La prima vittima di ogni guerra è l’informazione
Questa massima è condivisa fin dalla notte dei tempi.
Dall’Anabasi di Senofonte, alle monete fatte coniare da Caracalla per celebrare vittorie inesistenti, dai casus belli di ogni militarismo per trascinare in guerra i popoli per massacrarsi vicendevolmente nella Prima e nella Seconda Guerra mondiale, al Golfo del Tonchino e alle “armi di distruzione di massa” che l’imperialismo americano si è inventato per giustificare le proprie aggressioni.
Il debole antidoto che hanno le persone di buona volontà per sottrarsi a questo veleno è ovviamente quello di avere il massimo possibile di punti di vista opposti – si dice “sentire le due campane”, no? – per cercare di farsi un’idea propria. Questo è ancora più importante quando una “campana” è costituita da una fanfara assordante, mentre l’altra deve faticare anche solo per far sentire le proprie ragioni. Ciò vale per un giornalista qualunque siano le proprie idee e persino se una delle due versioni egli la giudichi completamente falsa. Il giudizio di falsità non può basarsi su valutazioni personali del giornalista, ma deve emergere dall’esposizione dei fatti e soprattutto deve essere alla fine formulato dal lettore e non a priori dal giornalista.
Banalità, si dirà. Vero. Ma purtroppo oggi è necessario riaffermare anche le più elementari banalità.
Il fatto di essere comunisti, che hanno una visione del mondo “partigiana”, non ci esime dal, anzi ci impone di, ricercare il massimo di informazione possibile, proprio perché per la nostra ideologia la “verità è rivoluzionaria” e quindi non abbiamo paura di indagare sui fatti con la massima oggettività possibile.
Pubblichiamo il botta e risposta tra Manlio Dinucci e la redazione del Manifesto, espressa da Tommaso Di Francesco.
Né Dinucci, dal quale abbiamo da sempre imparato cosa significa studiare la realtà e col quale abbiamo anche recentemente condiviso riflessioni e valutazioni politiche, né il Manifesto, del quale su LaRiscossa abbiamo sempre criticato articoli e punti vista non oggettivi, hanno bisogno di presentazione per i nostri lettori.
Il proporre all’attenzione di chi ci legge questo botta e risposta vuole essere il nostro contributo per esprimere la nostra più totale e incondizionata solidarietà al compagno ed eminente stidioso Manlio Dinucci.
Il fatto ci addolora, pensando a quanta dedizione e con quale spirito di militante abnegazione Dinucci abbia difeso negli anni una “trincea” sempre più assediata, ma non ci meraviglia.
Non c’è bisogno di aggiungere altro per farsi un’opinione su quanto accaduto nello specifico e più in generale su quanto stia accadendo nel nostro Paese.
In coda, ovviamente, l’articolo integrale di Dinucci censurato dal Manifesto.
Il verbo “censurare” è quanto mai appropriato. Significa “tagliare”, ossia distorcere attraverso l’omissione di frasi-chiave il discorso generale e quindi il senso di un pensiero.
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L’8 marzo, dopo averla per breve tempo pubblicata online (vedi link), la redazione del Manifesto ha fatto sparire nottetempo la rubrica L’Arte della guerra anche dall’edizione cartacea, poiché mi ero rifiutato di uniformarmi alla direttiva del Ministero della Verità e avevo chiesto di aprire un dibattito sulla crisi ucraina.
Termina così la mia lunga collaborazione con questo giornale, su cui per oltre dieci anni ho pubblicato la rubrica.
Un caro saluto ai lettori, che continuerò a informare attraverso altri canali.
Manlio Dinucci
Risposta
È con vero dispiacere, dopo tanti anni di collaborazione con la preziosa rubrica “L’arte della guerra” che riceviamo questo arrivederci. Ma è doveroso, per l’autore, per il Manifesto e per i lettori precisare l’ accaduto. La sua ultima rubrica – che ha ripreso un rubrica sempre sulla Rand del 2019 – dal titolo “Ucraina, era tutto scritto nel piano della Rand Corporation” è stata considerata impropria e sbagliata – non c’è un
giallo: è uscita online perché servizio online ha pensato di passarlo come d’abitudine, mentre l’articolo invece era bloccato. Il giudizio negativo sull’articolo è stato formulato all’autore, al quale è stato spiegato che la prima parte del ragionamento era come da tradizione rigorosa e informativa, cioè che la Rand Corporation aveva previsto ogni mossa della guerra in corso in Ucraina, ma che farne discendere allora l’oggettiva reazione dei bombardamenti di Putin “alle installazioni Nato in Ucraina” – questi giorni ci dicono che la mira è a dir poco sbagliata – assumeva la caratteristica di una legittimazione oggettiva della
guerra russa. Per questo giornale, per la sua storia e il suo presente, la guerra della Russia di Putin – che sembra dunque impegnato a recitare il copione della Rand – è una aggressione. Spiegarne le origini e le complicità, oltre che le responsabilità occidentali, è per noi impegno di ogni giorno, ma questo non può voler dire giustificarla. Così alla fine il pezzo si appalesava. Richiesto di togliere le poche righe che contenevano questa brutta ambiguità, l’autore si rifiutava. Un rifiuto che non era ” richiesta di apertura di dibattito” ma il contrario. E noi rispettando la sua indipendenza ma anche la nostra, abbiamo deciso di non pubblicarla. Speriamo sia un arrivederci
Tommaso Di Francesco
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Ucraina, era tutto scritto nel piano della Rand Corp
di Manlio Dinucci
Il piano strategico degli Stati uniti contro la Russia è stato elaborato tre anni fa dalla Rand Corporation (il manifesto, “Rand Corp: come abbattere la Russia”, 21 maggio 2019). La Rand Corporation, il cui quartier generale ha sede a Washington, è «una organizzazione globale di ricerca che sviluppa soluzioni per le sfide politiche»: ha un esercito di 1.800 ricercatori e altri specialisti reclutati da 50 paesi, che parlano 75 lingue, distribuiti in uffici e altre sedi in Nord America, Europa, Australia e Golfo Persico. Personale statunitense della Rand vive e lavora in oltre 25 paesi.
