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XX Incontro Internazionale: Intervento del Partito Comunista di Grecia (KKE)

Dimitri Koutsoumpas, segr. generale del KKE dalla tribuna del XX Incontro Internazionale

Intervento del Partito Comunista di Grecia (KKE) al XX Incontro Internazionale dei Partiti Comunisti e Operai svolto ad Atene dal 23 al 25 novembre. Traduzione da resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

1. LA CLASSE OPERAIA OGGI

L’attenzione dei partiti comunisti e operai, in occasione del loro 20° Incontro Internazionale, si concentra sulla classe operaia contemporanea. Negli ultimi anni, la linea argomentativa borghese e piccolo-borghese, che mette in dubbio di volta in volta il ruolo rivoluzionario della classe operaia o la sua stessa esistenza, si sta rafforzando. Vi è anzi chi giunge ad andare in cerca di «nuovi soggetti rivoluzionari». Queste prospettive interpretano a modo loro le scoperte tecnologiche della nuova era, vale a dire i progressi dell’informatica e della robotica, che vengono presentati come una «svolta» e una «nuova rivoluzione industriale» nella società. A conferma di questi mutamenti vengono citati i dati delle statistiche borghesi, che dimostrano una riduzione degli impieghi in numerosi settori industriali tradizionali e un aumento dell’impiego di lavoratori nel settore dei «servizi». In tal modo, borghesi e opportunisti si stanno «disfando» della classe operaia e della loro paura, cioè la prospettiva dell’intensificazione e dell’escalation della lotta di classe, l’instaurazione del potere dei lavoratori.

La «trappola» che si cela dietro questa concezione di una «società post-industriale» sta, da un lato, nel fatto che essa interpreta la società alla luce del livello tecnologico dei mezzi di produzione e non dei rapporti di produzione. Inoltre, essa identifica erroneamente l’industria con il settore «manifatturiero». Considera classe operaia soltanto il settore dei lavoratori manuali o i lavoratori impiegati nelle manifatture, annoverando gli altri settori di essa – per esempio i lavoratori salariati della conoscenza che non occupano posizioni dirigenziali importanti e che soddisfano i criteri leninisti di appartenenza alla classe operaia – nell’ambito dei ceti medi. Al tempo stesso, si serve del fatto oggettivo che, a causa dello sviluppo capitalista, la quota della forza lavoro impiegata nel settore manifatturiero sta diminuendo in termini di valore percentuale rispetto al totale della forza lavoro, ma anche in termini di valore della produzione manifatturiera totale rispetto al totale del PIL, traendone la conclusione non scientifica della «fine della classe operaia».

In realtà, tuttavia, ciò che è realmente importante e che fu al centro degli studi dei fondatori del comunismo scientifico sono i rapporti tra il capitale e il lavoro salariato, cioè tra la borghesia e il proletariato. Questo non è un caso, dato che il rapporto tra capitale e lavoro salariato è «il cardine su cui gira tutto il nostro odierno sistema sociale» [1]. Nessun mutamento scientifico o tecnologico cancella il fatto che i capitalisti sono costretti a utilizzare forza lavoro allo scopo di mettere in funzione i mezzi di produzione, che sono di loro proprietà, con l’obiettivo del massimo profitto possibile. Il «consumo» della forza lavoro della classe operaia è ciò che produce nuovo valore, parte del quale non ritorna ai produttori diretti sotto forma di salario – stipendio, sicurezza sociale, pensione ecc. – ma viene trasformato in profitto per i capitalisti sotto forma di plusvalore. Perciò, la forza lavoro è l’unica merce che, quando viene consumata, crea un valore superiore al proprio. Ciò era vero duecento anni fa ed è vero ancora oggi, a dispetto di ogni cambiamento.

Lo stesso vale per la caratteristica essenziale della classe operaia, e cioè il fatto di essere privata dei mezzi di produzione e costretta a vendere la propria forza lavoro (la capacità di svolgere lavoro) alla classe che possiede i mezzi di produzione, la classe dei capitalisti.

Inoltre, la concezione marxista considera industriale qualsiasi settore della produzione sociale in cui venga prodotto valore e quindi plusvalore, compresi quindi i settori informatico, delle telecomunicazioni e dei trasporti, che vengono classificati come servizi dalle statistiche borghesi. Marx, nella sua opera «Il capitale», cita il fatto che i confini dell’attività industriale nel capitalismo sono chiaramente più ampi di quelli dei tradizionali settori «manifatturieri» così come vengono citati nelle statistiche borghesi. Nel secondo volume del «Capitale» si osserva: «Ma vi sono branche di industria autonome, nelle quali il prodotto del processo di produzione non è un nuovo prodotto oggettivo, una merce. Tra esse economicamente importante è soltanto l’industria delle comunicazioni, sia essa vera e propria industria dei trasporti per merci e persone o soltanto trasmissione di comunicazioni, lettere telegrammi, ecc. […] Ciò che l’industria dei trasporti vende è appunto il cambiamento di luogo. […] L’effetto utile è consumabile unicamente durante il processo di produzione; esso non esiste come un oggetto d’uso differente da questo processo […] . Il valore di scambio di questo effetto utile è però determinato, come quello di ogni altra merce, dal valore degli elementi di produzione in esso consumati (forza-lavoro e mezzi di produzione) più il plusvalore che il pluslavoro degli operai impiegati nell’industria dei trasporti ha creato. […] Il capitale industriale è l’unico modo di essere del capitale in cui la funzione del capitale non sia soltanto l’appropriazione di plusvalore, rispettivamente di plusprodotto, ma contemporaneamente la sua creazione». [2]

Possiamo qui notare che Engels sottolineava il ruolo specifico del proletariato industriale in virtù della sua collocazione nella produzione, della sua concentrazione nei luoghi di lavoro e nelle città e della sua capacità di organizzarsi: «I primi proletari apparvero con l’industria, furono un suo prodotto diretto […] Anche tra i proletari industriali troveremo questa successione e vedremo che gli operai delle fabbriche, questi primogeniti della rivoluzione industriale, sono stati dall’inizio fino a oggi il perno del movimento operaio, mentre gli altri entrarono via via nel movimento nella misura in cui il loro mestiere veniva preso nel vortice della rivoluzione industriale» [3].

Il processo di sviluppo capitalista, di concentrazione e centralizzazione del capitale, conduce oggettivamente allo sviluppo della classe operaia, all’acutizzazione della contraddizione essenziale tra capitale e forza lavoro salariata, allo sviluppo della lotta di classe e alla formazione del nuovo soggetto rivoluzionario, cioè la classe operaia e la sua avanguardia, il partito dei lavoratori rivoluzionari (il partito comunista).

