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Ucraina: la guerra americana

Nell’ambito della collaborazione tra le nostre due riviste, anticipiamo il presente articolo che verrà pubblicato nel prossimo editoriale di “Cumpanis”

 

Dal “golpe” imperialista-fascista di Piazza Maidan al progetto di guerra Usa-Nato-Ue

di Fosco Giannini, direttore di “Cumpanis”

 

Il mondo intero, l’Europa, l’Italia, nell’indifferenza generale e nella totale accidia delle forze “di sinistra”, pacifiste e a volte persino comuniste, sono sul baratro della guerra.

Di una guerra che da “regionale” (Russia-Ucraina) avrebbe tutte le carte in regola per divenire mondiale. Poiché un conflitto militare Ucraina, Usa, Nato, Ue da un lato e Russia dall’altro, difficilmente potrebbe vedere neutrale la Repubblica Popolare Cinese. L’incontro tra Putin e Xi Jinping di questi primi giorni di febbraio 2022, in occasione delle Olimpiadi cinesi sulla neve, incontro sfociato in un rafforzamento del patto – politico, economico, militare – tra Mosca e Pechino, dice chiaramente che la Russia non è sola e una guerra imperialista contro di essa non potrebbe lasciare indifferente la Cina.

Un immenso arsenale militare nordamericano è già stato inviato, in queste ultime settimane, in Ucraina. Migliaia di soldati americani sono già partiti verso l’Europa e l’Ucraina a sostegno della possibile guerra. E altre migliaia sono già stati allertati negli Usa per partire verso la Polonia e la Germania con destinazione finale Ucraina. Lunghe file di carri armati americani sono stati avvistati anche in Austria.

Il governo svedese, in funzione anti russa, ha minacciosamente collocato su Gotland, l’isola del Mar Baltico a 90 chilometri dalle sue coste orientali, il proprio esercito in assetto da guerra e mezzi corazzati da combattimento. Col Ministro della Difesa svedese che ha motivato tale spostamento militare con l’“esigenza di difendere la Svezia dal pericolo delle navi da sbarco russe che incrociano nel Mar Baltico”. Ha ragione Putin: l’isteria Usa si allarga a tutto l’Occidente.

Nella nevrotica campagna di guerra Usa-Nato tendente a mistificare la realtà e costruire scientificamente la falsa narrazione di una Russia pronta all’aggressione e all’invasione dell’Ucraina, anche la Lettonia, la Lituania e l’Estonia, a 130 chilometri ad est di Gotland, si preparano alla guerra anti russa. “Contro la minaccia di Mosca”, la Nato ha già schierato nelle tre Repubbliche Baltiche quattro battaglioni multinazionali. E altrettanto ha fatto in Polonia.

Nell’inconsapevolezza totale del popolo italiano, dei lavoratori, che producono ricchezza per armare gli Usa e la Nato e con la complicità subordinata, silente e grave del Parlamento e del governo Draghi che mai hanno discusso sul già attivo coinvolgimento del nostro Paese nella guerra in progress contro la Russia (a riprova che la Nato è un esercito straniero di occupazione che svuota di poteri il Parlamento e regna sulle forze dell’ordine e sui servizi segreti) l’Italia ha già inviato, nella Lettonia in armi, centinaia di soldati e mezzi corazzati. Ed è la stessa Italia già coinvolta, in questa fase, in tutte le missioni di “polizia aerea” della Nato nei cieli della Lituania e dell’Estonia. È lo stesso nostro Paese, messo severamente sull’attenti da Biden e dalla Nato, che ha utilizzato, come primo Paese ad averlo fatto, i caccia F-35 per intercettare gli aerei russi in volo nel corridoio aereo sul Baltico.

I cacciabombardieri italiani, F-35 e non solo, messi in volo sui confini russi, hanno la pericolosa “qualità” di essere aerei da guerra sia convenzionali che nucleari, il che vuol chiaramente dire che l’Italia potrà minacciare la Russia, dallo spazio aereo, con armamentario atomico.

Una minaccia atomica italiana che si aggiunge alla minaccia missilistica italiana diretta contro la Russia rappresentata dai missili nucleari di stanza a Ghedi (Brescia) e Aviano (Pordenone). Missili nucleari ora ammodernati e potenziati dalla linea bellica di Biden e Stoltenberg, segretario generale della Nato in odore di divenire a breve presidente della Banca Centrale Norvegese, a proposito dell’unità ideologica tra guerra e capitale bancario e finanziario.

