogni piega del PD, quanto la mutazione genetica sia ormai maturata in un perfetto baluardo del sistema imperialista e liberale. Non c’era ovviamente bisogno di un banale commento per capire la natura del PD, ma è interessante sottolinearlo perché si sposa perfettamente con l’ansia di molti governanti che chiamano a gran voce le imprese ad investire sui propri territori. È l’idea che il lavoro lo creano le imprese, gli imprenditori, è il mito di Steve Jobs e dei garage della Silicon Valley.

Il verbo si fece carne, l’ideologia si fa legge. È l’idea che il lavoro si crea grazie al genio a alla volontà e non sia un prodotto di determinati rapporti sociali.

D’altro canto, lo stesso monito “ora si fermino e si volti pagina”, esclude lo Stato e il PD dal prendere decisioni sul tema della politica industriale di questo paese, che è stata appaltata completamente al mercato e alla finanza.

Un altro cavallo ricorrente, è stato lo scambio del mezzo con il fine. Quante volte abbiamo sentito la frase “E’ inaccettabile licenziare con una mail”, individuando nel mezzo, la mail o il messaggino, il problema. Anche in questo caso, il modello liberale, la disponibilità di licenziare ed avere un mercato del lavoro flessibile, sono dogmi inattaccabili. Non è solo Renzi ad aver cancellato l’art.18 e votato il job’s act, è l’interno panorama politico italiano che produce leggi a uso e consumo delle aziende. Per noi comunisti, non è accettabile licenziare e la piena occupazione è un obiettivo primario[4]. Lavorare meno, lavorare tutti e lavorare meglio non è solo uno slogan.

Attenzione, questo quadro politico ha permeato in profondità anche la lettura che è stata fatta del Collettivo di Fabbrica, ed è sufficiente una lettura degli innumerevoli post e articoli per farsi un’idea. Possiamo ridurre a due grandi lettura: la prima, una lettura pietista e buonista. L’aver speculato sul dolore, sulle storie degli operai licenziati mentre firmano il mutuo[5]. L’aver trasformato e i lavoratori in personaggi da soap opera.

Altrettanto nefasta è anche l’altra lettura, la lettura romantica. Aver mitizzato gli operai, quasi fossero unicorni riesumati direttamente dal grigiore degli anni ’70, gli ultimi eroi ed eroine a cui aggrapparsi per una nuova stagione di ribellismo. Non a caso, sono state anche ventilate ipotesi di cartelli elettorali al nome di Insorgiamo.

Ecco, proprio uno sguardo dentro ai cancelli, dentro alla storia del Collettivo di Fabbrica-GKN ci aiuta a capire la profondità del lavoro svolto in questi anni. Abbiamo avuto modo di ospitare su Riscossa sia una interessante intervista al delegato sindacale Matteo Moretti che una riflessione del capolista a Milano Carlo Formenti[6][7].

Un primo elemento di riflessione riguarda la storia della fabbrica e il rapporto con la città di Firenze. La GKN di Campi Bisenzio è infatti l’erede del grande stabilimento FIAT di Novoli. Lì, nel 1996 sono confluiti i lavoratori FIAT e le nuove leve di operai hanno trovato un ambiente fertile di rivendicazioni, lotte e impegno politico. Nel giro di alcuni anni, si formava una nuova leva di lavoratori che iniziavano a contestare l’approccio sindacale concertativo e basato sui funzionari. C’era la necessità di far tornare il sindacato in officina e di riuscire a impostare un lavoro capillare e che basasse la propria forza sulla democrazia dell’assemblea dei lavoratori. Questo primo embrione ha avuto anni di lavoro e di lotte per temprarsi e raffinarsi, fino ad arrivare alla conformazione attuale, con 8 membri della RSU (in realtà 7 RSU e 1 RLS), 12 delegati di raccordo, che sono al tempo stesso sindacalisti e lavoratori dell’officina, nominati dalla RSU, ma approvati dall’assemblea dei lavoratori. Corpo intermedio, il Collettivo di Fabbrica, che si riunisce fuori dall’orario di lavoro e che conta di un numero di operai che oscilla tra i 40 e i 60.

In questi mesi abbiamo visto come la capacità organizzativa del Collettivo di Fabbrica abbia consentito occupazione, mobilitazioni, interviste sui media nazionali, proposte di legge. Ma è molto più interessante capire come ha lavorato in questi lunghi anni dentro la fabbrica.

Alcune linee di produzione sono state infatti pensate dentro l’Assemblea dei Lavoratori e proposte/imposte all’azienda dalla RSU. Un esempio è lo studio che l’Assemblea dei Lavoratori ha fatto sugli infortuni sul lavoro e sulle malattie professionali. Lavorando semiassi di peso variabile tra 8 e 16 chili, le malattie professionali più tipiche risultavano il tunnel carpale e il sovraccarico biomeccanico alle spalle. Per evitare fratture da stress e malattie croniche hanno chiesto studi di ergonomia alla FIOM CGIL e poi proposto la realizzazione di processi di produzione semi automatici. L’uso di bracci meccanici ha infatti ridotto le malattie professionali e migliorato l’efficienza produttiva. Una linea di produzione semiautomatizzata produce 500 pezzi turno con scarto di 5 pezzi.

Ovviamente, l’uso dei bracci meccatronici ha ingolosito l’azienda, che ha investito sulla completa automatizzazione di alcune produzioni, con l’ovvio intento di espellere parte del personale dal processo produttivo. Anche in questo caso, però, l’unità operaia ha vinto: infatti, la linea completamente automatizzata produce 500 pezzi turno, ma con uno scarto di 100 pezzi. Sulla base della più bassa efficienza, la RSU ha contrattato una ricollocazione degli operai ritenuti in esubero nelle fasi di recupero dei pezzi sbagliati. Ancora una volta, mantenendo livelli occupazionali, produttività e salute dei lavoratori.