La forza della classe operaia quale guida della rivoluzione socialista non è determinata dalle sue dimensioni, ma dal posto che essa occupa nel sistema di produzione sociale. «In qualsiasi paese capitalistico la forza del proletariato è incomparabilmente più grande del peso numerico dei proletari nella somma totale della popolazione. E ciò perché il proletariato ha il dominio economico sul centro e sul ganglio di tutto il sistema economico del capitalismo, ed anche perché, in regime capitalistico, esso esprime economicamente e politicamente gli interessi effettivi dell’immensa maggioranza dei lavoratori». [4]

Possiamo quindi affermare che è naturale che i settori dell’attività produttiva, che vengono distinti in funzione della produzione di valori d’uso diversi, si evolvano e mutino nel tempo. Nel corso degli ultimi tre decenni, settori quali quello informatico e quello delle telecomunicazioni hanno vissuto una rapida crescita. Tuttavia, la concentrazione industriale non coincide con l’andamento di specifici settori che possono fiorire o declinare. Oggi possiamo parlare dell’industria informatica, dell’industria delle telecomunicazioni, dell’industria dei trasporti eccetera. A prescindere dal fatto che si tratti di produrre nuovi materiali, di trasmettere informazioni o di trasferire merci, in tutti i casi vi è un rapporto capitalista, vi è sfruttamento del lavoro salariato allo scopo di produrre valore e plusvalore. Di conseguenza, in questi settori la forza lavoro salariata, la classe operaia, è la forza produttiva di base. Riteniamo tuttora pienamente valida la definizione delle classi data da Lenin: «Si chiamano classi quei grandi gruppi di persone che si distinguono tra loro per il posto che occupano in un sistema storicamente determinato di produzione sociale, per il loro rapporto (per lo più sanzionato e fissato da leggi) con i mezzi di produzione, per la loro funzione nell’organizzazione sociale del lavoro e, quindi, per il modo in cui ottengono e per la dimensione che ha quella parte di ricchezza sociale di cui dispongono. Le classi sono gruppi di persone, l’uno dei quali può appropriarsi il lavoro dell’altro grazie al differente posto che occupa in un determinato sistema di economia sociale». [5]

Quanto sopra costituisce la «pietra angolare» dell’approccio del KKE e della sua valutazione che la classe operaia è la forza produttiva principale e in crescita. I lavoratori che sono costretti a vivere vendendo la propria forza lavoro, che sono privati del possesso dei mezzi di produzione e di esistenza, che vengono pagati mediante stipendi o salari, che svolgono un ruolo esecutivo a prescindere dal settore in cui lavorano e del tipo di lavoro che svolgono, appartengono alle file degli operai salariati. Naturalmente, al tempo stesso, il nostro partito studia anche qualsiasi mutamento relativo alla composizione, al livello di istruzione, ai rapporti di lavoro eccetera.

2. IL RUOLO DELLA CLASSE OPERAIA

La classe operaia è la principale forza produttiva. La concentrazione e la centralizzazione del capitale in grandi gruppi monopolistici implica anche la concentrazione della forza lavoro e la socializzazione del lavoro e della produzione, il che fa della classe operaia il centro e il ganglio della produzione e dell’economia in generale, specie in settori di importanza strategica quali l’energia, le telecomunicazioni, l’informatica, i trasporti, i settori che producono i mezzi di produzione eccetera.

La classe operaia è la sola forza sociale che non possiede mezzi di produzione ma produce la maggior parte della ricchezza della società capitalista. È la classe che può oggettivamente guidare la lotta per l’abolizione della proprietà privata dei mezzi di produzione, la sola classe che ha interesse a uniformare i rapporti di produzione nello sviluppo delle forze produttive con la socializzazione dei mezzi di produzione. Lo Stato dei lavoratori (la dittatura del proletariato), sulla base della socializzazione dei mezzi di produzione, pianifica a livello centrale lo sviluppo proporzionale della produzione, allo scopo di soddisfare i bisogni sociali. Il lavoro sociale si allinea così alla motivazione di soddisfare i bisogni sociali e risolve la sua contraddizione relativa alla motivazione dell’appropriazione individuale, del profitto capitalista. È questo il carattere della classe operaia quale sola forza rivoluzionaria, veicolo dei rapporti comunisti nella prospettiva della società priva di classi.

Contrariamente alla classe operaia, i suoi alleati, i contadini poveri e i lavoratori autonomi, occupano una posizione nel sistema di produzione sociale che ne predetermina l’incoerenza e l’esitazione di fronte alla lotta intesa a rovesciare il capitalismo e a costruire il socialismo. Marx ed Engels sottolinearono a suo tempo che: «Fra tutte le classi che oggi stanno di contro alla borghesia, il proletariato soltanto è una classe realmente rivoluzionaria. Le altre classi decadono e tramontano con la grande industria; il proletariato è il suo prodotto più specifico». [6]

Così, soltanto il movimento dei lavoratori può assumere un carattere rivoluzionario, può trasformarsi in un movimento rivoluzionario coerente e con un orientamento di classe, mentre i movimenti delle altre forze popolari non possono trasformarsi in veicoli coerenti della negazione della proprietà privata dei mezzi di produzione.

Per concludere, possiamo osservare che la classe operaia, in virtù della sua posizione nella produzione sociale, è oggettivamente la forza motrice del passaggio a un modo di produzione e a un’organizzazione della società superiori, attraverso il rovesciamento del sistema capitalista e la costruzione della società socialista-comunista.

Al giorno d’oggi, naturalmente, gli sforzi tesi a sviluppare la lotta anticapitalista e la lotta per il potere dei lavoratori devono rigettare le posizioni e le pressioni, continuamente rinnovate, espresse dalle forze politiche opportuniste e borghesi e perfino da masse popolari-operaie manipolate politicamente, che mirano a far abdicare la classe operaia dalla sua missione storica e a perseguire soluzioni politiciste «all’interno dei confini del capitalismo» in nome della famosa unità nazionale. Questi appelli subordinano gli interessi della classe operaia e della grande maggioranza della popolazione agli interessi della minoranza sfruttatrice, la borghesia. Il rischio da essi rappresentato aumenta in un contesto caratterizzato dal riallineamento della piramide imperialista, dalla destabilizzazione delle alleanze capitaliste e dall’emergere di nuove alleanze, un contesto segnato dalla crisi dei partiti borghesi di governo e dall’ascesa di nuovi partiti, da una ripresa dello scontro tra liberalismo borghese e socialdemocrazia, tra parlamentarismo borghese e dittatura fascista o militare, tra modernizzazione borghese e anacronismi di natura religiosa, razziale o di altro genere.

La lotta contro l’illusione che per mezzo di riforme parlamentari e graduale miglioramento dei rapporti di forza elettorali, per mezzo di una gestione del capitalismo condotta da un governo di «sinistra», sia possibile un passaggio al socialismo, rimane la questione centrale della lotta ideologica e politica all’interno del movimento dei lavoratori.

Sia la teoria che la storia del movimento comunista dimostrano che la proclamazione del carattere socialista della rivoluzione e del potere non serve a nulla quando sul piano pratico si lascia compenetrare da obiettivi governisti momentanei entro la cornice del capitalismo, in nome della persistente crisi economica, dell’intensificarsi della violenza perpetrata dallo Stato e dai datori di lavoro, delle intimidazioni ai danni del movimento comunista e dei lavoratori, delle violenze nazifasciste, della sospensione delle procedure parlamentari, della minaccia o dell’attuazione di una guerra imperialista. La lotta politica e ideologica quotidiana per qualsiasi obiettivo non deve mai distogliere dal compito rivoluzionario principale – la lotta per il potere dei lavoratori. Nel prossimo futuro, i problemi di tenuta dell’UE e dell’Eurozona, il rafforzamento dei BRICS, gli interventi degli USA atti a consolidare le loro posizioni in Europa e Asia creeranno condizioni tali da rendere ancor più attuale l’importanza di un collegamento – cruciale per il movimento rivoluzionario – tra la lotta contro tutte le forme di capitalismo e contro le guerre imperialiste e la lotta per il potere dei lavoratori.