Missili nucleari, questi di Ghedi e Aviano, ai quali si aggiungono i missili intercontinentali puntati sia sulla Russia che sull’Africa del Nord e piazzati nella più grande base militare USA in Europa, la “Camp Ederle” di Vicenza, alla quale si è aggiunta, nel 2013, come se l’“Ederle” non fosse già sufficiente, la base, sempre americana, di “Camp Del Din”. Sempre nella totale inconsapevolezza del popolo italiano, che deve essere accuratamente tenuto all’oscuro del fatto che il suo Stato si muove pieno di pugnali sotto il mantello, come un assassino nella notte.

Nonostante tutto ciò, su scientifica pressione e istigazione Usa-Nato, le tre Repubbliche Baltiche vanno dichiarando “di non sentirsi ancora sufficientemente protette dalla minaccia russa”. E chiedono, sempre “su suggerimento” di Washington, un maggior impegno della Nato sui loro territori.

È in questo contesto che Artis Pabriks, ministro lettone della Difesa, ha invocato una presenza militare Usa permanente nel proprio Paese. E di spirito militare mutuato dall’Operazione Barbarossa è stata la motivazione con la quale Pabriks ha avanzato la sua richiesta: “L’esercito americano di stanza in Germania non farebbe in tempo, di fronte ad un’invasione russa, a giungere in Lettonia e arrestare l’avanzata delle forze corazzate di Putin, che conquisterebbe tutte e tre le Repubbliche Baltiche e, occupando il corridoio di Suwalki tra Polonia e Lituania, le taglierebbe fuori dalla difesa Nato”.

A sua volta, sorretta dagli Usa, dalla Nato, dall’Ue e, vergognosamente, dai plotoni nazifascisti organizzati dalla Nato, l’attuale Ucraina, formalmente solo partner ma già di fatto, nella concretezza delle cose, Paese membro della Nato, viene sfacciatamente e senza senso del ridicolo utilizzata dagli Usa come “cavallo di Troia” per il progetto imperialista di guerra contro la Russia.

Il governo ucraino, ormai totalmente divenuto un disgraziato e contemporaneo governo Quisling, viene spinto dagli Usa ad ogni forma di umiliante ruolo e prova teatrale in funzione filo americana. Come è recentemente accaduto per una “questione cyber”: il governo ucraino, prepotentemente sollecitato dai servizi segreti americani, ha “dovuto denunciare” un fantomatico cyber-attacco russo, dando così modo agli Usa e alla Nato di allestire prontamente in Ucraina un vasto sistema di guerra cybernetica anti russo.

La propaganda di guerra americana sembra sempre più assumere i crismi delle 11 tattiche di “manipolazione oscura” del “diavolo zoppo” del Terzo Reich, Joseph Goebbels.

Oggi, la Casa Bianca, dichiarando e facendo dichiarare al governo di Kiev che l’Ucraina sarebbe ormai circondata dall’esercito russo lungo tre lati e “anticipando”, con un’invenzione, il blocco delle forniture di gas russo all’Europa, mostra il proprio volto “generoso” dichiarando che gli Usa si stanno già preparando logisticamente e organizzativamente a sostituire il gas di Mosca con enormi forniture di gas naturale liquefatto americano. Ciò anche per rassicurare la Germania. Tentativo, questo americano di tranquillizzare Berlino, che sembra peraltro cadere nel vuoto, poiché l’intero establishment politico tedesco, pur in gran parte subordinato agli Usa e alla Nato, non pare per nulla rassicurato dal fatto che il gas russo non possa più giungere in Germania.

E aggiunge, la Casa Bianca (ecco uno dei possibili 11 punti della manipolazione nazista alla Goebbels), che il progetto di guerra russo starebbe allestendo il proprio cavallo di Troia attraverso una spudorata operazione false flag. E cioè: agenti russi, infiltrati in Ucraina orientale, starebbero preparando mostruosi attentati contro il popolo del Donbass, per poi farne ricadere la colpa sul governo ucraino e attraverso ciò avere “finalmente” l’alibi per invadere l’Ucraina e (come si esprimono i centri di potere e i media americani) “giungere sino a Kiev per raderla al suolo”.

Nel teatro di guerra allestito dagli Usa, avente il compito di raffigurare la Russia come un gigantesco orso sanguinario con gli occhi iniettati di sangue e in preda alla bramosia di guerra, non sempre le cose vanno tutte per il verso giusto.

