Pubblichiamo di seguito l’intervista a Gianfranco Castellotti, attivista massese scarcerato giovedì 11 ottobre dopo essere stato trattenuto nelle carceri turche, assieme ad altri militanti turchi. Era in Turchia per seguire il processo contro il gruppo musicale di sinistra “Grup Yorum” accusato ingiustamente di terrorismo per aver cantato contro il regime di Erdogan e del suo partito, l’AKP.
Per iniziare vogliamo chiederti cosa hai provato durante la tua reclusione? Qual è stata la dinamica del blitz della polizia turca? In che situazione sono gli altri compagni arrestati e il Grup Yorum?
Vi ringrazio per la disponibilità.
Quando entri nel girone dantesco della detenzione turca, dove il potere politico ordina al potere giudiziario, sai che le tue difese sono appese ad un filo: se per la stazione della polizia ero un ospite per l’antiterrotismo turco ero ben altro.
Nessun rispetto formale delle loro stesse leggi, che prevedono quattro giorni di custodia cautelare per arresti di massa, a me ne sono toccati otto. Una detenzione illegittima. Ho provato fiducia sin dal primo momento, sapevo di non essere solo e gli avvocati italiani di Giuristi democratici hanno lavorato in grande sintonia con gli avvocati turchi, così come con il Consolato italiano di Istanbul. E la solidarietà di tutti voi è arrivata chiara e netta fin là, nel fondo della mia cella avevo fiducia e speranza nel non essere espulso.
La dinamica del blitz è stata una splendida messa in scena in pieno giorno, a favore dei media mainstream turchi, con decine di agenti dei corpi speciali, blindati, cannoni ad acqua ed elicotteri. L’ennesima dimostrazione di debolezza, e non di forza, di un regime putrescente.
Un messaggio alla propria opinione pubblica: mentre arrestiamo in aula gli avvocati di Grup Yorum (alla faccia di chi dice che lo stato d’emergenza sia finito, in realtà i decreti emergenziali sono stati inglobati nella legge turca!) diamo avvertimento a chi continua a venire qui per dimostrare solidarietà e sostegno ai “terroristi”.
Di quelli arrestati assieme a me, due sono stati rilasciati dopo quattro giorni, gli altri cinque sono passati davanti ad un giudice, e sono in carcere dopo quattro giorni, anche loro inviati all’antiterrorismo dopo essere stati brutalmente torturati.
Del Grup yorum, nove restano in carcere, due sono esuli in Francia e tre in clandestinità (dopo essere comparsi sulle liste dei ricercati, vivi o morti del regime di Ankara). Il processo è ancora in corso e l’ultimo “round” si terrà il 23 ottobre.
Ma come cantano in Turchia “Yorum è il popolo, non lo puoi silenziare” e già si appresta ad esibirsi la quarta generazione del Grup Yorum fondato nel 1985: ogni dieci anni la formazione cambia facendo leva sulla scuola per i giovani musicisti gestita dagli stessi Yorum.
In Italia si sa poco della questione dei prigionieri politici turchi, potresti descriverci la situazione carceraria nel paese?
Una situazione esplosiva, le carceri ribollono e dobbiamo aspettarci una grande resistenza dall’interno delle carceri, tanto più se i decreti emergenziali verranno resi operativi (obbligo della divisa per i detenuti politici).
Se conosciamo la Resistenza dei prigionieri marxisti, di sinistra (avvocati, studenti, lavoratori, …), altro non potrei e non saprei dirvi sugli oltre 10000 prigionieri del PKK.
Il governo turco, espressione della borghesia locale promuove l’Islam radicale. Come si comporta nei confronti delle minoranze etniche e religiose? Quali sono i suoi legami con il terrorismo islamista? Quali gli interessi comuni con Usa e Nato?
L’islamizzazione messa in atto dal Fratello mussulmano Erdogan è sempre più spinta e marcata in ogni aspetto della vita pubblica: dall’aumento delle accise su alcool e sigarette, alla pausa per la preghiera islamica il venerdì durante i processi che vengono sospesi per farvi due esempi banali.
La Turchia di Erdogan ha avviato l’autostrada della Jihad da cui i “combattenti per la rivoluzione siriana” passavano indisturbati dalla Turchia per andare in Siria.