3. L’ALLEANZA DELLA CLASSE OPERAIA

Il rovesciamento del capitalismo, che sarà guidato dalla classe operaia, è anche nell’interesse dei settori popolari, offre soluzioni relative al diritto al lavoro, a tutti i diritti sociali dei lavoratori autonomi, dei singoli produttori, con la prospettiva di integrarli nel lavoro sociale diretto. Il proletariato – che è il solo a poter esprimere gli interessi generali dei lavoratori – può e deve unire nella lotta contro i monopoli importanti settori della popolazione appartenenti alle masse disperse e incerte dei settori non proletari.

L’Alleanza Sociale in una prospettiva anticapitalista-antimonopolista è formata da forze sociali che sono determinate in funzione della loro posizione in rapporto al modo di produzione dominante, senza discriminazioni di genere o di età. Donne e giovani appartengono a forze sociali specifiche, mentre la posizione sociale di quei settori di loro che non partecipano alla produzione è determinata dalle rispettive origini familiari.

Di certo, l’alleanza sociale non può rimanere statica – essa si svilupperà in funzione della fase specifica del movimento e dei rapporti di forza; si manifesterà anche in altre forme, si evolverà e si riorganizzerà in termini di movimento, di movimento reale delle masse, rafforzando e approfondendo gli obiettivi anticapitalisti-antimonopolisti dell’alleanza ed allargando costantemente la sua portata.

Si tratta di condurre lotte e sforzi incessanti allo scopo di attirare all’interno della lotta rivoluzionaria, in misura maggiore o minore, i settori popolari dei ceti medi, potenziali alleati della classe operaia, e i loro movimenti; gli altri settori devono essere quantomeno resi neutrali.

Gli appelli radicali in senso anticapitalista-antimonopolista non devono avere una natura statica, ma devono rientrare nella dinamica della lotta di classe, che non è né univoca né lineare. La profondità del contenuto anticapitalista-antimonopolista della lotta non è lo stesso in ogni fase, il che è rispecchiato dalle forme che l’alleanza assumerà evolvendosi.

Il nostro partito concepisce l’Alleanza Sociale – in virtù del suo stesso carattere – come un’alleanza di forze sociali, di movimenti – non si tratta cioè né di una forma di cooperazione tra partiti né di una forma di cooperazione tra il KKE e le organizzazioni di massa. Nella misura in cui altre forze politiche di natura piccolo-borghese saranno attive con i loro membri negli ambiti di creazione dell’Alleanza Sociale, esse saranno accanto ai comunisti nella lotta comune a livello di movimento, e all’interno del movimento avrà luogo una lotta ideologico-politica. Ogni attività comune e lotta ideologica troverà espressione all’interno delle file e degli organi di lotta dell’Alleanza Sociale, che trova le sue radici nei posti di lavoro, nelle Assemblee Generali dei sindacati e delle associazioni, nei comitati di lotta dei quartieri eccetera.

Si pone la seguente questione: quale linea politica offre una risposta reale ai problemi del popolo – quella favorevole ai monopoli o quella contraria al loro dominio? La linea che sostiene il potere dei monopoli e del capitale o la linea che sostiene il potere dei lavoratori, i creatori di tutta la ricchezza della società?

L’unione della maggioranza della classe operaia nell’ambito di una linea di lotta anticapitalista-antimonopolista e l’attrazione dei settori principali dei ceti popolari attraverseranno varie fasi. La classe operaia e le masse popolari, attraverso l’esperienza della partecipazione all’organizzazione della lotta in contrapposizione alla strategia del capitale, si convinceranno della necessità che tale organizzazione e tale lotta assumano il carattere di uno scontro pieno e multiforme contro il dominio economico e politico del capitale. Il movimento sindacale, i movimenti dei lavoratori autonomi urbani e dei contadini e le forme in cui la loro alleanza assume obiettivi antimonopolisti e anticapitalisti, con le forze del KKE nel ruolo di avanguardia, in un contesto non rivoluzionario, costituiscono il primo passaggio per la creazione del fronte rivoluzionario operaio e popolare in un contesto rivoluzionario.

4. LA CLASSE OPERAIA IN GRECIA

Nel 2017 l’economia greca è entrata in una fase di debole ripresa. Il proseguimento di questa tendenza, tuttavia, dipenderà da altri fattori, in particolare dagli sviluppi che avranno luogo nell’economia internazionale.

Nei cinque anni precedenti, il PIL – sulla base dei tassi stabili del 2010 – è sceso del 10,4%, mentre rispetto all’inizio della crisi nel 2008 la diminuzione supera il 26%. Nel 2015, per la prima volta dal 2007, l’indice del volume della produzione industriale è aumentato leggermente dello 0,7%, una tendenza che è proseguita nei primi due trimestri del 2016. I settori manifatturieri più dinamici sono stati la produzione petrolifera, il settore farmaceutico, l’industria chimica e il settore delle materie prime metalliche.

La struttura dei settori dell’economia greca non è mutata in modo sostanziale negli ultimi quattro anni. Il settore primario ha lievemente aumentato la sua quota sull’insieme della nuova produzione, passando dal 3,7% nel 2012 al 4% nel 2015. Analogamente, la quota del settore terziario è salita dall’80,1% nel 2012 all’81,8% nel 2015. Di conseguenza, la quota del settore secondario (manifattura, energia, edilizia, industria estrattiva) è scesa dal 16,2% nel 2012 al 15,2% nel 2015.

Come già accennato, e mettendo da parte i problemi metodologici generali che riguardano la suddivisione tra settore primario, secondario e terziario, sulle cifre citate sopra influisce il fatto che le statistiche borghesi collocano alcuni settori industriali quali le telecomunicazioni e i trasporti nell’ambito del settore terziario. Questo problema metodologico è aggravato in Grecia dal fatto che l’industria navale (che rientra nei trasporti) è da sempre il settore più forte dell’economia capitalista greca.

L’industria navale greca è ai primi posti a livello internazionale, con un aumento del tonnellaggio delle navi, una quota significativa rispetto al totale della flotta internazionale delle navi cisterna e da trasporto e un livello elevato di sfruttamento dei lavoratori.

La tendenza alla riduzione del numero di imprenditori e lavoratori autonomi causata dalla crisi è proseguita negli ultimi quattro anni, mentre ha avuto luogo un marginale aumento dei lavoratori salariati. Più specificamente, il numero degli imprenditori è sceso da 261.000 nel 2012 a 248.000 nel 2015. Il numero dei lavoratori autonomi (compresi gli agricoltori) è sceso da 908.000 a 856.000. Il numero dei dipendenti è aumentato lievemente da 2,34 milioni a 2,35 milioni. Anche i familiari che lavorano in imprese di proprietà familiare sono scesi da 185.000 a 158.000.

