di Saverio Paiella
“Il progetto è chiaro, definito, lampante, non ha interpretazioni se non quelle che volgono ad una chiusura dello stabilimento di Terni. E qui c’è nato, lavorativamente parlando, Giulio Natta, premio Nobel per la Chimica 1963, in questa sede, che stanno smembrando. Non lo possiamo accettare”. (Lavoratore della Treofan, Terni, Luglio 2020)
Le promesse di un rinvio di tre anni per decidere le sorti dello stabilimento ternano sono evaporate come neve al sole nel giro di pochi mesi. Dopo Battipaglia, anche Terni rischia di vedere trasferita la fabbrica che produce il Bopp Films che viene impiegato per gli usi più vari. La multinazionale Jindal con sedi distribuite in Olanda, Germania e altri paesi, ha messo alla porta i 150 lavoratori del polo industriale, molti dei quali in età lavorativa avanzata che troverebbero difficoltà a reinserirsi sul mercato. E così, sotto il caldo asfissiante di luglio gli scioperi sono proseguiti per oltre una settimana con il blocco dei camion che trasportano il carico delle merci umbre dirette verso l’estero. Sotto le pressioni dei nuovi proprietari indiani, che hanno comprato a un prezzo stracciato gli impianti, la prefettura di Terni, forte del decreto Salvini che prevede gravi ricadute penali in caso di azioni di sciopero, ha rivolto minacce di ritorsioni legali contro i lavoratori.
Il Partito Comunista è stato presente alcuni giorni con il suo sostegno agli operai e ha chiesto all’RSU Davide Lulli di spiegare cosa sta accadendo concretamente all’interno della Treofan.
“E’ cambiato tutto rispetto a qualche mese fa. La grande società ha acquisito Treofan perché era sua concorrente diretta, soprattutto per appropriarsi di tutte quelle specialites che vengono prodotte a Terni”. Mentre la sede di Battipaglia produceva commodites, spiega il responsabile interno della CGIL, e quindi è stata subito dismessa, il polo di Terni realizza delle “specialità” (dagli incarti microforati delle sigarette a materiali usati per le confezioni dei gelati e perfino per le figurine Panini) col marchio Treofan e che non possono essere fatte altrove con gli stessi standard qualitativi. “A Terni utilizziamo una tecnica, la laccatura, che crea una barriera più spessa sul prodotto, il cui impiego ha avuto un implemento in tempi di pandemia”.
Gli affari per la Jindal non sono stati affatto rosei negli ultimi anni, tanto da richiedere di optare per una riduzione del 50% in Germania con la diminuzione di 300 unità. “La Treofan tedesca ha perso in 5 anni tra i 4 e i 10 milioni, mentre l’Italia ne ha guadagnati dai 4 ai 10”. Come conseguenza diretta è arrivata allora la spietata legge del mercato che chiede di tagliare la testa alla concorrenza. “Questa azienda” – aggiunge Lulli usando una metafora tagliente – “ha una mitragliatrice, ma gli ordini che corrispondono al caricatore di una Beretta”. La parte commerciale è stata interamente assorbita dalla multinazionale e le richieste dei clienti arrivano ormai direttamente a Jindal che ha il monopolio totale della produzione Treofan. Eppure: “Loro non hanno né i macchinari né la possibilità di realizzare i nostri prodotti. Gli impianti Jindal avevano fino a un anno fa mancanza di ordini, dunque le laccatrici che erano a Virton, in Belgio e a Brindisi erano scariche, mentre le nostre erano stracariche. Scavalcato l’anno, finito questo processo di unificazione, ci hanno svuotato di ordini e ci girano solo le produzioni che loro non sono idonei a fare”.
A questo si aggiunge il fatto che alcune speciality con il marchio Treofan sono state trasferite sugli impianti di Brindisi, purtroppo a danno dell’azienda umbra. “Non è legale, non si possono spostare le produzioni. A Brindisi l’azienda ha preso dei finanziamenti europei poco meno di un anno fa, pertanto in teoria c’è la possibilità di revoca degli stessi, perché prima hanno chiuso Battipaglia e adesso hanno dichiarato la vendita”. Qualcuno è in grado di controllare? “Il ministero non vuole agire”, dice Nulli. “Il nostro intento è mettere la proprietà a un tavolo, non ci sono riuscite negli anni né Brindisi né Battipaglia e se il ministero collabora, si fa un’azione collettiva. Non si può condurre una battaglia tra regioni, ma non si può neanche permettere a una azienda di far campare 250 persone chiudendo altre due aziende che ne hanno altrettante. Questa è la realtà”.
