di Alain Fissore e Stefano Rosatelli (Partito Comunista – Gran Bretagna)
Inaspettatamente, nella mattinata di martedì 18 aprile, il primo ministro Theresa May annuncia ai mezzi di comunicazione britannici la sua personale intenzione di chiedere elezioni anticipate al parlamento di Londra. La notizia arriva in un periodo di relativa “calma” politica in Gran Bretagna, che ricordiamo rimane pur sempre un’unione di nazioni, quattro, dove un dibattito politico ideologico, cioè basato su idee socio-economiche diverse tra loro, è praticamente inesistente.
“In questo momento storico a livello nazionale il Paese è unito, ma Westminster no”. Con queste parole Theresa May ha esternato due concetti molto chiari: il primo l’arroganza tipica della borghesia nazionale d’impersonare i bisogni ed i sentimenti di una nazione includendo tutte le sue classi sociali; il secondo la chiara volontà di usare l’attuale posizione a capo del Governo britannico per ragioni di arrivismo politico, ed allungare così la propria permanenza al Governo in un “momento storico”, questo è vero, nel quale non vi è un’opposizione, degna di tale nome, alla supremazia del pensiero unico capitalista in Gran Bretagna. Tuttavia, questa scelta avviene in un sistema politico nel quale la stabilità di governo è al momento garantita da quello che Mario Draghi, presidente della Banca Centrale Europea – BCE, definirebbe come “il pilota automatico”, e cioè il “fixed-terms Parliament act” (il decreto di mandato di governo fisso) del settembre del 2011 che impedisce crisi di governo con elezioni anticipate, a meno che non sia il primo ministro britannico di turno, anche se ad interim come nel caso di May, a chiedere, con approvazione del parlamento, il ritorno alle urne (un’ulteriore prova di moderna concentrazione di potere politico nella mani del capo di Governo, a scapito delle classi lavoratrici, ed a favore degli interessi economici del Capitale finanziario fra tutti).
La macchina propagandistica delle notizie false, le contemporanee “fake news”, gestita da giornali e televisioni, tutte genuflesse al capitalismo britannico ed internazionale, è ormai in moto, e da qui a giovedì 8 giugno, circa otto settimane, siamo sicuri che ripeterà all’infinito il solito teatrino della politica parlamentare occidentale: partiti politici, senza proposte ideologiche di società alternative tra loro, in diretta competizione solo per una seggiola sicura in quello che Marx ed Engels definivano già nell’800 come il “comitato d’affari del capitalismo”, ovvero il parlamento delle democrazie borghesi occidentali.
L’esito del voto di giovedì 8 giugno, giorno storicamente di voto per il sistema elettorale britannico, datato nel lontano 1935 (un sistema elettorale maggioritario uninominale con collegio a turno unico, che rende de facto impossibile l’accesso alle elezioni di partiti non allineati agli interessi del capitalismo), sarà comunque ininfluente per il progresso sociale ed economico di coloro che nel Regno Unito producono la ricchezza reale: piccoli artigiani e commercianti; lavoratori dipendenti del settore pubblico (ciò che rimane di “pubblico” dopo le privatizzazioni volute dal Fondo Monetario Internazionale – FMI – degli anni settanta, degli anni novanta, quelle degli ultimi anni come le poste, o quelle prossime, sanità – NHS – ed istruzione), e lavoratori dipendenti del settore privato (dove dilaga la precarietà col contratto a zero-ore e l’uso della finte “partiva iva” (freelance).
Il voto dell’otto giugno altro non farà che rafforzare l’arrivismo politico di Theresa May, una moderna professionista della politica, come già avveniva nell’Europa d’inizio novecento, per niente diversa dai politici di professione italiani come Matteo Renzi del PD, o Di Maio del Movimento 5 Stelle: alla faccia di chi afferma oggigiorno che basti garantire la differenza di genere, per garantire la democrazia (il conflitto è solo di classe, e non tra uomo e donna, etero- od omo-sessuale!).
Si prospetta un altro Governo Tory quindi, visto che il rappresentante della sinistra opportunista britannica, il Labour Party, Jeremy Corbyn verrà relegato ai soli voti dell’elettorato della borghesia progressista pro-Unione Europea, i cosidetti “remoaners” (i ri-piagnoni dell’uscita della Gran Bretagna dall’UE – letteralmente tradotto); senza dubbio un altro Governo a chiara difesa degli interessi del capitalismo monopolista britannico ed internazionale che accentrano sempre più le ricchezze nelle mani di poche persone, come conferma la stessa ONG britannica Oxfam a gennaio di quest’anno, precarizzando le condizioni di vita e di lavoro della piccola borghesia e del proletariato britannico (nell’ultimo trimestre, la disoccupazione in Gran Bretagna è scesa solo di circa 50.000 unità, e la crescita economica continua in stagnazione + 0,5% ).
Come lavoratori immigrati in Gran Bretagna, e come marxisti-leninisti, crediamo che soltanto il protagonismo delle classi lavoratrici per la creazione di una società socialista possa essere l’unica valida alternativa all’opportunismo politico della borghesia nazionale asservita al capitalismo.