Questi mutamenti non hanno determinato differenze rilevanti nelle proporzioni delle quote del lavoro nel suo complesso: la percentuale/quota dei datori di lavoro è scesa dal 7,7% al 6,9%, quella degli autonomi dal 24,6 al 23,7% e la percentuale dei dipendenti è aumentata dal 63,4% al 65%. Anche la percentuale dei familiari che lavorano in imprese di proprietà familiare è lievemente diminuita. Va tenuto conto che queste percentuali non si differenziano in misura significativa in relazione alla popolazione economicamente attiva, che oltre alla popolazione lavoratrice comprende anche i disoccupati, gran parte dei quali sono ex-dipendenti salariati.

La tendenza alla concentrazione e alla centralizzazione dell’economia capitalista greca si è intensificata nel periodo di crisi. Dopo un ciclo di acquisizioni e fusioni, le quattro grandi banche sistemiche hanno rastrellato l’insieme delle operazioni bancarie.

Nel settore della vendita al dettaglio, i grandi gruppi hanno registrato un significativo aumento della quota di mercato. Nelle telecomunicazioni, tre gruppi (OTE, VODAPHONE, WIND) controllano praticamente il mercato, mentre il secondo gruppo più forte ha concluso una partnership strategica con il terzo.

Il settore dell’energia è dominato da tre grandi gruppi dell’industria dei carburanti che controllano l’intero settore della raffinazione petrolifera. La concentrazione è aumentata in misura significativa nel settore edilizio, dove i grandi gruppi intraprendono anche progetti di piccole dimensioni.

Nell’industria dei metalli, i due gruppi più grandi controllano quasi i 2/3 del settore. Sviluppi analoghi si registrano nel turismo e nel settore degli alimenti e delle bevande.

Gli organismi imperialisti internazionali (OCSE, FMI, Commissione Europea) e la Banca di Grecia hanno previsto una ripresa dell’economia greca nel 2017-2018, con un aumento degli investimenti (salvo che nell’edilizia) e il contributo della nuova legge sulla pianificazione dello sviluppo, un piano di ripresa finanziato dall’UE basato sull’accelerazione delle principali privatizzazioni.

Questi organismi prevedono inoltre un aumento delle esportazioni determinato dal miglioramento della competitività dell’economia greca, dell’espansione del settore dei servizi (turismo, trasporti marittimi) e dall’aumento dei consumi interni favorito dall’aumento dell’occupazione e dei redditi e dal miglioramento delle condizioni per il credito.

Il potenziale deterioramento della situazione economica internazionale e la sorte dell’UE dopo la Brexit rappresentano elementi di incertezza che potrebbero condurre a esiti più negativi. Analogamente, potenziali effetti negativi sul turismo e sul commercio potrebbero essere determinati dal deterioramento della questione dei profughi e della situazione nel Mediterraneo orientale, nonché dalle politiche governative (es. aumento della tassazione indiretta, aumento dei fardelli che gravano sui settori popolari).

Questi elementi sottolineano l’incertezza delle previsioni borghesi, in particolare nel caso di un deterioramento dell’Eurozona e di un’intensificazione delle spinte centrifughe.

Va notato che la realizzazione di alcuni grandi investimenti (porti, trasporto ferroviario) non sarà cosa facile qualora non venga raggiunto un compromesso a medio termine nella regione tra USA, UE, Cina e Russia.

5. LA SITUAZIONE DELLA CLASSE OPERAIA E LE POLITICHE DEL GOVERNO SYRIZA-ANEL

Nel nostro Paese sono state attuate misure che hanno radicalmente modificato i rapporti di lavoro, i salari, gli accordi di contrattazione collettiva, le pensioni, lo Stato sociale eccetera. Tutto ciò è stato preparato molto prima della crisi, con il Trattato di Maastricht e in particolare, a partire dal 1993, con il «Libro Bianco». Tali misure hanno riguardato tutti i Paesi UE a prescindere dalla fase del ciclo di riproduzione capitalistica che attraversavano. L’obiettivo di questa ristrutturazione capitalista e delle singole riforme contro i lavoratori era la promozione della redditività capitalista in un contesto di acutizzazione della competizione internazionale. Naturalmente, nei periodi di crisi tali riforme divengono più urgenti per il sistema capitalista.

Questi piani strategici sono stati promossi sul lungo termine e in modo metodico dall’UE e dai governi borghesi di ciascun Paese. Queste misure sono state accelerate e pienamente messe in atto, in particolare in Grecia, dopo il 2010, con tre pacchetti di interventi (memorandum) e un totale di 700 leggi antipopolari.

I seguenti obiettivi vengono perseguiti nel contesto di una strategia unitaria:

Politiche unitarie miranti alla drastica riduzione dei salari e degli stipendi e alla promozione di forme di impiego alternative e part-time; abolizione su vasta scala degli orari di lavoro stabili, dell’impiego a tempo indeterminato nel settore pubblico e di qualunque impiego relativamente stabile in quello privato; radicali cambiamenti nei rapporti di lavoro, con un’intensificazione della flessibilità. Queste politiche rientrano nella strategia che mira alla liberalizzazione del mercato del lavoro sul lungo termine e nella tendenza ad adattare salari e stipendi ai bassi livelli che si determinano nel mercato capitalista internazionale.

Politiche unitarie miranti al ridimensionamento del welfare e dello Stato sociale e in particolare alla sicurezza sociale; espansione delle privatizzazioni.

Politiche volte alla legittimazione degli uffici del lavoro schiavili e all’utilizzo degli immigrati come manodopera a basso costo e come strumento di pressione per una riduzione generalizzata di salari e stipendi.

Nuove limitazioni al diritto di sciopero e all’attività sindacale.

Aumento costante della tassazione indiretta, che produce aumenti dei prezzi dei beni di consumo di massa (energia elettrica, alimentari, trasporti ecc.).

Le conseguenze della crisi economica e le misure contro i lavoratori applicate con i famosi memorandum e le relative leggi hanno determinato sconvolgimenti profondi, permanenti e su vasta scala nelle condizioni di vita e di lavoro e nella composizione della classe operaia e di un vasto settore dei lavoratori autonomi e dei piccoli proprietari nelle aree urbane e rurali. Le fila della classe operaia si sono ampliate con l’ingresso di nuovi settori provenienti dai ceti medi rovinati urbani e rurali. Diversi settori dei ceti medi si sono avvicinati alla classe operaia, e il numero dei semi-proletari è aumentato. Al tempo stesso è aumentata l’emigrazione, specie tra i giovani.

Le ristrutturazioni e la crisi hanno ridimensionato lo strato dell’aristocrazia del lavoro nei settori pubblico e privato e tra i dipendenti statali. Tuttavia, la borghesia è tuttora interessata a conservare, rinnovare e creare nuovi meccanismi di manipolazione del movimento dei lavoratori. Esiste ancora una significativa differenziazione e stratificazione all’interno della classe operaia e dei lavoratori salariati in generale, che costituisce la base materiale per la formazione di un’aristocrazia del lavoro.

Dati recenti confermano la tendenza all’aumento della povertà assoluta all’interno della classe operaia. Dopo il drastico crollo subito nel periodo 2009-2012 (da 85 milioni a 66,1 milioni di euro), le entrate totali dei lavoratori salariati sono scese a 59 milioni di euro nel 2012-2015, con un’ulteriore diminuzione del 10,7%, mentre rispetto ai livelli pre-crisi la diminuzione complessiva supera il 30%. Oltre alla riduzione dei salari, la drastica diminuzione delle entrate totali dei lavoratori salariati rispecchia anche il forte aumento della disoccupazione durante la crisi.