Spassoso sarebbe risultato, se non fosse stato invece agghiacciante, il recente “incidente” politico determinatosi tra Biden e il presidente ucraino Zelens’kyj: mentre gli Usa gridavano all’universo intero che certissima e imminente era l’invasione russa in febbraio dell’Ucraina, “quando il terreno ghiacciato favorirà il passaggio dei carri armati russi”, il presidente ucraino avvertiva pubblicamente Biden di “non distorcere troppo la realtà e di abbassare i toni, poiché la posizione della Russia non è proprio questa”. Affermazione pubblica che è, peraltro, costata al presidente Zelens’kyj una durissima e insultante reprimenda telefonica, anch’essa resa pubblica dalla stampa americana, da parte di Biden. Come dire: noi americani ce la mettiamo tutta per provocare Mosca, per inventarci la minaccia russa e preparare il mondo alla nostra guerra e tu, presidente ucraino, che fai? Racconti la verità?

Peraltro, anche se Zelens’kyj ha raccontato la verità, ciò non gli ha impedito di mettere in pratica gli ordini americani, ammassando nel Donbass, a ridosso dell’area di Donetsk e Lugansk abitata da popolazioni russe, ingenti forze militari ucraine. Forze che, secondo lo stesso resoconto della “missione di monitoraggio speciale dell’Osce in Ucraina”, resoconto totalmente rimosso dal sistema mediatico italiano che parla solo delle forze russe disposte sul confine ucraino, ammonterebbero a circa 150mila uomini. Un esercito, peraltro, già addestrato e anche in quelle aree del Donbass comandato da “consiglieri” militari e istruttori Usa-Nato.

Questo in un quadro, come ha riferito Manlio Dinucci, che dal 1991 al 2014, secondo il Servizio di ricerca del Congresso Usa, ha visto gli Stati Uniti fornire all’Ucraina assistenza militare per 4 miliardi di dollari, cui si sono aggiunti oltre 2,5 miliardi dopo il 2014, più oltre un miliardo fornito dal Fondo fiduciario Nato al quale partecipa anche l’Italia. Ciò come una sola parte degli investimenti militari fatti dalle maggiori potenze della Nato in Ucraina.

La Gran Bretagna, ad esempio – ha ricordato Dinucci, e tutti noi abbiamo il compito di far conoscere il più possibile il suo lucido e quasi solitario pensiero – ha concluso con Kiev vari accordi militari, investendo tra l’altro 1,7 miliardi di sterline nel potenziamento delle capacità navali dell’Ucraina: tale programma prevede l’armamento di navi ucraine con missili britannici, la produzione congiunta di 8 unità lanciamissili veloci, la costruzione di basi navali sul Mar Nero e anche sul Mar d’Azov tra Ucraina, Crimea e Russia. In tale contesto la spesa militare ucraina, che nel 2014 equivaleva al 3% del Pil, è passata al 6% nel 2022, corrispondente a oltre 11 miliardi di dollari. Agli investimenti militari Usa-Nato in Ucraina si aggiunge quello da 10 miliardi di dollari previsto dal piano che sta realizzando Erik Prince, fondatore della compagnia militare privata statunitense Blackwater, ora ridenominata Academy, che ha fornito mercenari alla Cia, al Pentagono e al Dipartimento di Stato per operazioni segrete (tra cui torture e assassini), guadagnando miliardi di dollari.

Il piano di Erik Prince, rivelato da un’inchiesta della rivista “Time”, consiste nel creare in Ucraina un esercito privato attraverso una partnership tra la compagnia Lancaster 6, attraverso cui Prince ha fornito mercenari in Medio Oriente e Africa, e il principale ufficio di intelligence ucraino controllato dalla Cia. Non si sa, ovviamente, quali sarebbero i compiti dell’esercito privato creato in Ucraina dal fondatore della Blackwater, sicuramente con finanziamenti della Cia. Si può comunque prevedere che esso, dalla base in Ucraina, condurrebbe operazioni segrete in Europa, Russia e altre regioni.

Una notizia dell’ultima ora aggrava, peraltro, questo quadro già nefasto: in prima linea nel Donbass è ufficialmente arrivato il battaglione “Azov”, trasformato in un reggimento di forze speciali, addestrato e armato da Usa e Nato, distintosi per la sua ferocia negli attacchi alle popolazioni russe di Ucraina. L’“Azov”, che recluta neonazisti da tutta Europa sotto la sua bandiera che ricalca quella delle SS “Das Reich”, è comandato dal suo fondatore Andrey Biletsky, promosso a colonnello. Non è solo una unità militare, ma un movimento ideologico e politico, di cui Biletsky è il capo carismatico, in particolare per l’organizzazione giovanile che viene educata all’odio anti russo col suo libro Le parole del Führer bianco.