Ma questi due esempi non sono che una parziale visuale del lavoro svolto. Ci sono infatti i ritmi di lavoro, con le pause imposte e fatte rispettare dai delegati di raccordo, che ancora una volta, dati alla mano, dimostrano che uno studio logico e razionale del lavoro porta maggiori risultati dal punto di vista dell’efficienza produttiva e della salute dei lavoratori.

A questo si aggiungono gli accordi e le contrattazioni di secondo livello, che hanno consentito di strappare accordi sulle ore di assemblea retribuita, sul numero di RSU, sui contratti, sul rifiuto, per esempio, del job’s act, sull’internalizzazione dei lavoratori in staff leasing.

Questo modello di organizzazione sindacale cosa ci dice? Ci dice che la vita interna di una fabbrica può reggersi senza la necessità di un imprenditore? Sì, perché l’Assemblea dei lavoratori ha creato i ritmi produttivi, ha pensato linee di produzione. Ma il modello non può replicarsi in maniera automatica. Il modello organizzativo della GKN, che riprende i modelli dell’Italia degli anni ’70, ma anche dei soviet russi e che accomuna molte esperienze storiche di lotte operaie, può replicarsi solo nel costante e assiduo lavoro di militanza, sindacale e politica. Dobbiamo un po’ rifuggire dall’entusiasmo ribellista suscitato dalla vicenda. Sia chiaro, la lotta della GKN continua, la partita non è chiusa e il Partito Comunista ha l’obbligo di sostenere la vertenza fino alla vittoria. Ma è peccare di ingenuità pensare che possano sorgere spontaneamente 10, 100, 1000 GKN. Anzi, proprio qui dobbiamo trarre l’insegnamento e l’esempio più grandi, e capire come il corpo militante del Partito deve lavorare per estendere l’esperienza del Collettivo di Fabbrica, che poi non è altro che un consiglio di fabbrica. Le nostre tesi congressuali, hanno da sempre individuato la necessità di tornare a occupare i luoghi di lavoro e restituito ai lavoratori il centro dell’agire politico.

D’altro canto, è anche utile ricordare come la vertenza GKN abbia da subito occupato uno spazio sindacale e politico, ma proprio a livello politico sono mancate le sponde. Certo, molti partiti e movimenti si sono associati alla vertenza, ma pochi hanno individuato la questione politica centrale, ovvero la questione della deindustrializzazione del nostro Paese, cosa che invece il nostro partito ha  sempre ribadito. E meno ancora hanno compreso le connessioni tra la deindustrializzazione e la costruzione  della gabbia europea.

E appunto chiudiamo proprio con questo tema. C’è un asse, nel panorama politico italiano, che potremmo dividere tra chi lavora per la deindustrializzazione e chi cerca di mantenere forme di industria complementari al capitale mitteleuropeo (in gran parte tedesco, ma anche il capitale francese, basti pensare al settore tessile e abbigliamento). Questa divisione è piuttosto trasversale, da un punto di vista politico. Ci sembra invece molto più evidente da un punto di vista geografico, con Emilia Romagna, Lombardia e Veneto pienamente inseriti del capitale europeo, contro il resto d’Italia che affronta grandi processi di deindustrializzazione. La Toscana è una di queste regioni. Una rapida occhiata al profilo social del Presidente della Regione Toscana Eugenio Giani dice molto più di tante analisi: sembra infatti di vedere un depliant turistico a uso e consumo dei villeggianti in arrivo dal Nord Europa. E anche a sinistra sembra che il tema non sia colto così pienamente. La deindustrializzazione del nostro paese è un elemento dirimente tra lo sviluppo e il benessere e la regressione su diritti, tutele e stato sociale. E il tema politico della vertenza GKN è, appunto, la deindustrializzazione del Paese e la perdita di ricchezza. Per questo i lavoratori GKN non meritano i pietismi che abbiamo visto sopra e che sfocerebbero in un assistenzialismo tipicamente clericale. Ma non meritano nemmeno di essere elevati sopra un piedistallo, morale prima ancora che politico. Ne svuoteremmo completamente il senso della lotta, che sfocerebbe, come già successo in passato e come speriamo non riaccada oggi, in un cartello elettorale, con un bel nome, Insorgiamo, magari una bella grafica, ma senza i contenuti che hanno consentito agli operai di occupare una fabbrica e ribaltare, per ora, una sentenza già scritta.

credits: Andrea Sawyerr

[1]     https://www.firenzetoday.it/cronaca/manifestazione-gkn-18-settembre-firenze.html

[2]     https://www.lastampa.it/economia/lavoro/2021/09/20/news/gkn-il-tribunale-firenze-accoglie-il-ricorso-contro-il-licenziamento-di-422-lavoratori-1.40722216

[3]     https://www.ansa.it/sito/notizie/topnews/2021/09/20/gkn-letta-avevano-ragione-lavoratori-ora-si-volti-pagina_7daaae87-d788-4d8a-bc5d-de27ab5f4c22.html

[4]     A tal proposito, ci sembra interessante ricordare che in U.R.S.S. gli “uffici di collocamento” riaprirono nel 1988.

[5]     https://www.lanazione.it/firenze/cronaca/gkn-licenziamenti-1.6576302

[6]     https://www.lariscossa.info/gkn-lepidemia-ci-sta-dimostrando-mercato-lavoratori-solo-numeri-ce-ne-ricorderemo-lungo/

[7]     https://www.lariscossa.info/riflessioni-sullincontro-lavoratori-della-gkn-tenuto-milano/

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