Secondo dati della Banca di Grecia, le entrate per dipendente sono diminuite del 7% nel 2013, del 2,1% nel 2014 e del 2,7% nel 2015. Il salario nominale annuale per dipendente è sceso da 24.300 euro nel 2012 a 21.800 nel 2015 – una riduzione del 10,3% che ha fatto seguito ai tagli del periodo 2010-2012 che hanno fatto scendere il salario medio annuale da 26.100 a 24.300 euro. In termini costanti (tenendo conto anche dell’inflazione) la riduzione del salario medio supera il 20%. Secondo dati dell’IKA (il fondo pensionistico sociale del settore privato), il salario minimo è diminuito di quasi il 35% dal 2010.

Nel 2014 il potere d’acquisto del salario lordo medio in Grecia era sceso dall’82% nel 2009 al 66% rispetto al potere d’acquisto medio nei 15 Paesi più avanzati dell’UE. Il crollo del potere d’acquisto appare ancor più marcato se si tiene conto dell’elevata tassazione applicata negli ultimi anni. Tenendo conto di tutti questi fattori si può calcolare che le perdite complessive che hanno colpito il tenore di vita dei lavoratori nel periodo della crisi si avvicinino al 50%.

In seguito all’attacco sferrato contro il salario minimo (riduzione del 22% per gli ultra-35enni e del 32% per i lavoratori al disotto del 25 anni), le entrate nel 2014 sono risultate inferiori al salario minimo dei primi anni Novanta.

Le leggi degli ultimi anni continuano a provocare un deterioramento dei salari, delle entrate e delle condizioni di vita dei lavoratori e delle loro famiglie. Le cifre che seguono inquadrano le difficoltà che i lavoratori devono affrontare, e la situazione dei salari e dei rapporti di lavoro.

I lavoratori con salari bassi costituiscono il 60% della popolazione lavoratrice. Più specificamente, i lavoratori il cui salario netto è inferiore ai 1000 euro ammontano al 63,17% del totale. Al tempo stesso è in atto un declino relativo alla suddivisione in gruppi della popolazione lavoratrice. I lavoratori che ricevono tra 501 e 600 euro sono aumentati del 13,24% e quelli che ricevono tra 601 a 700 euro sono aumentati del 10,56%.

I rapporti di lavoro si stanno rapidamente deteriorando. Nel 2015 la percentuale dei «rapporti di lavoro flessibili» (impieghi part-time e a rotazione) nei nuovi contratti ha superato il 55%, rispetto a un 29% del 2009 e a un 45% nel 2012. Quasi il 30% dei lavoratori del settore privato è sotto-occupato, mentre il 20% lavora meno di 20 ore settimanali. In ogni caso, metà dei lavoratori assunti oggi svolgono impieghi flessibili di questo tipo, il che influisce ovviamente sul livello medio dei salari.

I consumi medi delle famiglie in Grecia sono scesi del 25% nel periodo 2010-2014, passando a 1460 euro dai 1950 euro del 2010. Nello stesso periodo è stata rilevata un’ancor più evidente differenziazione nei livelli di nutrizione delle famiglie greche. Più in particolare, la quantità di alimenti consumata ha subito una differenziazione (il consumo di carne e di pesce, per esempio, è diminuito del 12%). Nel 2015 la popolazione che doveva affrontare privazioni materiali è aumentata fortemente, passando al 40% rispetto al 24% del 2010.

Il tasso di disoccupazione generale è sceso lievemente negli ultimi quattro anni, a causa di un’ulteriore espansione dei rapporti di lavoro flessibili; nel 2018 ammontava al 19,5%. Il tasso di disoccupazione è molto elevato tra i giovani (dai 15 ai 29 anni di età), intorno al 40%. Inoltre, la disoccupazione è maggiore tra le donne che tra gli uomini.

Il governo SYRIZA-ANEL sostiene, per ragioni di propaganda, che il suo orientamento riguardo al ripristino della produzione capitalista nel paese è diverso da quello dei governi precedenti. Promuove lo slogan dello «sviluppo equo», che si sostiene sia caratterizzato da elementi nuovi quali il passaggio all’innovazione e alla qualità, all’uso della scienza e delle tecnologie specializzate per l’aumento della produttività e l’uso dello Stato borghese ristrutturato quale leva per la promozione dello sviluppo e, soprattutto, per il «sostegno della società e del mercato».

Il governo nasconde il fatto che nel capitalismo l’uso della scienza e dell’innovazione per l’aumento della produttività non è finalizzato al miglioramento delle condizioni dei lavoratori (aumento del salario, riduzione dell’orario di lavoro), bensì all’aumento del profitto capitalista. Ciò è dimostrato dal fatto che perfino negli Stati che occupano posizioni di primo piano per quanto riguarda l’utilizzo di nuove tecnologie e che non si trovano in una fase di crisi (Gran Bretagna, Germania, USA), le diseguaglianze di reddito stanno rapidamente aumentando.

Il 21 agosto 2018 il governo SYRIZA-ANEL ha festeggiato l’uscita formale della Grecia dai memorandum, tentando di alimentare un clima di gioia tra i cittadini e sostenendo che ora le cose miglioreranno nella loro vita quotidiana. Il governo si è spinto fino a definire questo sviluppo «un ritorno alla normalità» e «l’inizio dello sviluppo equo».

Il governo SYRIZA-ANEL mente quando parla di una «nuova era» dopo i memorandum, dal momento che:

Le centinaia di leggi antipopolari sono rimase in vigore! Sono stati assunti impegni con il capitale e con gli organismi imperialisti per la prosecuzione di queste stesse politiche antipopolari, che favoriranno la cosiddetta «competitività» e l’«imprenditorialità» – cioè l’aumento dei profitti del capitale.

Nuovi attacchi ai diritti del popolo sono stati accettati e verranno attuati nei prossimi anni.

Con il cosiddetto «Semestre Europeo», il «Patto Euro Plus», l’«accordo finanziario», il «miglioramento della governance economica», come in altri Paesi che fanno parte dell’UE, l’Unione Europea monitorerà rigidamente la prosecuzione e l’intensificazione dell’attacco antipopolare. In ogni caso, misure antipopolari sono state adottate anche in altri Paesi UE che non avevano concluso alcun memorandum come la Grecia.

Ma anche se non vi era una supervisione da parte dell’UE, vi sarebbe stata – come in ogni società capitalista – la «supervisione» del grande capitale, dei monopoli e del loro obiettivo di aumentare i propri profitti. Per questo motivo, non può esistere uno «sviluppo equo» in un contesto capitalista.

Il governo sostiene infatti che «rimedierà gradualmente alle ingiustizie», che ripristinerà gli accordi di contrattazione collettiva. E questo dopo aver respinto la proposta avanzata da 530 centrali sindacali, federazioni e sindacati riguardo agli accordi di contrattazione collettiva, a favore di accordi nazionali di contrattazione collettiva e di un ripristino del salario minimo di 751 euro, che è stata presentata in parlamento dal KKE.