È ormai palese come la strategia degli USA, nei riguardi della Russia, sia la stessa praticata contro l’URSS nella fase dell’impegno sovietico in Afghanistan. Ed è stato, tra i primi, il “New York Times” a rivelarlo.

“Gli Stati uniti – ha scritto il NYT – hanno comunicato agli Alleati che «qualsiasi rapida vittoria russa in Ucraina sarebbe seguita da una sanguinosa insurrezione simile a quella che costrinse l’Unione Sovietica a ritirarsi dall’Afghanistan» e che «la Cia (segretamente) e il Pentagono (apertamente) la sosterrebbero»”.

“Gli Stati uniti – ricorda James Stavridis, già Comandante Supremo Alleato in Europa – sanno come farlo: alla fine degli anni Settanta e negli anni Ottanta armarono e addestrarono i mujahidin contro le truppe sovietiche in Afghanistan. In Ucraina seguirebbero la stessa strada, la stessa strategia: provocare la Russia in tutti modi, spingerla all’intervento in Ucraina e poi mettersi come liberatori al fianco del popolo ucraino occupato dai russi”.

Quale sia, dunque, il disegno strategico di Washington è evidente: far precipitare la crisi ucraina, volutamente provocata nel 2014, per costringere la Russia a intervenire militarmente in difesa dei russi del Donbass, finendo in una situazione analoga a quella afghana in cui si impantanò l’Urss. Un Afghanistan dentro l’Europa, che provocherebbe uno stato di crisi permanente, a tutto vantaggio degli USA che rafforzerebbero la loro influenza e presenza nella regione. E in tutta Europa. Minacciando ulteriormente la Cina.

Alla fine del 1979, il governo d’ispirazione marxista e comunista del Partito Democratico Popolare Afghano (PDPA), sotto la pressione militare e il terrorismo dispiegato ovunque dai mujaheddin sunniti e sciiti, dai talebani e dalla stessa al-Qaida comandata da bin Laden – un intero fronte ultra reazionario sostenuto e guidato dagli Usa e dalla Nato – chiamò l’Unione Sovietica, con la quale aveva stretto un patto politico e militare, ad aiutarlo a difendere quella sua rivoluzione che consegnava la terra ai contadini, socializzava le ricchezze e liberava le donne dall’oscurità della sharia.

L’esercito sovietico entrò in Afghanistan il 24 dicembre del 1979 e con sé aveva un battaglione di maestri che avevano il compito precipuo di alfabetizzare le donne afghane, tenute, dalla tradizione religiosa afghana, nel buio totale dell’ignoranza, del servilismo e della subordinazione.

I maestri sovietici, nelle campagne, nei paesi, furono i primi ad essere assassinati, sgozzati, soppressi come le mosche dai padri, dai mariti delle donne che iniziavano ad imparare a leggere e scrivere. Assassinii sollecitati e guidati dai mujaheddin, dai talebani, dai tagliagole di bin-Laden al servizio degli Usa e della Nato. Assassinii, dunque, sì religiosi, ma anche politici, imperialisti, controrivoluzionari.

Ebbene, mentre ciò accadeva, uno dei motivi con i quali l’Occidente imperialista “dava senso” al proprio intervento volto alla caduta del governo comunista afghano, era quello di difendere, oltre “la libertà” di tutto l’Afghanistan, anche la “libertà” delle donne.

Anche ora, in questo febbraio 2022, gli Usa, la Nato, l’Ue continuano ad utilizzare spietatamente, quanto disinvoltamente, le tattiche di “manipolazione oscura” mutuate da Joseph Goebbels.

La manipolazione ha un cardine concettuale: la “libera Ucraina” sarebbe minacciata dall’irragionevole, e per l’intero mondo nefasto, espansionismo russo.

Contro questa ennesima menzogna, costruita a misura delle 11 manipolazioni del “diavolo zoppo” del Terzo Reich, occorre contrapporre, per il bene stesso della pace mondiale, la verità storica.

 

Ricapitoliamo, dunque, le vicende ucraine che sfociano ora in questa crisi di guerra.

Dopo l’autoscioglimento dell’Unione Sovietica (26 dicembre 1991) l’Ucraina dichiara, nello stesso ’91, la propria indipendenza.

Come in quasi tutti gli altri Paesi dell’ex Unione Sovietica, anche nell’Ucraina indipendente si scatenano gli spiriti animali del neocapitalismo. Assieme al liberismo più sfrenato e alla distruzione di gran parte delle garanzie sociali che erano consustanziali al socialismo, prende forma in Ucraina un vasto e capillare sistema mafioso (del quale il più grande esponente è il potentissimo Semen Mohylevyč, il cui nomignolo, “Million Dollar Don”, non lascia dubbi sul tipo di relazioni internazionali di cui gode il criminale e lo stesso sistema mafioso ucraino) che si introduce, con tutto il suo carico di corruzione, all’interno dei nuovi partiti liberisti e nelle stesse istituzioni.