Anche se la Treofan ha prezzi delle materie prime identici a tutti i siti europei, il costo del lavoro nel nostro paese è molto più basso che in Belgio o Olanda. Senza contare che gli impianti olandesi “copiano” dei prodotti che sono stati in origine realizzati proprio nello stabilimento ternano, a conferma che molte società acquisiscono il cosiddetto how know di posti più piccoli appropriandosi delle conoscenze tecniche di quei luoghi. “Eravamo consapevoli, io almeno avevo già l’idea”, prosegue Lulli, “che questi (Jindal n.d.r) avevano in mente una vendita già da molto tempo, ma prima di dichiararla ci avrebbero spogliato di tutto. Gli abbiamo fatto tirare fuori le carte e abbiamo dimostrato che possono subire dei danni dato che quelle produzioni, quelle specialites che facciamo noi, loro hanno difficoltà a farle”. Jindal non ha la qualità di Treofan, tiene a sottolineare un lavoratore di mezza età nel presidio di fronte la fabbrica. “Sai loro cosa ti dicono? Arrivano alla fine dell’anno dicendo, come hanno già fatto, che non hai più le credenziali per essere profittevole. Ma è normale se mi togli tutti i prodotti migliori, mi togli la materia prima che mi porta il valore aggiunto reale”, dichiara l’uomo con amarezza. “Poi a seguire ci sono state tutte azioni che volgevano esclusivamente al fermo degli impianti di Terni. Adesso serviva il nostro tipo di film in magazzino e noi – grazie a dio, qualcuno si è svegliato – abbiamo detto: blocchiamo tutto. In ballo non c’è una crisi di mercato, ma hanno levato a noi il prodotto per darlo a loro con un’arroganza che fa accapponare la pelle”.
Secondo Davide Lulli la nuova gestione sarebbe incapace di rapportarsi ai clienti anche per il rialzo eccessivo dei prezzi che insegue logiche di mercato che hanno come unico obiettivo il profitto e i numeri.
“Avevamo un film bianco, quello che trovi nelle confezioni dei gelati. L’avevamo come prodotto nostro. Hanno anche loro un tipo di prodotto bianco, ma è diverso, ha un peso specifico e delle caratteristiche sue. Hanno voluto concentrare tutte le produzioni da loro perché lì producono 1000 tonnellate al mese, da noi 100. I clienti però volevano le nostre”. Intanto la multinazionale continua volere far marciare gli impianti ma non ci sono assunzioni, gli
straordinari sono bloccati e di conseguenza, dice Nulli: “ci portano da soli a fermare gli impianti, perché le persone non è che le fai venire a lavorare gratis e gli impianti non è che marciano da soli”. Come sindacato la CGIL si è mossa con un documento che chiede un piano industriale che tenga conto delle richieste dei lavoratori che includono il ripristino del personale e istanze di tipo tecnico.
Il 15 luglio si è finalmente svolto il tanto atteso incontro al MISE. E’ stato chiesto a Jindal di redigere un documento ufficiale che metta nero su bianco la volontà o meno dell’azienda di ripristinare tutte le 25.000 tonnellate di ordinativi (quelli che aveva Treofan in origine), investimenti, i necessari spostamenti di macchinari, e soprattutto un piano industriale definito che copra un intervallo di almeno 3/5 anni. La proprietà continua a lamentarsi del fatto che gli ordinativi siano calati a causa dei lavoratori in sciopero mentre anche lo stesso Ministero arriva a riconoscere che gli ordinativi erano già stati reindirizzati verso altre sedi da prima. Si è dato venerdì 17 come ultima data per ricevere questo documento e fino ad allora continuerà ad uscire un solo camion al giorno.
Ad una prima analisi la vicenda Treofan appare analoga a molte altre che hanno avuto delle ripercussioni nel panorama economico-industriale italiano. Le operazioni dal carattere meramente speculativo, attuate ai piani alti della finanza, ignorano le conseguenze e le ripercussioni sia sul piano produttivo che sull’impatto per i lavoratori e le loro famiglie. Questo avviene perché, come da sempre sottolineato nell’analisi marxista, il fine della produzione capitalista continua ad essere l’accrescimento del profitto e non la produzione di beni e servizi utili e necessari alla collettività e al mantenimento dell’occupazione. La soluzione che continuiamo a proporre è quella di un cambiamento radicale del sistema economico e nello specifico di una grande opera di nazionalizzazione di tutti gli assetti produttivi strategici. Ben consci della grande portata di questo progetto sottolineiamo anche la necessità della formazione e potenziamento di un sindacato di lotta che si ponga al di fuori delle solite dinamiche dei sindacati concertativi.
Solo la lotta paga!