La verità, quindi, è che le politiche del governo non conducono a un parziale recupero delle perdite subite dai settori popolari durante la crisi. Al contrario, esse peggiorano le condizioni della popolazione. Al tempo stesso, le dichiarazioni del governo sullo Stato efficiente nascondono il fatto che lo Stato borghese opera a favore del capitale, e di conseguenza qualsiasi aggiustamento a esso apportato mira ad aumentare l’efficacia della sua azione a favore del capitale. È a questo fine che la popolazione viene spremuta mediante la tassazione e i tagli allo Stato sociale, e che gli aiuti di Stato vanno a beneficio dei gruppi imprenditoriali interni e della redditività capitalista in generale.

L’aumento della tassazione indiretta, l’abbassamento della soglia di esenzione fiscale, l’approvazione della tassa sulle proprietà (ENFIA), la riduzione delle pensioni, l’aumento dei contributi sociali sono esempi tipici dell’escalation dell’offensiva antipopolare. Per quanto riguarda i lavoratori autonomi e gli agricoltori, il forte aumento della loro tassazione e dei loro contributi sociali si aggiunge a una drastica riduzione del turnover che ha determinato un significativo deterioramento della loro situazione. Per contro, i gruppi monopolistici contribuiscono per meno del 5% alle entrate fiscali annuali e il governo ha in cantiere nuovi aiuti di Stato da elargire attraverso la legge sulla pianificazione dello sviluppo.

Nel loro complesso, questi sviluppi stanno mandando in frantumi l’illusione che il capitalismo possa essere gestito a vantaggio della popolazione e che l’aumento della redditività capitalista possa essere armonizzato con la prosperità dei lavoratori salariati e autonomi. È dimostrato che non possono esistere politiche a favore del popolo nel contesto del potere capitalista, dell’UE e della NATO.

Questo a maggior ragione oggi, quando una possibile nuova crisi internazionale potrebbe avere effetti sproporzionati sull’economia greca. A livello internazionale, il debito si sta accumulando, i profitti sono a livelli bassi, non si riesce a individuare un nuovo settore ad alta redditività e i centri del potere imperialista ricorrono agli strumenti del cosiddetto protezionismo – quali quelli messi in campo da Trump – allo scopo di salvaguardare i profitti dei loro monopoli. I problemi, dunque, si stanno ingigantendo. Lo scoppio di una nuova e più profonda crisi di sovra-accumulazione del capitale è una realtà. E questa prospettiva, questa crisi che investe ancor di più l’economia internazionale, è oggi dominante. E anzi, la grande apertura dell’economia interna in settori che potrebbero essere messi a dura prova da una nuova crisi internazionale, quali l’industria navale e il turismo, potrebbe rivelarsi il tallone d’Achille dello sviluppo capitalista nel prossimo periodo.

6. I COMPITI DEL PARTITO COMUNISTA

In questi anni è stato particolarmente importante il ruolo guida del KKE e dei sindacati di classe che lottano nell’ambito del Fronte Militante di tutti i Lavoratori (PAME), che hanno organizzato le lotte popolari e del lavoro, attuando decine di mobilitazioni e scioperi – 70 scioperi panellenici durante la crisi capitalista – centinaia di manifestazioni, occupazioni di ministeri e altro ancora.

Per molti anni, la linea dominante all’interno del movimento sindacale è stata – ed è tuttora – quella dell’adattamento e della subordinazione alle strategie UE e della collaborazione tra le classi, della difesa della competitività e delle redditività capitalista. Sono stati prodotti danni a lungo termine, poiché le forze riformiste e l’aristocrazia del lavoro occupano posizioni dominanti in settori strategici, grandi industrie e altre imprese (trasporti, banche, porti, energia, telecomunicazioni, servizi pubblici, università, scuola ecc.). Le eventuali critiche o dubbi sollevati da queste forze nei riguardi dell’UE sono spesso rese confuse dalle loro teorie sulla «politica neoliberale» o sulla possibilità di correggere dall’interno l’unione imperialista transnazionale e il sistema, senza rovesciare il potere dei monopoli.

Durante il decennio precedente la crisi, l’intervento della socialdemocrazia e del moderno opportunismo mirante a orientare il sindacalismo organizzato verso la «partnership sociale» e il «dialogo sociale» ha avuto un effetto marcatamente negativo. La narrazione sulla fine dei conflitti sociali e sulla cooperazione sociale è stata promossa, con grande dispendio di fondi, da vari istituti, con la creazione di accademie sindacali europee dotate di organi consultivi «istituzionali» nei maggiori luoghi di lavoro.

Ciò ha prodotto una gran quantità di danni alla coscienza dei lavoratori, in particolare per quanto riguarda il settore organizzato della classe operaia.

La linea della lotta anticapitalista, della lotta per la rottura e il rovesciamento del capitalismo, non esercita attualmente un’influenza di massa in settori di importanza strategica. La situazione del movimento sindacale europeo e internazionale ha svolto un ruolo negativo in questo senso. Su tale base, traiamo la conclusione che per il mutamento nei rapporti di forza e l’unità del movimento non sono sufficienti svariati mutamenti quantitativi; sono necessari cambiamenti radicali nel contenuto e nell’orientamento della lotta del movimento sindacale.

La creazione del Fronte Militante di tutti i Lavoratori (PAME) nel 1999 ha contribuito in misura sostanziale alla promozione della linea di separazione e di rottura con il sindacalismo padronale e governativo in Grecia. Diversamente, la situazione sarebbe stata assai più ardua e peggiore. Il PAME, come unione di classe e movimento basato su federazioni, centrali sindacali, associazioni, comitati di lotta e sindacati, rappresenta un’importante conquista della classe operaia ed è all’avanguardia delle lotte quotidiane, della lotta di classe. Centinaia di organizzazioni sindacali si mobilitano nelle file del PAME. Le energie riunite nel PAME rappresentano la seconda maggior forza all’interno del movimento sindacale, con una percentuale che supera il 20%. Decine di federazioni e centrali sindacali e centinaia di sindacati lottano guidati da un orientamento di classe.

6. 1. I compiti cruciali che si impongono oggettivamente per l’unificazione del movimento sindacale e dei lavoratori

Il 20° Congresso del nostro partito ha dato la seguente definizione dell’unificazione del movimento sindacale: «La preparazione e lo sviluppo di un movimento sindacale in grado di fronteggiare in modo decisivo ed efficace, in alleanza con i settori popolari dei lavoratori autonomi e agricoli, la strategia unitaria elaborata dal capitale e dal potere capitalista».

Tali compiti comprendono:

L’elaborazione di rivendicazioni di lotta (su tutte le questioni: salario, Stato sociale, sanità, orari di lavoro ecc.) e la scelta di forme di organizzazione e alleanza con le forze popolari.

Una conoscenza adeguata della struttura della classe operaia e sforzi intesi a superare la frammentazione che ne indebolisce la lotta.

Una valutazione precisa e oggettiva dei rapporti di forza, dell’umore delle masse, delle tattiche dei datori di lavoro e delle forze politiche che operano nell’ambito del movimento sindacale.