Sulle basi materiali del progressivo, corrotto e potente processo di “desocializzazione” che attraversa l’Ucraina si sviluppa, nel 2005, la cosiddetta “rivoluzione arancione”, come tutte le altre “rivoluzioni arancioni” o colorate, dalla Georgia al Kirghizistan, dalla Siria sino a quella più recente del Kazakistan, sostenuta e organizzata dagli Usa, dalla Nato e dall’Ue e capeggiata dall’eroina occidentale Julija Tymošenko. Un’ondata arancione ed euroatlantica che porta alla presidenza della Repubblica Viktor Andrijovyč Juščenko e alla carica di capo del governo, sino al 2007, la stessa Tymošenko.

Con la presidenza Juščenko (2005-2010) si accelera precipitosamente il processo di spostamento e integrazione dell’Ucraina agli Usa, alla Nato e all’Ue. Ma parallelamente a tale processo internazionale si rafforza l’attacco sociale interno al Paese e alle condizioni di vita dei lavoratori.

Cosicché, nelle elezioni del 2010, Juščenko, ricandidato alla presidenza, crolla al 5% dei consensi, e nel ballottaggio finale tra la Tymošenko e Viktor Janukovyč (strenuo oppositore del progetto di spostamento e integrazione dell’Ucraina nello spazio euroatlantico e volto invece alla ricostruzione di un rapporto forte tra Ucraina e Federazione Russa) è quest’ultimo ad ottenere la maggioranza del consenso popolare e divenire nuovo Presidente.

Dal 2010 sino al 2013 Janukovyč cambia la linea politica internazionale del suo predecessore, Juščenko, e respinge ogni pressione euroatlantica diretta a collocare l’Ucraina nelle sfere Nato ed Unione europea.

Agli occhi dell’intero fronte occidentale e imperialista ciò appare insopportabile, poiché insopportabile è l’idea di rinunciare a trasformare l’Ucraina in un’immensa base NATO ai confini della Russia e non lontana (per i missili balistici a testata nucleare Usa e Nato) dalla Repubblica Popolare Cinese.

È in questo contesto che Washington, Bruxelles e la Nato intervengono, attraverso un imponente impegno politico, economico, mediatico e militare contro la presidenza Janukovyč. L’impegno si sintetizza nella lunga e orrenda lotta filo imperialista che prende corpo, nel 2013, nel cuore di Kiev, a Piazza Maidan, dove le numerose e potenti squadracce nazifasciste, armate e organizzate direttamente dagli istruttori della Nato, si mettono a capo della nuova “rivoluzione arancione” sostenuta dall’intero arco euroatlantico e volta alla caduta di Janukovyč, alla cancellazione della sua politica filorussa e al ripristino della linea Juščenko-Tymošenko filo Usa, filo Nato e filo Ue.

La violenza e lo spirito nazifascista di Piazza Maidan producono 250 morti e migliaia di feriti. Un alto numero di vittime, di assassinii, di feriti, di arrestati, imprigionati, cacciati dal lavoro, minacciati, demonizzati e brutalmente emarginati – loro e le loro famiglie – lo registrerà il Partito Comunista dell’Ucraina, che da Piazza Maidan sino ad oggi conduce coraggiosamente la Resistenza antifascista e al quale va, al Partito e al suo Segretario Generale, compagno Petro Mykolaijovyč Symonenko, tutta la solidarietà e l’affetto dei comunisti e degli antifascisti italiani.

Piazza Maidan è un “golpe”, un colpo di stato come quelli che gli Usa sono da sempre abituati ad organizzare in America Latina, in Africa e in Asia.

Il “golpe” filo imperialista porta alla presidenza Oleksandr Turčynov, braccio destro della Tymošenko e già fondatore di un potente think tank filoamericano sostenuto dagli oligarchi e dalla mafia ucraina.

Dopo Turčynov verranno, quali nuovi presidenti, Petro Oleksijovyč Porošenko e, ora, il comico Volodymyr Zelens’kyj. Ma la musica delle valchirie nazifasciste levatasi a Piazza Maidan non cambia e l’Ucraina resta e tende a trasformarsi sempre più in quella sterminata base militare nucleare diretta contro Mosca e Pechino progettata dagli Usa e dalla Nato.