La Rand Corporation, che si autodefinisce «organizzazione non-profit e non-partisan», è ufficialmente finanziata dal Pentagono, dall’Esercito e l’Aeronautica Usa, dalle Agenzie di sicurezza nazionale (Cia e altre), da agenzie di altri paesi e potenti organizzazioni non-governative.
La Rand Corp. si vanta di aver contribuito a elaborare la strategia che permise agli Stati uniti di uscire vincitori dalla guerra fredda, costringendo l’Unione Sovietica a consumare le proprie risorse nell’estenuante confronto militare. A questo modello si è ispirato il nuovo piano elaborato nel 2019: «Over-extending and Un-balancing Russia», ossia costringere l’avversario a estendersi eccessivamente per sbilanciarlo e abbatterlo.
Queste sono le principali direttrici di attacco tracciate nel piano della Rand, su cui gli Stati Uniti si sono effettivamente mossi negli ultimi anni.
Anzitutto – stabilisce il piano – si deve attaccare la Russia sul lato più vulnerabile, quello della sua economia fortemente dipendente dall’export di gas e petrolio: a tale scopo vanno usate le sanzioni commerciali e finanziarie e, allo stesso tempo, si deve far sì che l’Europa diminuisca l’importazione di gas naturale russo, sostituendolo con gas naturale liquefatto statunitense.
In campo ideologico e informativo, occorre incoraggiare le proteste interne e allo stesso tempo minare l’immagine della Russia all’esterno.
In campo militare si deve operare perché i paesi europei della Nato accrescano le proprie forze in funzione anti-Russia. Gli Usa possono avere alte probabilità di successo e alti benefici, con rischi moderati, investendo maggiormente in bombardieri strategici e missili da attacco a lungo raggio diretti contro la Russia. Schierare in Europa nuovi missili nucleari a raggio intermedio puntati sulla Russia assicura loro alte probabilità di successo, ma comporta anche alti rischi.
Calibrando ogni opzione per ottenere l’effetto desiderato – conclude la Rand – la Russia finirà col pagare il prezzo più alto nelconfronto con gli Usa, ma questi e i loro alleati dovranno investire grosse risorse sottraendole ad altri scopi.
Nel quadro di tale strategia – prevedeva nel 2019 il piano della Rand Corporation – «fornire aiuti letali all’Ucraina sfrutterebbe il maggiore punto di vulnerabilità esterna della Russia, ma qualsiasi aumento delle armi e della consulenza militare fornite dagli Usa all’Ucraina dovrebbe essere attentamente calibrato per aumentare i costi per la Russia senza provocare un conflitto molto più ampio in cui la Russia, a causa della vicinanza, avrebbe vantaggi significativi».
È proprio qui – in quello che la Rand Corporation definiva «il maggiore punto di vulnerabilità esterna della Russia», sfruttabile armando l’Ucraina in modo «calibrato per aumentare i costi per la Russia senza provocare un conflitto molto più ampio» – che è avvenuta la rottura. Stretta nella morsa politica, economica e militare che Usa e Nato serravano sempre più, ignorando i ripetuti avvertimenti e le proposte di trattativa da parte di Mosca, la Russia ha reagito con l’operazione militare che ha distrutto in Ucraina oltre 2.000 strutture militari realizzate e controllate in realtà non dai governanti di Kiev ma dai comandi Usa-Nato.
L’articolo che tre anni fa riportava il piano della Rand Corporation terminava con queste parole: «Le opzioni previste dal piano sono in realtà solo varianti della stessa strategia di guerra, il cui prezzo in termini di sacrifici e rischi viene pagato da tutti noi». Lo stiamo pagando ora noi popoli europei, e lo pagheremo sempre più caro, se continueremo ad essere pedine sacrificabili nella strategia Usa-Nato.
(da: https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-manlio_dinucci__ucraina_era_tutto_scritto_nel_piano_della_rand_corporation/39602_45549/
immagine da cataniacreattiva.it)
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