Sono necessarie un’attenzione e una formazione quotidiane, nonché l’impegno degli organi dirigenti al fine di potenziare le iniziative, le attività quotidiane dei comunisti, in particolare dei giovani, sui luoghi di lavoro, nei vari settori e nei sindacati.

È necessario operare a livello collettivo e individuale per costruire legami con la classe operaia – anche nei periodi in cui non vi sono risultati visibili – legami che, in circostanze specifiche, determineranno un aumento del prestigio e dell’influenza dei comunisti.

Dobbiamo inoltre avere la capacità di smascherare – attraverso il confronto ideologico che si svilupperà nell’ambito delle lotte di piccole e grandi proporzioni – i meccanismi di sfruttamento e in particolare le condizioni per la loro soppressione.

Facciamo riferimento a un piano di lotta e di accumulazione di forze che avranno un contenuto anticapitalista e integreranno specifiche rivendicazioni. Il piano dovrà fondarsi anzitutto su forti organizzazioni di partito nelle fabbriche, nelle imprese, nei settori di importanza strategica, e sulla creazione dialettica delle condizioni per il loro sviluppo.

6.2. Mettere in luce i bisogni della famiglia lavoratrice-popolare – i bisogni contemporanei sono il raccordo tra le rivendicazioni parziali e il contenuto della lotta anticapitalista.

La tendenza all’aumento dei bisogni contemporanei è oggettiva. Ciò è dovuto al moderno livello di sviluppo delle forze produttive, ai progressi della scienza e alla loro applicazione in ogni settore.

La lotta per i bisogni contemporanei implica anche la formulazione di rivendicazioni per la riduzione degli orari di lavoro, l’aumento del tempo libero, delle ferie e del tempo dedicato alla ricreazione. I lavoratori hanno combattuto per avere otto ore di lavoro, otto ore di riposo e otto ore da dedicare al tempo libero e alle attività sociali, e oggi siamo ritornati a giornate di lavoro che vanno dall’alba al tramonto, con orari da 10 o 12 ore.

Questo implica anche elementi legati al tenore di vita, come le esigenze nutrizionali in senso quantitativo e qualitativo, le condizioni abitative e di lavoro, il ruolo dell’educazione fisica e dell’esercizio fisico, la salute con particolare attenzione per la prevenzione, i problemi dell’ambiente e delle malattie del lavoro, l’aumento dell’aspettativa di vita, la cultura eccetera. Questi bisogni richiedono inoltre infrastrutture e mezzi atti a soddisfarli.

Oggi, oggettivamente, la soddisfazione dei bisogni popolari contemporanei è possibile in qualsiasi paese che abbia potenzialità di crescita, mezzi tecnologici, una forza lavoro qualificata, moderni metodi di organizzazione della produzione eccetera.

La differenza tra le nostre rivendicazioni e quelle promosse dai partiti borghesi non sta soltanto nella quantità e nella qualità dei diritti; è più profonda, e riguarda l’organizzazione della società stessa. Perciò, per esempio, riguardo alla sanità, rivendichiamo non soltanto servizi sanitari migliori e gratuiti, ma la priorità della prevenzione e della riabilitazione in tempi rapidi. Riguardo alla scuola, rivendichiamo non soltanto libri di testo pubblici e gratuiti nelle scuole di ogni grado, ma anzitutto libri che abbiano contenuti radicalmente diversi, e forme e metodi di insegnamento radicalmente diversi che devono mirare alla formazione completa degli studenti.

Analogamente, sulla questione della disoccupazione, oltre a sottolineare le rivendicazioni relative alla tutela dei disoccupati, poniamo in primo piano le questioni del lavoro stabile con diritti, la possibilità di ridurre gli orari di lavoro e, in ultima analisi, le condizioni per l’eliminazione della disoccupazione.

In tutto questo, complessivamente, è possibile riconoscere l’essenza delle nostre posizioni riguardo ai bisogni contemporanei della popolazione, nella consapevolezza che, naturalmente, sebbene sia oggi necessario combattere per questi bisogni, la loro piena soddisfazione non è realizzabile nel contesto del capitalismo, ma richiede la socializzazione dei mezzi di produzione concentrati e la loro integrazione nella pianificazione scientifica centralizzata della produzione.

6.3. Movimento sindacale e guerra imperialista

Una questione di particolare importanza è la lotta contro le guerre e i progetti imperialisti, contro le alleanze imperialiste, contro il nazionalismo e il fascismo – e questo è un elemento chiave della nostra lotta e dell’attività dei sindacati di classe. Sosteniamo con forza le campagne internazionali della Federazione Sindacale Mondiale e quelle dei sindacati riuniti nel PAME contro la NATO, per la chiusura delle basi militari USA, per la solidarietà con tutti i popoli in lotta e a sostegno dei rifugiati.

È necessario un lavoro politico-ideologico quotidiano per assimilare il concetto che nel caso di una guerra imperialista il movimento sindacale non deve combattere sotto una falsa bandiera – la bandiera della borghesia. Al contrario, deve combattere in ogni circostanza per il rovesciamento della borghesia, che sino a quando esisterà porterà sia la guerra sia la pace ma con una pistola puntata alla tempia del popolo.

6. 4. Il KKE sottolinea il rafforzamento dell’attività sindacale organizzata come elemento determinante dell’unità

Con obiettivi specifici quali i seguenti:

Miglioramento del livello di organizzazione della classe operaia attraverso la massificazione dei sindacati esistenti. La percentuale totale dei lavoratori che fanno parte dei sindacati greci non supera oggi il 25%, ed è in costante diminuzione. Vi è un arretramento anche nell’organizzazione e nella partecipazione delle donne e degli immigrati. Questo è uno dei problemi fondamentali con cui dobbiamo misurarci – il basso livello di organizzazione della classe operaia. La situazione reale è ancor peggiore di quella segnalata da dati e statistiche ufficiali. E la situazione in termini di organizzazione sindacale e partecipazione al movimento da parte dei lavoratori autonomi e agricoli è perfino peggiore.

Funzionamento stabile dei sindacati come criterio base per l’unità. Ciò include il funzionamento del comitato sindacale, e l’evidenziazione dell’importanza e della salvaguardia dell’Assemblea Generale come processo collettivo di esame che studia la situazione nei luoghi di lavoro e nei diversi settori, e pianifica e organizza la lotta. Continua raccolta di informazioni e individuazione di nuove modalità e forme che favoriscano la partecipazione dei lavoratori. I sindacati in cui le nostre forze hanno la maggioranza devono essere modelli di funzionamento democratico, e devono rivolgersi a ogni aspetto della vita dei lavoratori.

Lavoro ideologico, politico e organizzativo sistematico e diversificato mirante a modificare i rapporti di forza in favore delle forze di classe.

Rafforzamento della solidarietà, dell’aiuto reciproco e del sostegno di classe alla famiglia lavoratrice e a ogni lavoratore. È storicamente dimostrato che tale rafforzamento, specie in situazioni critiche di crisi, povertà di massa, disoccupazione e guerre, può costituire un elemento chiave per l’azione e la concentrazione di nuove masse. Spesso questo elemento viene sottovalutato, a causa delle difficoltà create dalla mancanza di legami con i lavoratori, e non viene sfruttato come strumento per il miglioramento delle loro condizioni. Riguardo a questa questione, riveste particolare importanza l’attività specificamente rivolta ai disoccupati e agli immigrati che risiedono nel nostro Paese.