È nel contesto del colpo di stato imperialista-fascista di Piazza Maidan che vanno inquadrati i fatti del Donbass e della Crimea.

Le avanguardie politiche, gli intellettuali e tanta parte della popolazione del Donbass, Ucraina orientale, di cultura politica essenzialmente socialista, vivono con grande amarezza e frustrazione la nuova Ucraina nata dal colpo di stato imperialista-fascista. E insorgono, avviando un lungo e potente ciclo di lotte politiche e sociali. Di lotte partigiane in armi. Che sfociano nella costituzione sul campo delle Repubbliche Popolari del Donetsk e di Lugansk e in un referendum che chiede alle popolazioni se vogliono rimanere con l’Ucraina o vogliono l’indipendenza. È il 2004, siamo ad un solo anno da Piazza Maidan e il SI all’indipendenza vince con il 95% dei voti.

In Crimea, dopo il “golpe” di “EuroMaidan”, 78 degli 81 deputati del parlamento crimeano chiedono un referendum simile a quello del Donbass. Anche qui, sulla scorta di grandi mobilitazioni popolari di carattere antifascista, il SI all’indipendenza dall’Ucraina americanizzata e fascistizzata vince, con il 93% dei voti.

 

Omen nomen: nel nome stanno le cose. Ucraina vuol dire esattamente “sul confine”. Paese collocato sul confine russo. Non si può prescindere dalla collocazione geografica dell’Ucraina per capire i malsani appetiti degli Usa e della Nato. Che vogliono a tutti i costi collocare sul terreno ucraino una loro grande base militare diretta a minacciare Russia e Cina.

Rispetto a tutto ciò va invece registrato, a partire dai fatti e non da pregiudizi filo russi, il ruolo che palesemente e ragionevolmente sta svolgendo oggi la Russia, che è quello di fermare la guerra che gli americani stanno scatenando.

La lettera che il governo russo ha inviato alla Casa Bianca verso la metà dello scorso gennaio era segnata da uno spirito volto alla trattativa e alla risoluzione pacifica delle tensioni.

Ma, come ha scritto Marinella Mondaini da Mosca, «Gli Stati Uniti e Nato hanno consegnato la risposta alla Russia, non hanno alcuna intenzione di retrocedere dalla politica delle “porte aperte”, ci hanno messo un mese e mezzo per rispondere “no” alle richieste più importanti. Sulle questioni minori hanno lanciato un segnale positivo di dialogo e collaborazione. Ma non è questo che interessa la Russia, ciò che importa è che l’Occidente non ha alcuna intenzione di parlare di garanzie di sicurezza per la Russia. Oggi Putin nella conversazione telefonica che ha tenuto con il presidente francese Macron, ha dichiarato che la Russia studierà attentamente le risposte ricevute, dopodiché prenderà la decisione sulle azioni concrete da intraprendere. Putin ha detto che non hanno tenuto conto delle preoccupazioni più importanti della Russia, come il non allargamento della Nato, non installare sistemi offensivi sulle frontiere russe e il ritorno al potenziale militare e alle infrastrutture della Nato in Europa alle posizioni del 1997; inoltre, Putin ha sottolineato che è stato ignorato il punto chiave e cioè come sono intenzionati a seguire il principio, fissato nei documenti basilari dell’OSCE e dell’accordo fra Russia e Nato, sulla indivisibilità della sicurezza, cioè nessuno deve rafforzare la propria sicurezza a spese degli altri».

Anche da questa risposta provocatoria degli USA alla lettera del governo russo, è evidente che ora non si tratta più solo del “caso Ucraina”, ma che siamo entrati in un quadro dalle tensioni tutte strategiche, segnato dal fatto che gli USA – non accettando la verità della storia, e cioè che il mondo unipolare è finito e quello multipolare è irreversibilmente in atto, trainato dalla grande potenza cinese comunista – tentano disperatamente, con una dis/perazione (ove il prefisso verbale e nominale “dis” indica una totale assenza di speranza strategica per se stessi) che contempla la guerra mondiale nella consapevolezza di non poter più  riconquistare il loro passato ruolo di unica potenza egemonica planetaria.

Da questo punto di vista particolarmente significative sono state le parole del Ministro degli Esteri russo Lavrov, «Washington usa l’Ucraina: fornendo le armi a Kiev cerca di accendere il conflitto aumentando costantemente la tensione. Gli Stati Uniti, sempre più apertamente e cinicamente, usano a tal punto l’Ucraina contro la Russia che lo stesso regime di Kiev si è spaventato ed ha provato ad abbassare la retorica, ed ha affermato di non accendere così la discussione e che ancora non c’è bisogno di evacuare le ambasciate; ma chi ha evacuato il personale dalle ambasciate? Sono stati gli americani e gli altri, anglosassoni, canadesi e britannici e ciò significa che costoro sanno qualcosa, sanno qualcosa che gli altri non sanno, ne consegue che dobbiamo pensare che anche contro di noi hanno ordito delle provocazioni: sarà il caso che anche noi prendiamo le nostre misure preventive?».