Così come è stato dimostrato tramite le pubblicazioni di Cumhuriyet (il più antico quotidiano turco i cui giornalisti sono in carcere o in esilio) il trasferimento di armi da parte del MIT (l’intelligence turca), di camion pieni di armi e munizioni ai terroristi in Siria.
È un’evidenza su cui c’è poco da discutere.
Tutte le “minoranze” siano esse alevite o curde o altro, sono da sempre nel mirino della repressione dello Stato turco, il quale oggi mostra ancora maggiore ferocia, se mai fosse possibile.
La Turchia è un bordello della NATO e degli Stati Uniti, è la portaerei della NATO in quella zona, gli interessi sono comuni ma a geometria variabile.
Turchia e NATO giocano entrambi sulle contraddizioni all’interno dei campi opposti, ma non esiste il bianco e il nero, ma una scala di grigi come ci ha insegnato il “golpe” del 2016.
In Turchia poche settimane fa furono arrestati centinaia di lavoratori dell’aeroporto di Istanbul. Qual è la loro situazione attuale? Qual è lo stato delle lotte sindacali e quanto sono avanzate le rivendicazioni dei lavoratori?
Ero ad Istanbul anche per questo: la sera del 4 novembre avrei dovuto incontrare due lavoratori dell’aeroporto per intervistarli. In carcere sono in 40 insieme ad alcuni leader sindacali e che difficilmente eviteranno anche loro un processo per “terrorismo”, le condizioni di lavoro erano talmente dure nel loro cantiere, che si era arrivati a una media di due morti al giorno.
Le lotte ci sono, si pensi alla lotta di Nuriye e Semih, insegnanti licenziati dopo il “golpe” assieme a 150 mila funzionari pubblici.
La loro lotta stava aggregando attorno a sé non solo gli altri licenziati, ma vari settori della società civile turca, fino a quando la repressione violenta dello Stato turco ha annichilito le centrali sindacali (kesk su tutte) a cui questi lavoratori erano iscritti impedendogli qualsiasi forma di sostegno o solidarietà. Per paura di subire lo stesso destino queste centrali sindacali sono state il miglior alleato di Erdogan con il loro silenzio complice, nel consentire il massacro dei lavoratori turchi costretti allo sciopero della fame, incarcerati, torturati, processati e condannati infine per “terrorismo”.
Il fuoco continua a covare sotto la cenere e la prigione a cielo aperto che è oggi la Turchia, ci spiega anche l’immensa diaspora turca in atto, ben più imponente di quella post golpe 1980.
Non esprimo valutazioni morali su questa diaspora.
Alla luce dei toni particolarmente accesi della Lega verso l’islam, ora forza di governo insieme al M5S, che relazioni ci sono tra il nostro paese e la Turchia? Ci sono accordi economici? È cambiato qualcosa rispetto ai nostri precedenti governi?
Ci sono grandi accordi economici tra Italia Turchia, piena di padroni e padroncini italiani che trovano in Turchia un esercito di schiavi salariati costretti a vendersi per nulla, e poco importa loro che la Turchia sia tra i primi paesi al mondo per morti sul lavoro.
È utile ricordare che nel distretto di Bursa, dedicato alla fabbricazione di automobili, sono presenti Renault, Ford e Fiat, quest’ultima in una joint-venture con l’esercito turco. Un governo capitalista, di qualsiasi colore lo si vesta, rimane un governo del capitale, non ci sarà nessun atto concreto contro la dittatura di Erdogan visti gli interessi economici in ballo.
Per concludere, che messaggio vuoi dare ai lavoratori italiani?
Non pensate che la Turchia sia lontana da noi!
Oggi dobbiamo riscoprire il vero valore dell’internazionalismo proletario: più sarà forte la sinistra di classe turca e più forti saremo noi, dobbiamo lavorare per rapporti diretti, combattere nei tribunali, nelle scuole, nei quartieri poveri come fanno i compagni turchi, è una strada che serve a smascherare la finta democrazia borghese e ad aumentare il livello di coscienza dei militanti e di chi sta loro attorno.
Grazie per la disponibilità, rinnoviamo la solidarietà ai prigionieri politici turchi e ai lavoratori vittime delle politiche antioperaie e antipopolari di Erdogan.
Sono io a ringraziare voi a nome anche degli amici turchi. Con la speranza che questo passaggio serva ad aprire una riflessione in Turchia che vada aldilà dei gulenisti, dei jihadisti e del nazionalismo turco.