Rafforzamento della Federazione Sindacale Mondiale a livello internazionale ed europeo, rafforzamento dei suoi organismi di settore con nuovi sindacati e federazioni, rafforzamento delle iniziative e del coordinamento delle lotte – espressione concreta della solidarietà con le lotte dei lavoratori e dei popoli che combattono interventi e guerre imperialiste.

6. 5. Sulla costruzione del partito

Un’altra questione cruciale è il modo in cui un partito comunista agisce e si costruisce nella pratica, come guida della lotta di classe e della mobilitazione delle masse popolari intorno a problemi quotidiani nonché intorno a questioni generali che riguardano le prospettive per il futuro, cioè per la creazione delle condizioni soggettive nella lotta di classe anticapitalista e antimonopolista per il socialismo-comunismo.

Siamo consapevoli che la lotta economica da sola non conduce alla lotta politica rivoluzionaria. Di conseguenza, nella lotta quotidiana sui problemi di tutti i giorni della classe operaia e dei suoi alleati sociali, non dobbiamo perdere di vista la questione principale, che è la persistente lotta ideologico-politica pianificata per una più profonda comprensione della necessità della totale abolizione dello sfruttamento e della costruzione della società senza classi.

La difficoltà nella relazione tra il partito e il movimento sindacale dei lavoratori – sia in termini di pratica politica sia come problema teorico – deriva dal fatto che il partito comunista è la più alta e consapevole forma di espressione del movimento dei lavoratori. Di conseguenza, qualsiasi riferimento al movimento della classe operaia deve essere accompagnato a un riferimento al movimento comunista.

Esistono tuttavia forme di organizzazione della classe operaia di livello più basso, che continueranno a esistere sia in un contesto non rivoluzionario sia in un contesto di insurrezione rivoluzionaria e durante il periodo della costruzione del socialismo.

I sindacati e più in generale le forme di organizzazione di livello più basso esercitano un’influenza e svolgono un ruolo nell’organizzazione e nella formazione della coscienza di classe della classe operaia. Per questo motivo, il costante e decisivo intervento delle forze del partito comunista nell’ambito dei sindacati, il suo ruolo guida per la loro massificazione, per il mutamento dei rapporti di forza, per la creazione di nuovi rapporti, sono necessari in particolare nella lotta per l’orientamento del movimento sindacale e dei lavoratori, in qualsiasi condizione, rivoluzionaria o meno.

Oggettivamente, non esistono sindacati politicamente neutrali. A prevalere è inevitabilmente la linea della collaborazione tra classi, del sindacalismo padronale e governativo, delle correnti riformiste e opportuniste, oppure la linea della lotta anticapitalista e antimonopolista. Di conseguenza, la lotta ideologica e politica all’interno del movimento è importante ai fini del raggiungimento dell’obiettivo di organizzare un settore rilevante della classe operaia in senso anticapitalista, allo scopo di approfondirne e allargarne i legami con il partito.

Per tutte queste ragioni, la relazione tra il partito e le organizzazioni di massa della classe operaia è nella pratica piuttosto complessa. Il tentativo di indirizzare tale relazione ha causato difficoltà al movimento comunista internazionale ed è stato spesso accompagnato da approcci rigidi e da errori, a livello sia teorico sia pratico.

Un fattore essenziale che determina il ruolo e l’efficacia del partito all’interno del movimento sindacale, nella lotta di classe, è la costruzione del partito nell’industria, nei settori di importanza strategica, insieme all’aumento della sua forza e della sua influenza nella massa del movimento della classe operaia e in particolare nei suoi settori giovanili.

In questo contesto, riveste particolare importanza la capacità di penetrare i settori di importanza strategica e i settori emergenti e più dinamici dell’economia.

Aumento della percentuale dei lavoratori industriali impiegati nelle principali imprese di importanza strategica.

Miglioramento della composizione sociale del partito in termini di percentuale di lavoratori.

Miglioramento della composizione in termini di età attraverso l’aumento degli iscritti provenienti dalla KNE e dalle fasce di età tra i 18 e i 40 anni.

Aumento delle iscritte donne e della loro percentuale totale all’interno del partito e dei suoi organi dirigenti.

Sulla base di questi criteri fissati dal 20° Congresso del KKE, valutiamo l’efficacia del nostro intervento in ogni iniziativa, mobilitazione e attività.

Rafforziamo il nostro lavoro all’interno della classe operaia per riaggregare il movimento sindacale e dei lavoratori e per la costruzione di una forte alleanza sociale, un’alleanza della classe operaia con i contadini piccoli e medi e i lavoratori autonomi urbani, per una lotta in senso antimonopolista e anticapitalista. Stiamo facendo del nostro meglio per realizzare l’unità del movimento comunista internazionale su base rivoluzionaria. In funzione di questi obiettivi pianifichiamo la nostra azione in un periodo complesso.

Siamo consapevoli delle difficoltà e determinati ad affrontarle con un’organizzazione adeguata, utilizzando la forza della classe operaia. Con la nostra azione creiamo le precondizioni per la controffensiva della classe operaia, e al tempo stesso la più importante e fondamentale premessa per essa: il rafforzamento organizzativo del KKE, soprattutto all’interno della classe operaia.

È il momento di concentrare le forze e organizzare la lotta contro i gruppi imprenditoriali monopolistici, contro i capitalisti e i loro governi, nell’ambito di un piano che sarà basato anzitutto su forti organizzazioni del KKE e della KNE nelle fabbriche, nelle imprese, nei settori di importanza strategica, nelle centrali elettriche, nei trasporti pubblici, nelle telecomunicazioni, nei porti e negli aeroporti, nei centri commerciali, nelle strutture sanitarie e, al tempo stesso, tra i lavoratori autonomi dei centri urbani, nelle strutture scolastiche e giovanili, nei luoghi di ritrovo dei giovani delle famiglie popolari e operaie.

Celebriamo i cento anni del nostro eroico partito, le innumerevoli persone che hanno dato la vita per il nostro partito rendendo più forte il KKE. Rafforziamo la solidarietà internazionalista dando attuazione pratica allo slogan «proletari di tutto il mondo, unitevi!».

È necessario intensificare la nostra lotta in tutti i Paesi affinché i partiti comunisti divengano partiti operai di massa che organizzeranno e guideranno la lotta dei milioni di oppressi per il rovesciamento del marcio sistema capitalista, che produce soltanto miseria, guerre imperialiste, distruzione e profughi, per la lotta per il socialismo-comunismo!

Note:

[1] F. Engels, “Recensione del primo libro del Capitale per il Demokratisches Wochenblatt”.

[2] Karl Marx, “Il capitale”, Libro II, Sezione I, Capitolo 1.

[3] F. Engels, “La situazione della classe operaia in Inghilterra”, Editori Riuniti (1978), pp. 52-53.

[4] V. I. Lenin, «Le elezioni all’Assemblea costituente e la dittatura del proletariato».

[5] V. I. Lenin, Opere Complete, “La grande iniziativa”, Editori Riuniti (1967), vol. 29, pp. 384-385.

[6] K. Marx-F. Engels, “Manifesto del Partito comunista”, I.

 

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