È chiaro che vi è un punto da chiarire, un punto che è tutto nella lettera del governo russo agli Usa, in quella lettera in cui si chiede a Biden di non collocare le basi Usa e Nato, i missili nucleari che potrebbero colpire Mosca in 3/5 minuti, in Ucraina; nel Paese, cioè, che faceva parte dell’Unione Sovietica, che prima del recentissimo colpo di Stato a guida Usa-Nato-Ue era filo russo e che è ai confini della Russia.

Il punto è che la nuova spinta alla guerra sostenuta da Biden ha acutizzato ogni contrasto; il punto è che dopo il famigerato summit del G7 in Cornovaglia (giugno 2021) e il conseguente Documento di guerra di Carbis Bay, nel quale le forze imperialiste chiariscono apertamente che il loro progetto è quello di costruire un vastissimo fronte internazionale di guerra (dagli Usa e dal Canada alla Gran Bretagna; dall’Ue all’Australia, dall’India al Giappone) contro la Cina e la Russia, anche il progetto di trasformare l’Ucraina in una base militare Usa e Nato ha subìto una concreta accelerazione. Il punto è che in questo contesto l’Ucraina è stata sollecitata dalla Casa Bianca a conquistare militarmente il Donbass e la Crimea. Tutte questioni drammaticamente in essere che hanno spinto la Russia a collocare sul fronte ucraino il proprio esercito. E il punto è che, ora, è la stessa, inevitabile, collocazione dell’esercito russo sui propri confini e sui confini del Donbass ad essere strumentalizzata dagli Usa e narrata come azione di guerra, progetto di occupazione.

L’Occidente crede in questa narrazione americana, dimenticando che nel 1962, dentro la “crisi dei missili”, quando Cuba (dopo il fallito tentativo americano di occupare Cuba e cancellare la Rivoluzione partendo dalla Baia dei Porci e dopo che gli Usa avevano già piazzato missili balistici a testata nucleare in Italia, in Gran Bretagna e Turchia) chiede all’URSS di collocare propri missili nell’Isola, l’intero Occidente e l’intero fronte capitalistico mondiale minacciano di dichiarare guerra all’Unione Sovietica.

Mutatis mutandis, oggi la crisi ucraina è simile a quella cubana del ’62. Allora un Paese, gli Usa, temeva il piazzamento dei missili sovietici ai propri confini. Oggi c’è un Paese, la Russia, che teme il piazzamento delle basi Usa e Nato e dei missili nucleari americani ai propri confini. Una situazione simile tra il ’62 e oggi ma con una significativa variazione: allora tutto il mondo occidentale e capitalistico era a fianco degli Usa e pronto alla guerra contro l’URSS. Oggi questo stesso mondo condanna ed è pronto a fare la guerra al Paese, la Russia, che sta subendo la trasformazione di un Paese ai propri confini, l’Ucraina, in una sterminata caserma militare e nucleare imperialista.

 

Rimangono tre questioni di affrontare:

– prima questione: alla luce di ciò che sta accadendo ed è chiaramente stato spiegato da Lavrov (“Washington usa l’Ucraina: fornendo le armi a Kiev cerca di accendere il conflitto aumentando costantemente la tensione”) si può ancor meglio rileggere il colpo di Stato organizzato e sostenuto dagli Usa, dalla Nato e dall’Ue nel 2004-2005 contro il legittimo governo ucraino filo russo di Janukovyč, che aveva regolarmente e democraticamente vinto le elezioni, per poi essere violentemente scalzato dalla “rivoluzione arancione” filo imperialista fatta crescere in piazza Maidan sul sangue versato dalle orde nazifasciste organizzate e pagate dalla Nato;

– seconda questione, relativa alla decodificazione storica di questa nuova, terrorizzante e terroristica pulsione alla guerra dell’imperialismo Usa.

Non vi possono essere dubbi riguardo la natura di questa nuova pulsione bellica Usa che passa dalla “guerra doganale” di Trump contro la Cina al progetto di guerra reale di Biden contro la Russia e la Cina.

