Vito Falcone, classe 1947, oggi è pensionato e candidato con il Partito Comunista nei collegi Puglia 1 (plurinominale) e Puglia 4 (uninominale). Per oltre 30 anni ha lavorato come operaio all’Ilva di Taranto. È stato delegato sindacale per la FIOM e agitatore di tante lotte dei lavoratori. In questa intervista ci spiega le ragioni della sua candidatura.
– Perché la tua candidatura nella lista del partito comunista?
È una candidatura coerente e in linea con la mia coscienza di classe, che ho sempre avuto e che si è rafforzata negli anni vissuti da operaio e militante comunista La lotta parlamentare, e quindi elettorale, è parte integrante di quella generale che il partito comunista porta avanti per far avanzare in modo conseguente il processo rivoluzionario che porta alla costruzione del socialismo.
– “Coscienza di classe”, parole che tanti a sinistra oggi giudicherebbero superate, e che tu invece utilizzi in modo del tutto naturale. Ci stavi dicendo come hai maturato questa coscienza…
Ho lavorato all’Ilva di Taranto per oltre 30 anni. Come comunista, come delegato Fiom ho partecipato alle lotte dei lavoratori per migliori condizioni economiche, organizzative, ambientali, (dentro e fuori la fabbrica), sempre considerando il carattere strategico dell’industria dell’acciaio nel nostro paese. Ho visto i processi di privatizzazioni e il regalo fatto da Prodi alla famiglia Riva cedendogli l’Ilva (allora Ilp-Ilt) per 1600 miliardi di lire circa, che hanno peggiorato di molto la situazione all’interno e all’esterno della fabbrica.
– Questo ieri, e oggi, qual è la situazione dell’Ilva?
Oggi l’Ilva è stata comprata da ArcelorMittal che è una multinazionale con a capo Lakshmi Mittal, potente uomo di affari indiano presente con società in varie parti del mondo. In generale chi è a capo di un’azienda intende ricavare il massimo profitto, non un profitto qualsiasi. È la legge del mercato capitalista, è la legge dello sfruttamento di un uomo da parte di un altro uomo, è la regola del sistema, no?
Le multinazionali in particolare per fare profitti usano strumenti che non solo soltanto industriali ma anche finanziari. Molte delle attuali multinazionali, sono cementati da logiche del capitale finanziario, (denaro che produce denaro senza passare dalla produzione), queste multinazionali sono cosmopolite, contrattano direttamente con i governi nazionali ed extranazionali le loro convenienze industriali e quindi occupazionali. Affidare a questi gruppi monopolistici le sorti dell’industria pesante strategica nel paese significa affidare al singolo le sorti della collettività, agli affaristi la morale economica, agli sfruttatori l’ambiente e i posti di lavoro, le sorti del popolo.
– Che fare dunque? Quali sono le proposte?
Vi cito quello che ho dichiarato ad un giornale locale: “Per evitare questo i comunisti rilanciano l’indicazione ai lavoratori siderurgici della nazionalizzazione dell’Ilva, in quanto industria strategica del paese. Deve essere ferma la volontà dei lavoratori tutti, operai-tecnici-impiegati a non perdere nessun posto di lavoro, anzi, incominciare a pensare che, per evitare di essere continuamente penalizzati a livello occupazionale, salariale, ambientale, che è necessaria superare l’attuale fase difensiva e incominciare a richiedere come negli anni 70 la riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario, il controllo operaio sulla programmazione degli investimenti, per rendere sempre meno nocivo l’ambiente, più sicurezza negli impianti e nella organizzazione del lavoro. Dentro e fuori le fabbriche ci sono interessi comuni: produrre per i bisogni reali del popolo.”
– Tu sei stato delegato Fiom. Qual è la tua opinione sul movimento sindacale in questa fase?
Per rispondere in modo sintetico a questa domanda, ho bisogno di usare uno strumento sociologico: Il Rapporto n. 12-176, bollettino IRI-IFAP (ricerca in manutenzione) dal titolo “Rapporto di Sintesi (bollettino questo sulla ricerca e l’intervento nei conflitti sociali nelle organizzazioni), alla pagina 55 viene detto: «Le variabili soggettive sono le grandezze o forze vive che si trovano all’interno dell’azienda. Forze che in quanto vive sono capaci di rappresentarsi la realtà (viva o morta), agendo su di essa. Esse sono il Management (dirigenti, ndr) e la forza lavoro».
Continua il rapporto: «II management è la forza sotto il cui dominio e disegno si costruiscono e si determinano le strutture di produzione e si svolge il processo produttivo. Il suo fine è quello di valorizzare il capitale attraverso il processo produttivo». Conclude: «La forza lavoro si presenta al management più precisamente come mezzo di produzione accanto agli altri mezzi di produzione. Mezzo di produzione da consumare nel processo produttivo, come si consumano gli impianti e i materiali per aggiungere valore al prodotto, per valorizzare così il capitale. D’altra parte la forza-lavoro, in quanto forza viva e soggettiva, capace di interpretare la realtà, di aggregarsi e perseguire propri fini, si contrappone al management in modo diverso dei mezzi di produzione che sono cose morte»… « …II management ha interesse a consumare la maggior quantità possibile di forza-lavoro nell’unità di tempo, e ciò anche in forma distruttiva se serve. La forza lavoro ha interesse a non farsi consumare. Il management ha interesse a diminuire i costi del lavoro, la forza-lavoro, ad aumentare i suoi guadagni. Il management ha interesse a subordinare la forza-lavoro, la forza-lavoro ha interesse a ridurre i rapporti di subordinazione, a farsi essa stessa management».”
Ecco le forze sindacali, per essere forze vive, realmente progressiste, avanzate, radicate nel movimento dei lavoratori, in tutte le fasi della contrattazione deve considerare che “la forza-lavoro ha interesse a ridurre i rapporti di subordinazione, a farsi essa stessa management”. Per dirla in termini marxisti, sostituire gli attuali rapporti di produzione con altri Il sindacato che si pone questo obbiettivo si chiama “Sindacato di classe”. E’ quello che bisogna ricostruire, e non si può fare a tavolino, l’esperienza storica e personale mi dice che serve il contributo notevole del partito comunista.
– Nella circoscrizione dove sei candidato c’è l’aeroporto di Gioia del Colle, hai considerazioni anche su questo?
L’aeroporto di Gioia del Colle è stato usato come base di partenza di diverse missioni nell’ambito Nato, quindi in collaborazione con reparti alleati, in particolare con forze aeree britanniche come le azioni militari in Serbia e in Libia dopo. L’aeroporto e stato un strumento per aggredire, destabilizzare altri paesi per gli interessi della Nato, e in primo luogo di USA e Inghilterra. Negli anni ’80 cittadini e forze sindacali, il cdf della Termosud (gruppo Ansaldo) in primo luogo hanno dato vita a iniziative per il disarmo come contro la installazione dei missili Cruise in Italia o la presenza dei cacciabombardieri Tornado nella base. Purtroppo queste iniziative nel tempo si sono affievolite di molto. Non bisogna certamente allentare la lotta per la pace, per l’uscita dell’Italia dalla Nato. L’aeroporto militare di Gioia del Colle non deve essere usato con compiti di attacco ai popoli di altri paesi; per azioni militari finalizzate alla destabilizzazioni di governi, Stati; non deve generare sofferenze ed apprensioni nelle popolazioni locali e non.