Il punto è che dopo l’ammainamento della gloriosa bandiera sovietica dal Cremlino (26 dicembre 1991) e la disgraziata proclamazione dello scioglimento dell’URSS, l’imperialismo mondiale, attraverso il proprio portavoce internazionale Fukujama, aveva decretato “la fine della storia”, intendo con ciò la fine storica del socialismo e la vittoria eterna del capitalismo, raccontato al mondo come dato di natura, dunque eterno e immodificabile.

Una ratifica di “fine della storia” tanto idealistica e surreale da essere immediatamente irrisa e storicamente e filosoficamente cancellata dalle grandi pulsioni antimperialiste che attraversarono, quasi nello stesso momento in cui Fukujama emetteva il suo decreto, l’intera America Latina, ove non solo Cuba resisteva alla scomparsa dell’Urss, ma tanti Paesi si andavano liberando dal giogo imperialista e il Venezuela di Hugo Chávez proclamava la via al socialismo.

Irrisa e cancellata non solo dalla resistenza del Sud Africa dal carattere antimperialista e avente come proprio cardine il Partito Comunista Sudafricano, ma anche dalle lotte di liberazione antimperialiste in aree significative dell’Africa australe e centrale e dall’asse che si andava costituendo tra Gheddafi e Mandela, tra la Libia e il Sud Africa per un’Africa libera dall’imperialismo, con una banca e una moneta africana sostenute dai fondi sovrani libici al posto del dollaro (motivo della distruzione, da parte dell’imperialismo, della Libia e dell’assassinio in stile nazista di Gheddafi).

Irrisa e cancellata dal titanico sviluppo della Cina comunista, dallo sviluppo vietnamita, dal risveglio dell’intera Asia e dal rafforzarsi della Russia di Putin in senso antimperialista.

Una nuova ondata rivoluzionaria mondiale che porta in poco tempo alla costituzione dei Bric (Brasile, Russia, India, Cina, 2009) e un anno dopo dei Brics, con il Sud Africa che si aggiunge, con la propria S, al precedente fronte. Che porta alla costituzione, nella sesta conferenza dei Brics, luglio 2014, della New Development Bank Brics (NDB BRICS) e cioè della Nuova Banca di Sviluppo dei BRICS quale punto di riferimento economico e finanziario per tutti i Paesi del mondo intenzionati a liberarsi sia dal dominio colonialista che dal giogo del Fondo Monetario Internazionale (FMI).

Dai Brics in poi, sino alla Nuova Via della Seta, si svilupperà un fronte mondiale dal carattere anche composito, ma oggettivamente antimperialista, che cambierà i rapporti di forza planetari e “spunterà” le unghie al fronte imperialista.

È su questa base materiale che prende corpo “la terza fase” internazionale, dopo l’autoscioglimento dell’URSS e il tentativo di ratifica di “fine della storia” e dopo la sconfessione sul campo mondiale di questa fine storica e il potente rilancio dell’opzione mondiale antimperialista.

Questa “terza fase” è quella che ora stiamo vivendo, caratterizzata dalla controffensiva di guerra, guidata dagli Usa e dalla Nato, dell’imperialismo internazionale, che come una belva ferita reagisce allo spegnersi della propria illusione di aver vinto per sempre dopo la scomparsa dell’Unione Sovietica;

– terzo e ultimo punto: dalla fase segnata da questa “nuova” aggressività imperialista, che ingloba oggettivamente in sé la possibilità del passaggio da vaste guerre “regionali” ad una guerra mondiale segnata a vasto raggio anche dall’uso del nucleare militare, da questa fase che ben più del surriscaldamento del clima (questione tanto enfatizzata, anche da un vasto fronte del capitale mondiale, quanto rimosso e tacitato è il pericolo di una guerra mondiale nucleare) evoca un’immane tragedia planetaria e un possibile e mostruoso mutamento delle condizioni di vita di miliardi di esseri umani, da questa fase deriva il compito primario dei comunisti sul piano internazionale: essere cardini di un nuovo movimento mondiale contro l’imperialismo Usa, contro la Nato, contro il riarmo nucleare, contro la guerra.

 

E deriva il compito dei comunisti in Italia: unire i comunisti e le comuniste in un unico partito comunista, ideologicamente e culturalmente forte e coeso, rimettendo con convinzione al centro dell’azione sociale e politica generale la lotta contro la guerra imperialista e la lotta per l’uscita dell’Italia dalla Nato e la Nato dall’Italia, offrendosi come cardine di un più vasto movimento antimperialista, di un movimento di massa contro la guerra e per l’indipendenza e la sovranità dell’Italia dall’imperialismo Usa, dalla Nato e dall’Unione Europea.

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